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Lorenzo Ziliotti / Beatrice Besia – Vivre Libre, Peindre Libre
Mostra fotografica/pittorica di Lorenzo Ziliotti e Beatrice Besia
Comunicato stampa
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³Vivre libre, peindre libre²
di Paolo Barbaro
(docente di storia della fotografia all'università di Parma e curatore del libro)
Nel 2004 la pittrice Beatrice Besia incontra le fotografie di Lorenzo Ziliotti, una serie di immagini tratte dall Œ avventura intensa di un altro incontro, quello del fotografo con il Cirque Bidon, una straordinaria esperienza comunitaria, fuori da ogni circuito spettacolare istituzionalizzato, di grande carica utopica: un piccolo carrozzone di artisti, acrobati, mimi, che gira per il mondo con pochi animali, due cavalli (quelli che tirano i pochi carri) una capra e una gallina che forniscono cibo oltre che arte, e nessun apparato promozionale, quasi niente denaro. Un¹ esperienza straordinaria: quell¹incontro cambia la fotografia di Ziliotti, quasi gli cambia la vita e quasi scappa di casa per seguire il circo con la scusa di fotografarne la vita quotidiana (scompare nelle sue foto la distanza tra vita e spettacolo, tra quotidianità e arte), cambia anche l¹ atteggiamento formale e la sua proverbiale puntigliosità tecnica non è più fine a se stessa, è strumento efficace per restituire quel segmento intenso di esistenza.
A distanza di qualche mese anche per la pittrice si tratta di un¹esperienza inattesa e straordinaria, che cambia la sua pittura. Non è la prima volta, infatti, che Beatrice Besia si serve della fotografia: si era già servita di illustrazioni, ritagli, immagini che reimpiegava in impaginazioni levigate dal sapore simbolista, tutto sommato decorative, stese con il colore della pittura-pittura per antonomasia, l¹ olio. La fotografia come dato predefinito della bellezza, da rimettere in gioco costruendovi attorno una scena.
Con le foto di Ziliotti il caso è molto differente. Non sappiamo bene cosa in quelle immagini la folgora, forse è meglio lasciarlo all¹ evidenza delle opere, sta di fatto che qui le fotografie non sono più sostituzione del disegno preparatorio ma entrano prepotentemente nel procedimento di costruzione, anzi (uso le sue parole) di riduzione al quadro. Vengono acquisite per via digitale, se ne eliminano i grigi e si rileva la struttura grafica più netta iniziando a trasformarne l¹ equilibrio tonale; dopo questa riduzione l¹immagine viene proiettata- (e, come accade quasi sempre, da Achille Mauri, a Mario Schifano ma non, per esempio, nei New Realists come Chuck Close, ben lontani mi sembra da questa esperienza, la proiezione ha senso anche di proiezione psichica, di dislocazione fuori da se stessi di un dato interiore e forse nascosto fino a quel momento) su una superficie quasi impermeabile su cui si lavora a smalto, con toni essenziali: bianco, nero, sempre lo stesso grigio, qualche raro colore ulteriore di qualità molto grafica (giallo cromo, rossoŠ.). L¹ immagine viene ricostruita con campiture spesse, con campi grigi dove si vuole dare un fondo netto a emergenze taglienti, la trame della pittura è tesa e gestuale, fino ad una particolare declinazione del dripping, per filamenti veloci che catturano la luce e muovono lo sguardo, la resa è a tratti aleatoria, affidata allo spandersi libero dello smalto. Accadono cose inusuali per i pittori che usano la fotografia: un rispetto puntiglioso per le inquadrature, una libertà assoluta rispetto all¹identificazione, alla definizione del soggetto, fatto inedito anche nella sua pittura. Beatrice racconta che non sa nulla di fotografia ma evidentemente ha inteso in maniera profonda il senso di questo muoversi di Ziliotti dentro ad avvenimenti in cui si sente profondamente coinvolto, il suo mettere in quadro per creare uan tensione tra l¹immagine, il momento esistenziale e chi guarda la foto. Chi guarda i quadri, la pittura intensa (la pittrice insiste, lavora sul motivo, si percepisce bene che si tratta di studio, sperimentazione, tensione a sondare più che a definire) vede ancora altro, alla fotografia di Ziliotti viene sottratta la definizione scenica ma restituita una durata inattesa: volti e figure scompaiono e si confondono, sembra ne emergano altri e insistendo con lo sguardo la scena cambia ancora, poi riemergono i volti, i corpi e non sempre sono quelli che avevamo intuito al primo sguardo. In qualche modo il gesto di libertà del teatro vissuto da Lorenzo Ziliotti ha avuto la possibilità di tornare gesto in senso pieno con il gesto pittorico di Beatrice Besia.
Paolo Barbaro
febbraio 2005
(commento a "Giocoliere")
Ha il sapore delle scoperte o delle apparizioni.
Ha la vitalità di una marionetta i cui fili vengano mossi da altri (volutamente? a caso? con rabbia? con allegria?) e non si sa chi abbia il potere di muoverne le estremità.
Ma dietro alla maschera dipinta e stropicciata si intravedono i segni di un¹antica e sempre nuova riflessione su cosa è il teatro e la vita. Su cosa è la gioia e la tristezza, su cosa è l¹essere uomo e l¹essere buffone: non sono forse la stessa cosa?
In una chiarezza estrema del fondo così che non risulti verosimile, si materializza questo personaggio che sta tra il lacerto di un ricordo e il prodotto di una meditata proposta di modo di essere.
Buffone, appunto. Giocoliere duro (sembra fatta di legno, questa testa!) eppure dalla sguardo comprensivo, e un po¹ sognante...
Riccardo Buttafava
(storico e critico d'arte, Parma)
marzo 2005
di Paolo Barbaro
(docente di storia della fotografia all'università di Parma e curatore del libro)
Nel 2004 la pittrice Beatrice Besia incontra le fotografie di Lorenzo Ziliotti, una serie di immagini tratte dall Œ avventura intensa di un altro incontro, quello del fotografo con il Cirque Bidon, una straordinaria esperienza comunitaria, fuori da ogni circuito spettacolare istituzionalizzato, di grande carica utopica: un piccolo carrozzone di artisti, acrobati, mimi, che gira per il mondo con pochi animali, due cavalli (quelli che tirano i pochi carri) una capra e una gallina che forniscono cibo oltre che arte, e nessun apparato promozionale, quasi niente denaro. Un¹ esperienza straordinaria: quell¹incontro cambia la fotografia di Ziliotti, quasi gli cambia la vita e quasi scappa di casa per seguire il circo con la scusa di fotografarne la vita quotidiana (scompare nelle sue foto la distanza tra vita e spettacolo, tra quotidianità e arte), cambia anche l¹ atteggiamento formale e la sua proverbiale puntigliosità tecnica non è più fine a se stessa, è strumento efficace per restituire quel segmento intenso di esistenza.
A distanza di qualche mese anche per la pittrice si tratta di un¹esperienza inattesa e straordinaria, che cambia la sua pittura. Non è la prima volta, infatti, che Beatrice Besia si serve della fotografia: si era già servita di illustrazioni, ritagli, immagini che reimpiegava in impaginazioni levigate dal sapore simbolista, tutto sommato decorative, stese con il colore della pittura-pittura per antonomasia, l¹ olio. La fotografia come dato predefinito della bellezza, da rimettere in gioco costruendovi attorno una scena.
Con le foto di Ziliotti il caso è molto differente. Non sappiamo bene cosa in quelle immagini la folgora, forse è meglio lasciarlo all¹ evidenza delle opere, sta di fatto che qui le fotografie non sono più sostituzione del disegno preparatorio ma entrano prepotentemente nel procedimento di costruzione, anzi (uso le sue parole) di riduzione al quadro. Vengono acquisite per via digitale, se ne eliminano i grigi e si rileva la struttura grafica più netta iniziando a trasformarne l¹ equilibrio tonale; dopo questa riduzione l¹immagine viene proiettata- (e, come accade quasi sempre, da Achille Mauri, a Mario Schifano ma non, per esempio, nei New Realists come Chuck Close, ben lontani mi sembra da questa esperienza, la proiezione ha senso anche di proiezione psichica, di dislocazione fuori da se stessi di un dato interiore e forse nascosto fino a quel momento) su una superficie quasi impermeabile su cui si lavora a smalto, con toni essenziali: bianco, nero, sempre lo stesso grigio, qualche raro colore ulteriore di qualità molto grafica (giallo cromo, rossoŠ.). L¹ immagine viene ricostruita con campiture spesse, con campi grigi dove si vuole dare un fondo netto a emergenze taglienti, la trame della pittura è tesa e gestuale, fino ad una particolare declinazione del dripping, per filamenti veloci che catturano la luce e muovono lo sguardo, la resa è a tratti aleatoria, affidata allo spandersi libero dello smalto. Accadono cose inusuali per i pittori che usano la fotografia: un rispetto puntiglioso per le inquadrature, una libertà assoluta rispetto all¹identificazione, alla definizione del soggetto, fatto inedito anche nella sua pittura. Beatrice racconta che non sa nulla di fotografia ma evidentemente ha inteso in maniera profonda il senso di questo muoversi di Ziliotti dentro ad avvenimenti in cui si sente profondamente coinvolto, il suo mettere in quadro per creare uan tensione tra l¹immagine, il momento esistenziale e chi guarda la foto. Chi guarda i quadri, la pittura intensa (la pittrice insiste, lavora sul motivo, si percepisce bene che si tratta di studio, sperimentazione, tensione a sondare più che a definire) vede ancora altro, alla fotografia di Ziliotti viene sottratta la definizione scenica ma restituita una durata inattesa: volti e figure scompaiono e si confondono, sembra ne emergano altri e insistendo con lo sguardo la scena cambia ancora, poi riemergono i volti, i corpi e non sempre sono quelli che avevamo intuito al primo sguardo. In qualche modo il gesto di libertà del teatro vissuto da Lorenzo Ziliotti ha avuto la possibilità di tornare gesto in senso pieno con il gesto pittorico di Beatrice Besia.
Paolo Barbaro
febbraio 2005
(commento a "Giocoliere")
Ha il sapore delle scoperte o delle apparizioni.
Ha la vitalità di una marionetta i cui fili vengano mossi da altri (volutamente? a caso? con rabbia? con allegria?) e non si sa chi abbia il potere di muoverne le estremità.
Ma dietro alla maschera dipinta e stropicciata si intravedono i segni di un¹antica e sempre nuova riflessione su cosa è il teatro e la vita. Su cosa è la gioia e la tristezza, su cosa è l¹essere uomo e l¹essere buffone: non sono forse la stessa cosa?
In una chiarezza estrema del fondo così che non risulti verosimile, si materializza questo personaggio che sta tra il lacerto di un ricordo e il prodotto di una meditata proposta di modo di essere.
Buffone, appunto. Giocoliere duro (sembra fatta di legno, questa testa!) eppure dalla sguardo comprensivo, e un po¹ sognante...
Riccardo Buttafava
(storico e critico d'arte, Parma)
marzo 2005
20
marzo 2005
Lorenzo Ziliotti / Beatrice Besia – Vivre Libre, Peindre Libre
Dal 20 marzo al 10 aprile 2005
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA SAN BARTOLOMEO
Salsomaggiore Terme, Via Loschi, 5a, (Parma)
Salsomaggiore Terme, Via Loschi, 5a, (Parma)
Orario di apertura
mar_dom 10–13 e 16–19.30
Vernissage
20 Marzo 2005, ore 17
Autore