La galleria upp è lieta di presentare A bassa , la prima personale di Lia Cecchin.
Il lavoro artistico stacca dalla realtà un pezzo di testo, un oggetto, una relazione e mette tutto sul piedistallo, aggiungendo dell’altro, giocando su un nuovo sguardo. Operazione che produce finzione, si nutre di finzione e la presenza di quella registrazione originaria non si dà mai completamente, perché l'intervento artistico si alimenta di meccanismi illusionistici. Quindi, ci si chiede, perché affidarsi a questa finzione, e quindi in sostanza perché scrivere o fruire di un'opera. Alcune ragioni: credere a ciò che potrebbe essere falso ci preserva da eventuali esperienze che possono provocare danni fisici, soddisfa il bisogno di distrarci dal dolore o di sublimarlo rielaborandolo in un'altra forma, è il risultato di una empatia che ci fa sentire ascoltati, attori e destinatari di quella storia che leggiamo o percepiamo. In modo più radicale nell'opera riproponiamo il desiderio di arrivare ad una comprensione, ad un senso, ma se il tutto si fonda sulla pratica della finzione, la fine del racconto esorcizza temporaneamente la tensione della fine: quella morte potrebbe essere anche la nostra ma per fortuna, questa volta, non lo è.
Ecco la mostra sembra il tentativo di alludere su diversi livelli a queste ragioni prima del piedistallo; tracciando il suo plot l'artista non può che riflettere sulle condizioni che precedono la presenza di un possibile lavoro ripetendo, simulando, un desiderio. Lia è timida. (Stefano Coletto)
Lia Cecchin (1987) è nata a Feltre (BL) e attualmente vive e lavora Venezia e Milano

galleria upp is pleased to present A bassa voce (In a soft voice), Lia Cecchin's first solo exhibition.
An artist's work takes a part of a text, an object, a relationship out of reality and puts it all on a pedestal, adding something else, playing with a new point of view. It's an operation that produces and feeds on fiction; the initial recording never gives itself completely because the artistic intervention is nurtured by illusionistic mechanisms. The question is: why should we rely on this fiction and why should we write about it or enjoy it. There are some reasons. Believing in something that could be false might save us from experiences that could cause us physical harm. It satisfies the need to distract ourselves from pain or to sublimate it until we turn it into something else. It's the result of an empathy that makes us feel we've been heard, that we are actors in and recepients of the story we read and perceive. In a more radical way, we re-present our desire to understand, to reach a meaning. But if everything is based on fiction, the end of the story temporarily exorcizes the tension of the end: that death could be also be ours but, luckily, this time it's not.The exhibition tries to allude to these reasons on many different levels. Mapping out her plot, the artist cannot help but reflect upon the conditions that precede a possible work - repeating, simulating a wish.
Lia is shy. (Stefano Coletto)
Lia Cecchin (1987) was born in Feltre (BL) and lives in Venice and Milan.