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Leoncillo – Materia radicale. Opere 1958-1968
La rassegna, a cura di Enrico Mascelloni, con una selezione di oltre venti sculture di grandi e medie dimensioni scelte tra le più significative del periodo, realizzate dall’artista in terracotta o in grès, propone un percorso scandito dalle tematiche che connotano la ricerca di quegli anni, oggetto di costante interesse da parte della critica più autorevole sia italiana che straniera.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dal 15 dicembre 2018 è in programma, alla Galleria dello Scudo a Verona,
una mostra dedicata all’ultimo decennio dell’opera di Leoncillo, quando
prende corpo il suo linguaggio più maturo. La rassegna, a cura di Enrico
Mascelloni, con una selezione di oltre venti sculture di grandi e medie
dimensioni scelte tra le più significative del periodo, realizzate in terracotta
o in grès, propone un percorso scandito dalle tematiche che connotano la
ricerca di quegli anni, oggetto di costante interesse da parte della critica
più autorevole sia italiana che straniera. Le opere, eseguite tra il 1958 e il
1968, dopo la personale alla Galleria La Tartaruga a Roma nel 1957,
quando ancora prevale un naturalismo di ascendenza informale in cui si
individuano tuttavia le premesse della svolta successiva, vantano un
curriculum espositivo di prim’ordine, segnato dalla loro presenza in varie
edizioni della Biennale di Venezia, in numerose rassegne allestite in
importanti musei di tutta Europa, comprese le iniziative dedicate alla
scultura italiana promosse da Palma Bucarelli.
Nato a Spoleto nel 1915 e trasferitosi a Roma già negli anni ‘30, sin dal decennio
successivo e ancor più nei ’50, Leoncillo viene segnalato come uno dei protagonisti
della ricerca plastica del Novecento. Nel 1947 Alberto Moravia lo presenta nel catalogo
della Prima Mostra del Fronte Nuovo delle Arti alla Galleria della Spiga a Milano.
Roberto Longhi lo considera il più grande talento della sua epoca, tant’è che nel 1954
firma il testo di presentazione in catalogo per la sala personale alla XXVII Biennale di
Venezia e cura la monografia uscita per De Luca. Cesare Brandi lo pone ai vertici della
ritrattistica novecentesca considerandolo, nell’ultima fase della sua vicenda artistica,
alla pari di un maestro indiscusso dell’avanguardia italiana quale Lucio Fontana.
Questa mostra alla Galleria dello Scudo traccia un itinerario che muove dalla
personale di Leoncillo a Roma nel 1958 alla Galleria L’Attico di Bruno Sargentini, cui
si deve la monografia con testi di Giulio Carlo Argan e Maurizio Calvesi edita nel
1960. È questo un anno cruciale per l’artista, invitato con undici opere alla XXX
Biennale di Venezia. Segue, due anni dopo, la sua presenza nella rassegna Sculture
nella città a Spoleto, teatro di un imponente allestimento che mette in scena lavori di
maestri internazionali, da Alexander Calder a Henri Moore, da David Smith a Fritz
Wotruba. Nel 1965 le due esposizioni alla Galleria Odyssia di Federico Quadrani,
prima a Roma e poi a New York, contribuiscono a introdurre lo scultore in collezioni
americane. Del 1967 è l’invito a partecipare, con una gigantesca installazione in
terracotta, all’impegnativo progetto per il padiglione italiano all’Expo di Montreal.
Dopo aver esposto alla Modern Art Agency, tempio di Lucio Amelio in una Napoli in
pieno fermento, Leoncillo fa la sua ultima apparizione alla XXXIV Biennale di Venezia
del 1968 con una selezione di sculture di grande formato, alcune delle quali ora
proposte, quali Vento rosso (1958), Racconto di notte I (1961), San Sebastiano II
(1962), Racconto rosso (1963), Amanti antichi (1965). Dopo la sua improvvisa
scomparsa avvenuta nel settembre 1968, Giovanni Carandente è l’artefice della prima
retrospettiva, allestita a Spoleto nei Chiostri di San Nicolò nel 1969. Seguono l’ampia
rassegna alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 1979 e l’antologica a
cura di Giuseppe Appella ospitata nei suggestivi spazi delle Chiese Rupestri e del
Circolo La Scaletta a Matera nel 2002. Contemporaneamente, lavori di Leoncillo sono
riproposti in varie occasioni, molte delle quali volute da Fabio Sargentini, erede del
padre Bruno nella promozione dell’opera dell’artista.
Senza titolo (Scultura con gocce rosse),
1958-1959
terracotta con ossidi e smalti
43 x 70,9 x 28,9 cm
Taglio bianco, 1959
terracotta con idropittura, ossidi e smalti
151,3 x 104,8 x 28,2 cm
San Sebastiano nero, 1962
terracotta smaltata
130 x 70 x 35 cm
Il percorso della mostra documenta le tematiche affrontate dall’artista nell’ultimo
decennio. Ad aprirlo è Vento rosso del 1958, un lavoro che esemplifica uno dei soggetti
centrali nel linguaggio dell’artista: la scultura orizzontale. La materia è come sommossa
da un terremoto, tende alla condizione dell’orizzontale assoluta. È l’avvio di un fronte di
sperimentazioni successive sondate da personalità quali Pino Pascali, Jannis Kounellis,
Carl Andre, Richard Long.
Nelle Sculture con gocce rosse del 1958-1959, ai limiti del passaggio dal cosiddetto ultimo
naturalismo al suo ripudio, il sangue che sembra parafrasato dalle colature di smalto a
ricoprire la terracotta ha tutta l’oggettualità e la distanza raggelata di una materia
innaturale. Dopo di allora, tornano ossessivamente forme che gli sono sempre
appartenute. I due San Sebastiano, bianco e nero, l’uno del 1960 e l’altro del 1962,
riprendono il titolo di una delle più note ceramiche del 1939. Qui la materia è piagata,
agitata da un modellato nervoso e incessante; non a caso viene fatto esplicito rimando
nel titolo alla figura del santo che per tradizione è sottoposta a lenta e silente agonia, non
finita dalla cesura netta e finale di un gesto brutale.
Il Taglio rosso del 1963 offre all'impatto visivo una superfice quasi spianata, in ovvia
polarità con il magma incandescente all’interno che il colpo di stecco ha sviscerato,
abbattendovisi come una sentenza. Il taglio investe gran parte dell’opera e diviene
sovrano, distratto da null’altro che dalla propria incombenza.
Lo slancio verso l’alto, l’enfasi della “verticalità assoluta” che riduce talvolta la larghezza
dell’opera al minimo statico indispensabile, si esprime in lavori del 1962 come San
Sebastiano I e II e Affinità patetiche ora al Museo Carandente di Spoleto. Agente
provocatore della tensione verso l’alto delle forme è il taglio, ora aperto in uno “spacco”
lungo e profondo, che assume per l’artista precise valenze semantiche. È ben diverso da
quello che in Taglio bianco del 1959 si sviluppa lungo l’intera larghezza abbattendosi
come una ghigliottina sulle due facce della scultura.
Nei bassorilievi Racconto di notte I, 1961 e Racconto rosso, 1963 il taglio assume un tale
andamento ritmico da rendere intellegibile e insieme pulsionale l'idea stessa di racconto.
In Tempo ferito II, 1963 la forma potente e stagliata, che rimanda alla Crocifissione, è
rivestita da irregolari mattoni di terracotta che costringono lungo l’intero asse centrale
una materia convulsa e radicale. In Amanti antichi del 1965 la sagoma è direttamente
prelevata dal Sarcofago degli Sposi etrusco conservato a Roma al Museo Nazionale di
Villa Giulia. Gli sposi si trasformano in amanti, dunque l'opera si fa metafora ancora più
intensa dell'amore e della morte.
Per l’occasione viene edito da Skira un ricco volume introdotto dal saggio del curatore
Enrico Mascelloni, che analizza la ricerca dell’artista inquadrandola in un ampio contesto
denso di riferimenti. Segue l’indagine elaborata da Martina Corgnati sulle fonti arcaiche e
classiche che hanno ispirato l’immaginario dello scultore, stabilendo collegamenti diretti
con la statuaria etrusca, greco-romana e medievale. Quindi, Marco Tonelli affronta una
rilettura critica del Piccolo diario redatto da Leoncillo tra il 1957 e il 1964, oggetto di una
pubblicazione separata in cui il documento è riprodotto per la prima volta in copia
anastatica. Le opere esposte sono illustrate dalle fotografie di Agostino Osio e corredate
da schede critiche con una puntuale ricostruzione della vicenda espositiva e bibliografica.
Tempo ferito II, 1963
terracotta ingobbiata e smalti
173,4 x 75,6 x 39,8 cm
Completano il volume numerosi approfondimenti: Alessandra Caponi ricostruisce l’impegno dell’artista per committenze
pubbliche e private; Lorenzo Fiorucci commenta la corrispondenza con figure di spicco della critica dell’epoca come Roberto
Longhi e Cesare Brandi; Laura Lorenzoni ripercorre l’iter biografico dello scultore relativamente al periodo preso in esame. In
chiusura, il repertorio delle mostre personali tra il 1958 e il 1968 e un’antologia critica a cura di Elena Dalla Costa, oltre a
un’ampia e aggiornata sezione di apparati.
una mostra dedicata all’ultimo decennio dell’opera di Leoncillo, quando
prende corpo il suo linguaggio più maturo. La rassegna, a cura di Enrico
Mascelloni, con una selezione di oltre venti sculture di grandi e medie
dimensioni scelte tra le più significative del periodo, realizzate in terracotta
o in grès, propone un percorso scandito dalle tematiche che connotano la
ricerca di quegli anni, oggetto di costante interesse da parte della critica
più autorevole sia italiana che straniera. Le opere, eseguite tra il 1958 e il
1968, dopo la personale alla Galleria La Tartaruga a Roma nel 1957,
quando ancora prevale un naturalismo di ascendenza informale in cui si
individuano tuttavia le premesse della svolta successiva, vantano un
curriculum espositivo di prim’ordine, segnato dalla loro presenza in varie
edizioni della Biennale di Venezia, in numerose rassegne allestite in
importanti musei di tutta Europa, comprese le iniziative dedicate alla
scultura italiana promosse da Palma Bucarelli.
Nato a Spoleto nel 1915 e trasferitosi a Roma già negli anni ‘30, sin dal decennio
successivo e ancor più nei ’50, Leoncillo viene segnalato come uno dei protagonisti
della ricerca plastica del Novecento. Nel 1947 Alberto Moravia lo presenta nel catalogo
della Prima Mostra del Fronte Nuovo delle Arti alla Galleria della Spiga a Milano.
Roberto Longhi lo considera il più grande talento della sua epoca, tant’è che nel 1954
firma il testo di presentazione in catalogo per la sala personale alla XXVII Biennale di
Venezia e cura la monografia uscita per De Luca. Cesare Brandi lo pone ai vertici della
ritrattistica novecentesca considerandolo, nell’ultima fase della sua vicenda artistica,
alla pari di un maestro indiscusso dell’avanguardia italiana quale Lucio Fontana.
Questa mostra alla Galleria dello Scudo traccia un itinerario che muove dalla
personale di Leoncillo a Roma nel 1958 alla Galleria L’Attico di Bruno Sargentini, cui
si deve la monografia con testi di Giulio Carlo Argan e Maurizio Calvesi edita nel
1960. È questo un anno cruciale per l’artista, invitato con undici opere alla XXX
Biennale di Venezia. Segue, due anni dopo, la sua presenza nella rassegna Sculture
nella città a Spoleto, teatro di un imponente allestimento che mette in scena lavori di
maestri internazionali, da Alexander Calder a Henri Moore, da David Smith a Fritz
Wotruba. Nel 1965 le due esposizioni alla Galleria Odyssia di Federico Quadrani,
prima a Roma e poi a New York, contribuiscono a introdurre lo scultore in collezioni
americane. Del 1967 è l’invito a partecipare, con una gigantesca installazione in
terracotta, all’impegnativo progetto per il padiglione italiano all’Expo di Montreal.
Dopo aver esposto alla Modern Art Agency, tempio di Lucio Amelio in una Napoli in
pieno fermento, Leoncillo fa la sua ultima apparizione alla XXXIV Biennale di Venezia
del 1968 con una selezione di sculture di grande formato, alcune delle quali ora
proposte, quali Vento rosso (1958), Racconto di notte I (1961), San Sebastiano II
(1962), Racconto rosso (1963), Amanti antichi (1965). Dopo la sua improvvisa
scomparsa avvenuta nel settembre 1968, Giovanni Carandente è l’artefice della prima
retrospettiva, allestita a Spoleto nei Chiostri di San Nicolò nel 1969. Seguono l’ampia
rassegna alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 1979 e l’antologica a
cura di Giuseppe Appella ospitata nei suggestivi spazi delle Chiese Rupestri e del
Circolo La Scaletta a Matera nel 2002. Contemporaneamente, lavori di Leoncillo sono
riproposti in varie occasioni, molte delle quali volute da Fabio Sargentini, erede del
padre Bruno nella promozione dell’opera dell’artista.
Senza titolo (Scultura con gocce rosse),
1958-1959
terracotta con ossidi e smalti
43 x 70,9 x 28,9 cm
Taglio bianco, 1959
terracotta con idropittura, ossidi e smalti
151,3 x 104,8 x 28,2 cm
San Sebastiano nero, 1962
terracotta smaltata
130 x 70 x 35 cm
Il percorso della mostra documenta le tematiche affrontate dall’artista nell’ultimo
decennio. Ad aprirlo è Vento rosso del 1958, un lavoro che esemplifica uno dei soggetti
centrali nel linguaggio dell’artista: la scultura orizzontale. La materia è come sommossa
da un terremoto, tende alla condizione dell’orizzontale assoluta. È l’avvio di un fronte di
sperimentazioni successive sondate da personalità quali Pino Pascali, Jannis Kounellis,
Carl Andre, Richard Long.
Nelle Sculture con gocce rosse del 1958-1959, ai limiti del passaggio dal cosiddetto ultimo
naturalismo al suo ripudio, il sangue che sembra parafrasato dalle colature di smalto a
ricoprire la terracotta ha tutta l’oggettualità e la distanza raggelata di una materia
innaturale. Dopo di allora, tornano ossessivamente forme che gli sono sempre
appartenute. I due San Sebastiano, bianco e nero, l’uno del 1960 e l’altro del 1962,
riprendono il titolo di una delle più note ceramiche del 1939. Qui la materia è piagata,
agitata da un modellato nervoso e incessante; non a caso viene fatto esplicito rimando
nel titolo alla figura del santo che per tradizione è sottoposta a lenta e silente agonia, non
finita dalla cesura netta e finale di un gesto brutale.
Il Taglio rosso del 1963 offre all'impatto visivo una superfice quasi spianata, in ovvia
polarità con il magma incandescente all’interno che il colpo di stecco ha sviscerato,
abbattendovisi come una sentenza. Il taglio investe gran parte dell’opera e diviene
sovrano, distratto da null’altro che dalla propria incombenza.
Lo slancio verso l’alto, l’enfasi della “verticalità assoluta” che riduce talvolta la larghezza
dell’opera al minimo statico indispensabile, si esprime in lavori del 1962 come San
Sebastiano I e II e Affinità patetiche ora al Museo Carandente di Spoleto. Agente
provocatore della tensione verso l’alto delle forme è il taglio, ora aperto in uno “spacco”
lungo e profondo, che assume per l’artista precise valenze semantiche. È ben diverso da
quello che in Taglio bianco del 1959 si sviluppa lungo l’intera larghezza abbattendosi
come una ghigliottina sulle due facce della scultura.
Nei bassorilievi Racconto di notte I, 1961 e Racconto rosso, 1963 il taglio assume un tale
andamento ritmico da rendere intellegibile e insieme pulsionale l'idea stessa di racconto.
In Tempo ferito II, 1963 la forma potente e stagliata, che rimanda alla Crocifissione, è
rivestita da irregolari mattoni di terracotta che costringono lungo l’intero asse centrale
una materia convulsa e radicale. In Amanti antichi del 1965 la sagoma è direttamente
prelevata dal Sarcofago degli Sposi etrusco conservato a Roma al Museo Nazionale di
Villa Giulia. Gli sposi si trasformano in amanti, dunque l'opera si fa metafora ancora più
intensa dell'amore e della morte.
Per l’occasione viene edito da Skira un ricco volume introdotto dal saggio del curatore
Enrico Mascelloni, che analizza la ricerca dell’artista inquadrandola in un ampio contesto
denso di riferimenti. Segue l’indagine elaborata da Martina Corgnati sulle fonti arcaiche e
classiche che hanno ispirato l’immaginario dello scultore, stabilendo collegamenti diretti
con la statuaria etrusca, greco-romana e medievale. Quindi, Marco Tonelli affronta una
rilettura critica del Piccolo diario redatto da Leoncillo tra il 1957 e il 1964, oggetto di una
pubblicazione separata in cui il documento è riprodotto per la prima volta in copia
anastatica. Le opere esposte sono illustrate dalle fotografie di Agostino Osio e corredate
da schede critiche con una puntuale ricostruzione della vicenda espositiva e bibliografica.
Tempo ferito II, 1963
terracotta ingobbiata e smalti
173,4 x 75,6 x 39,8 cm
Completano il volume numerosi approfondimenti: Alessandra Caponi ricostruisce l’impegno dell’artista per committenze
pubbliche e private; Lorenzo Fiorucci commenta la corrispondenza con figure di spicco della critica dell’epoca come Roberto
Longhi e Cesare Brandi; Laura Lorenzoni ripercorre l’iter biografico dello scultore relativamente al periodo preso in esame. In
chiusura, il repertorio delle mostre personali tra il 1958 e il 1968 e un’antologia critica a cura di Elena Dalla Costa, oltre a
un’ampia e aggiornata sezione di apparati.
15
dicembre 2018
Leoncillo – Materia radicale. Opere 1958-1968
Dal 15 dicembre 2018 al 30 aprile 2019
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA DELLO SCUDO
Verona, Vicolo Scudo Di Francia, 2, (Verona)
Verona, Vicolo Scudo Di Francia, 2, (Verona)
Orario di apertura
lunedì - sabato 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.30
Vernissage
15 Dicembre 2018, h 19
Editore
SKIRA
Autore
Curatore