Sentire, toccare, manipolare la materia – l’argilla – per me ha un significato quasi liberatorio, un atto quasi mistico, tribale, oserei dire religioso.
È un modo per comunicare il mio interiore, perché da questo mio movimento si configura, si “materializza” il mondo puro delle mie idee, il mondo delle mie visioni, che sempre più si fa pressante e vuole uscire dall’immateriale meandro della mente.
Sensazioni, emozioni, passioni mai comunicate, mai dette per incapacità, per timore?
Forse. Ma anche perché è il mondo che ognuno di noi porta dentro e raramente riesce a decifrare, a decodificare tale da renderlo leggibile in modo allargato.
Ecco, quando materializzo le mie percezioni, siano esse sculture di argilla, tele di terra o composizioni diverse, le mie mani a volte sono più veloci del mio pensiero, sembra quasi che in maniera indipendente vogliano comunicare ciò che razionalmente viene sottaciuto: sono loro che mi guidano, oramai capaci di trovare la strada, sono loro che forniscono la giusta critica artistica al mio pensiero confuso.