Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
La terra del sonno / Fino a te / Sarà come se
Comunicato stampa
Segnala l'evento
LA TERRA DEL SONNO
La “Terra del sonno” che Maria Chiara Calvani ci invita ad esplorare non è il territorio onirico dei Surrealisti, non è abitata dalla violenza del desiderio e dal rigore della censura, non genera visioni inquietanti radicate nell’inconscio dell’individuo ma chiamate ad insidiare la stabilità dell’intera compagine sociale.
E’ una terra concreta e feconda come quella coltivata dai contadini che vivono sulle sponde del Trasimeno. Contadini che, nel video, seduti di fatto sui campi dai quali trae alimento la loro comunità ci raccontano i propri sogni, in dialetto, come li racconterebbero ad un amico.
Questo, naturalmente non vuol dire che uno psicanalista non potrebbe usare le storie narrate come tracce da cui risalire alle rimozioni infantili di ciascun sognatore e con esse all’eterno, immancabile, teatrino edipico, (con annessi e connessi), vuol dire soltanto che il punto di vista adottato è un altro. E’ un punto di vista assai più simile a quello del mito e della fiaba.
Volendo potrebbe anch’esso essere definito “terapeutico”, a patto però di pensare ad una terapia non della persona ma del sistema di scambi che come tale la individua. Allo stesso modo potrebbe essere definto “politico”, a patto però di pensare ad un’azione che nasce dal basso, da un allargamento del dialogo a temi e nodi che in genere vengono tralasciati perché considerati attinenti soltanto al privato, ad un uso non progettuale dell’immaginazione.
E proprio qui sta il punto, l’intuizione su cui da anni lavora la nostra artista, il sogno guarisce e sovverte anche se non è decriptato e riconsegnato al suo autore per fare di lui un un uomo nuovo, un potenziale rivoluzionario. L’importante è che venga comunicato, condiviso, rielaborato insieme . In altre parole messo in circolazione secondo una strategia di accrescimento esponenziale dove comunque la quantità sia subordinata alla qualità .
Con buona pace dell’economia globalizzata, ogni giorno si producono più sogni che automobili, frigoriferi o computer. Più sogni che bombe.
Ci sono voluti oltre dieci anni per capire che non esistono bombe intelligenti. Quanti ce ne vorranno per capire che non esistono sogni stupidi? Che non esiste un’ uso privato ed un uso pubblico dell’immaginazione, ma solo un uso inibito ed uno allargato dei suoi principi costitutivi? Del suo potere d’incanto, tanto più incoercibile quanto più elementare?
Paolo Balmas
FINO A TE
C’è qualcosa di temerario e al tempo stesso di oculato nella selezione di immagini che Alessandra Baldoni ha preparato per questa mostra. Qualcosa di molto simile alla scelta di combattere a mani nude contro un nemico armato fino ai denti, di rischiare grosso per dimostrare che le sue armi non servono a difendere chi dovrebbero difendere, ma a procrastinare nel tempo un delitto, un’offesa che troppi non riescono a mettere a fuoco per via dei suoi legami profondi con l’ordinamento sociale entro cui tutti viviamo adagiati. Le armi cui mi riferisco sono quelle del rituale, dell’intero complesso di cerimonie e investimenti simbolici attraverso cui la donna, da tempo immemorabile e con poche varianti fra una civiltà all’altra, viene introdotta alla vita amorosa.
Nella prima foto vediamo una bambina in piedi su un pontile, è vestita di rosso ed ha tra le mani un uovo di dimensioni inusuali.Sullo sfondo uno specchio d’acqua verdastro ed un cielo che non sarebbe azzardato definire amniotico. L’ immagine, come le altre due che le stanno accanto, fa riferimento a tutte quelle leggende in cui incontriamo una fanciulla prigioniera di un drago ed un eroe che si adopera per liberarla e ricondurla tra gli uomini dove ad attenderla c’è sicuramente colui che la sposerà e la renderà felice. L’ intento polemico è evidente, se la bambina ha con se l’uovo entro cui il mitico animale è venuto al mondo, vuol dire che il drago è qualcosa che le appartiene sin dall’inizio, qualcosa che come lei deve ancora dischiudersi alla vita e che potrebbe farlo in accordo, piuttosto che in disaccordo con il suo sviluppo naturale.
Nella seconda foto la bambina è già un’adolescente e, sia pure con qualche inicertezza, sembra interessata ad addentrarsi in un bosco che non ha nulla di tenebroso, il suo abito già si presta ad essere interpretato come un capo cucito e indossato per l’occasione. Nella terza, infine, siamo oramai di fronte ad una donna che in qualche modo ha introiettato il drago nel suo stesso corpo e più che a difendersi da un terribile guardiano sembra essere intenta a fare il punto sul suo cambiamento, a registrare emozioni e sentimenti, brividi e sensazioni, languori e desideri entro un nuova dimensione di consapevolezza sia fisica che mentale.
Morale della favola, se i prodi cavalieri vogliono continuare ad uccidersi tra di loro in questo o quel torneo, facciano pure, ma la smettano di andare in giro ad uccidere draghi, perché così facendo rischiano di uccidere le donne stesse e ricondurre a casa soltanto delle cortesissime dame che non conosceranno mai la passione, la trasgressione, il piacere, il narcisismo e tutto ciò per cui vale la pena di vivere.
Paolo Balmas
SARA’ COME SE…
“Sarà come se t’avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere….” A parlare è il Piccolo Principe, l’ineffabile “ometto” creato dalla fantasia di Antoine de Saint Exupery, il suo è un commiato e insieme un appuntamento per l’amico aviatore che il giorno successivo assisterà alla sua partenza/dipartita. Ciò che vuole dire è che ognuno può vedere nelle stelle le cose che gli sono più congeniali, ma c’è un solo modo per riuscire a vedere delle stelle che “non stiano zitte”: aver legato la loro immagine ad un affetto ricambiato, meglio ancora se per una via segreta che nessun altro conosce.
Nel suo video che ha come titolo l’ affermazione di cui sopra Silvia Sbordoni, parte dal medesimo assunto, applicandolo, però, non al firmamento, ma a quelle strane galassie che vanno sotto il nome di metropoli postindustriali.
Nelle città di una volta trovare la via del simbolico era relativamente facile. Gli snodi viarii e le emergenze urbane configuravano, infatti, una sorta di telaio funzionale che finiva per perimetrare i luoghi del quotidiano offrendo loro delle sicure coordinate di riferimento, entro cui inscriverne altre, di volta in volta, più specifiche e personali, legate a percorsi, abitudini, piccoli particolari. Oggi non è più così, i quartieri abitativi sono troppo estesi ed omogenei per lasciarsi assimilare ad alcunché, le arterie di scorrimento troppo simili ad autostrade per stabilire dei contatti ravvicinati con il tessuto abitativo, le emergenze architettoniche troppo autoreferenziali per stabilire un dialogo serrato con ciò che hanno intorno. Uno stato di cose al quale va aggiunta la nostra tendenza a fondere sempre più tra loro esperienze reali ed esperienze virtuali, sentimenti sorti nel nostro intimo e reazioni emotive indotte dall’universo dello spettacolo.
Cosa si può fare allora per evitare che dilaghino iniziative assurde come quella della targa commemorativa nell’insignificante cortile di Brighton dove i protagonisti di Quadrophenia fanno l’amore per la prima volta o patetiche mostruosità come l’albero dei lucchetti di Ponte Milvio? Per evitare, soprattutto, che alla fine cose del genere ci appaiano innocenti o peggio ancora commoventi?
La nostra artista propone non la soluzione più semplice, ma la più diretta, agire d’autorità, isolare una ad una le stelle della propria esistenza, certificarne l’autenticità con una sorta di scrittura privata subito occultata e infine, dopo averle messe al sicuro ciascuna nello scrigno che più le conviene, tracciarne la mappa come si fa con le costellazioni, entità del tutto soggettive eppure, a modo loro, più autentiche di qualsiasi costruzione scientifica.
Paolo Balmas
La “Terra del sonno” che Maria Chiara Calvani ci invita ad esplorare non è il territorio onirico dei Surrealisti, non è abitata dalla violenza del desiderio e dal rigore della censura, non genera visioni inquietanti radicate nell’inconscio dell’individuo ma chiamate ad insidiare la stabilità dell’intera compagine sociale.
E’ una terra concreta e feconda come quella coltivata dai contadini che vivono sulle sponde del Trasimeno. Contadini che, nel video, seduti di fatto sui campi dai quali trae alimento la loro comunità ci raccontano i propri sogni, in dialetto, come li racconterebbero ad un amico.
Questo, naturalmente non vuol dire che uno psicanalista non potrebbe usare le storie narrate come tracce da cui risalire alle rimozioni infantili di ciascun sognatore e con esse all’eterno, immancabile, teatrino edipico, (con annessi e connessi), vuol dire soltanto che il punto di vista adottato è un altro. E’ un punto di vista assai più simile a quello del mito e della fiaba.
Volendo potrebbe anch’esso essere definito “terapeutico”, a patto però di pensare ad una terapia non della persona ma del sistema di scambi che come tale la individua. Allo stesso modo potrebbe essere definto “politico”, a patto però di pensare ad un’azione che nasce dal basso, da un allargamento del dialogo a temi e nodi che in genere vengono tralasciati perché considerati attinenti soltanto al privato, ad un uso non progettuale dell’immaginazione.
E proprio qui sta il punto, l’intuizione su cui da anni lavora la nostra artista, il sogno guarisce e sovverte anche se non è decriptato e riconsegnato al suo autore per fare di lui un un uomo nuovo, un potenziale rivoluzionario. L’importante è che venga comunicato, condiviso, rielaborato insieme . In altre parole messo in circolazione secondo una strategia di accrescimento esponenziale dove comunque la quantità sia subordinata alla qualità .
Con buona pace dell’economia globalizzata, ogni giorno si producono più sogni che automobili, frigoriferi o computer. Più sogni che bombe.
Ci sono voluti oltre dieci anni per capire che non esistono bombe intelligenti. Quanti ce ne vorranno per capire che non esistono sogni stupidi? Che non esiste un’ uso privato ed un uso pubblico dell’immaginazione, ma solo un uso inibito ed uno allargato dei suoi principi costitutivi? Del suo potere d’incanto, tanto più incoercibile quanto più elementare?
Paolo Balmas
FINO A TE
C’è qualcosa di temerario e al tempo stesso di oculato nella selezione di immagini che Alessandra Baldoni ha preparato per questa mostra. Qualcosa di molto simile alla scelta di combattere a mani nude contro un nemico armato fino ai denti, di rischiare grosso per dimostrare che le sue armi non servono a difendere chi dovrebbero difendere, ma a procrastinare nel tempo un delitto, un’offesa che troppi non riescono a mettere a fuoco per via dei suoi legami profondi con l’ordinamento sociale entro cui tutti viviamo adagiati. Le armi cui mi riferisco sono quelle del rituale, dell’intero complesso di cerimonie e investimenti simbolici attraverso cui la donna, da tempo immemorabile e con poche varianti fra una civiltà all’altra, viene introdotta alla vita amorosa.
Nella prima foto vediamo una bambina in piedi su un pontile, è vestita di rosso ed ha tra le mani un uovo di dimensioni inusuali.Sullo sfondo uno specchio d’acqua verdastro ed un cielo che non sarebbe azzardato definire amniotico. L’ immagine, come le altre due che le stanno accanto, fa riferimento a tutte quelle leggende in cui incontriamo una fanciulla prigioniera di un drago ed un eroe che si adopera per liberarla e ricondurla tra gli uomini dove ad attenderla c’è sicuramente colui che la sposerà e la renderà felice. L’ intento polemico è evidente, se la bambina ha con se l’uovo entro cui il mitico animale è venuto al mondo, vuol dire che il drago è qualcosa che le appartiene sin dall’inizio, qualcosa che come lei deve ancora dischiudersi alla vita e che potrebbe farlo in accordo, piuttosto che in disaccordo con il suo sviluppo naturale.
Nella seconda foto la bambina è già un’adolescente e, sia pure con qualche inicertezza, sembra interessata ad addentrarsi in un bosco che non ha nulla di tenebroso, il suo abito già si presta ad essere interpretato come un capo cucito e indossato per l’occasione. Nella terza, infine, siamo oramai di fronte ad una donna che in qualche modo ha introiettato il drago nel suo stesso corpo e più che a difendersi da un terribile guardiano sembra essere intenta a fare il punto sul suo cambiamento, a registrare emozioni e sentimenti, brividi e sensazioni, languori e desideri entro un nuova dimensione di consapevolezza sia fisica che mentale.
Morale della favola, se i prodi cavalieri vogliono continuare ad uccidersi tra di loro in questo o quel torneo, facciano pure, ma la smettano di andare in giro ad uccidere draghi, perché così facendo rischiano di uccidere le donne stesse e ricondurre a casa soltanto delle cortesissime dame che non conosceranno mai la passione, la trasgressione, il piacere, il narcisismo e tutto ciò per cui vale la pena di vivere.
Paolo Balmas
SARA’ COME SE…
“Sarà come se t’avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere….” A parlare è il Piccolo Principe, l’ineffabile “ometto” creato dalla fantasia di Antoine de Saint Exupery, il suo è un commiato e insieme un appuntamento per l’amico aviatore che il giorno successivo assisterà alla sua partenza/dipartita. Ciò che vuole dire è che ognuno può vedere nelle stelle le cose che gli sono più congeniali, ma c’è un solo modo per riuscire a vedere delle stelle che “non stiano zitte”: aver legato la loro immagine ad un affetto ricambiato, meglio ancora se per una via segreta che nessun altro conosce.
Nel suo video che ha come titolo l’ affermazione di cui sopra Silvia Sbordoni, parte dal medesimo assunto, applicandolo, però, non al firmamento, ma a quelle strane galassie che vanno sotto il nome di metropoli postindustriali.
Nelle città di una volta trovare la via del simbolico era relativamente facile. Gli snodi viarii e le emergenze urbane configuravano, infatti, una sorta di telaio funzionale che finiva per perimetrare i luoghi del quotidiano offrendo loro delle sicure coordinate di riferimento, entro cui inscriverne altre, di volta in volta, più specifiche e personali, legate a percorsi, abitudini, piccoli particolari. Oggi non è più così, i quartieri abitativi sono troppo estesi ed omogenei per lasciarsi assimilare ad alcunché, le arterie di scorrimento troppo simili ad autostrade per stabilire dei contatti ravvicinati con il tessuto abitativo, le emergenze architettoniche troppo autoreferenziali per stabilire un dialogo serrato con ciò che hanno intorno. Uno stato di cose al quale va aggiunta la nostra tendenza a fondere sempre più tra loro esperienze reali ed esperienze virtuali, sentimenti sorti nel nostro intimo e reazioni emotive indotte dall’universo dello spettacolo.
Cosa si può fare allora per evitare che dilaghino iniziative assurde come quella della targa commemorativa nell’insignificante cortile di Brighton dove i protagonisti di Quadrophenia fanno l’amore per la prima volta o patetiche mostruosità come l’albero dei lucchetti di Ponte Milvio? Per evitare, soprattutto, che alla fine cose del genere ci appaiano innocenti o peggio ancora commoventi?
La nostra artista propone non la soluzione più semplice, ma la più diretta, agire d’autorità, isolare una ad una le stelle della propria esistenza, certificarne l’autenticità con una sorta di scrittura privata subito occultata e infine, dopo averle messe al sicuro ciascuna nello scrigno che più le conviene, tracciarne la mappa come si fa con le costellazioni, entità del tutto soggettive eppure, a modo loro, più autentiche di qualsiasi costruzione scientifica.
Paolo Balmas
13
maggio 2008
La terra del sonno / Fino a te / Sarà come se
Dal 13 al 25 maggio 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA EMBRICE
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Orario di apertura
17.00 - 20.00
Vernissage
13 Maggio 2008, ore 17.00 - 21.00
Curatore