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Mambor Trasformatore
La mostra, suddivisa in tre aree espositive (Area A, Manica lunga, che raccoglie una vasta selezione di fotografie; Area B, Padiglione Grecale, con le opere dagli anni ‘60 agli anni ‘90 e Area C Padiglione Libeccio, che comprende le opere dagli anni ‘90 al 2014), ripercorre attraverso la selezione di una cinquantina di opere pittoriche e scultoree e una ricca documentazione fotografica, l’esperienza artistica di Renato Mambor (1936 – 2014), uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi sessant’anni, ovvero dal 1959 data delle sue prime opere, al 2014, anno della sua scomparsa
Comunicato stampa
Segnala l'evento
In occasione della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, inaugurerà il 13
maggio all’isola di San Servolo la mostra Mambor Trasformatore a cura di Alberto Dambruoso.
La mostra, suddivisa in tre aree espositive (Area A, Manica lunga, che raccoglie una vasta selezione
di fotografie; Area B, Padiglione Grecale, con le opere dagli anni ‘60 agli anni ‘90 e Area C Padiglione
Libeccio, che comprende le opere dagli anni ‘90 al 2014), ripercorre attraverso la selezione di una
cinquantina di opere pittoriche e scultoree e una ricca documentazione fotografica, l’esperienza artistica
di Renato Mambor (1936 - 2014), uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi sessant’anni, ovvero
dal 1959 data delle sue prime opere, al 2014, anno della sua scomparsa. L’eccezionalità di Mambor
Trasformatore risiede dunque nel suo essere un evento espositivo che consente di riscoprire tutta
l’opera di Renato Mambor.
Protagonista della Scuola romana di Piazza del Popolo dei primi anni Sessanta insieme a Schifano,
Angeli, Festa, Tacchi, Lombardo, Fioroni, Pascali, Mauri, Baruchello, Ceroli, Patella, Kounellis, Mambor ha
attraversato tutto il decennio partecipando al clima di rinnovamento dell’arte dopo il periodo Informale
e recitando un ruolo di primo piano anche come performer. Dopo aver inizialmente preso parte anche
al clima concettuale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta (verrà invitato anche alle
prime mostre dell’Arte Povera), Mambor si dedicherà per lungo tempo al teatro d’avanguardia per
ritornare all’attività espositiva a metà degli anni Ottanta, che non abbandonerà mai più fino alla sua
scomparsa, ottenendo negli ultimi dieci anni grandi riconoscimenti dall’estero oltreché in Italia.
Tra le opere più significative presenti in mostra Diario 67, opera collettiva composta da 10 pannelli nella
quale Mambor aveva chiamato a collaborare dieci suoi amici artisti (Boetti, Lombardo, Tacchi, Mauri,
Icaro, Ceroli, Mattiacci, Marotta, Pascali ),e il Diario 2007 (composto da 11 trittici) che ben sintetizza
la portata delle ricerca intrapresa nell’ultimo scorcio della sua carriera. Entrambi i Diari sono posti a
confronto nella stessa area espositiva. Una sezione è anche dedicata alla documentazione fotografica
riguardante il lavoro di carattere perfomativo realizzato dall’artista alla fine degli anni Sessanta - inizi
Settanta e quello relativo all’esperienza teatrale che l’aveva visto protagonista dal 1973 al 1985.
Renato Mambor, fin dall’inizio della sua attività artistica, ha inteso sviluppare un discorso che mirasse
ad entrare in contatto diretto con lo spettatore non attraverso l’imposizione della sua espressività bensì
in modo oggettivo, nel ruolo di suggeritore, di indicatore di possibili realtà da cogliere o inquadrare
sotto una diversa ottica. Etica ed estetica si sono fuse fin dal principio nella sua opera che si è posta
da sempre come un manuale per l’educazione della vista e un dispositivo in grado di trasformare le
persone attraverso l’esperienza con la sua opera.
“Guardare una cosa”, diceva Mambor, “è questione di accomodarla nel suo contesto abituale e di
riconoscerla per quello che abbiamo imparato che è. Vederla è questione di inquadrarla in modo del
tutto nuovo, del tutto fuori contesto”. Era ciò che aveva espresso in termini filosofici Gadamer in
Verità e metodo: “Ciò che propriamente si sperimenta in un’opera d’arte, ciò che in essa attrae la
nostra attenzione, non è piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla possa
conoscere e riconoscere in essa qualcosa e, insieme, se stesso. Che cosa sia il riconoscimento, nella
sua essenza più profonda, non lo si capisce se ci si limita a osservare che in esso viene conosciuto di
nuovo qualcosa che già si conosce, che il conosciuto viene riconosciuto. Il piacere del riconoscimento
consiste piuttosto nel fatto che in esso si conosce più di ciò che già si conosceva. Nel riconoscimento la
cosa conosciuta emerge, per così dire, come attraverso una nuova illuminazione, dalla casualità e dalla
variabilità delle condizioni in cui in genere è sommersa, e viene colta nella sua essenza”.
Preview per la stampa e ad invito: 11 e 12 maggio dalle ore 11.00 alle ore 17.00
maggio all’isola di San Servolo la mostra Mambor Trasformatore a cura di Alberto Dambruoso.
La mostra, suddivisa in tre aree espositive (Area A, Manica lunga, che raccoglie una vasta selezione
di fotografie; Area B, Padiglione Grecale, con le opere dagli anni ‘60 agli anni ‘90 e Area C Padiglione
Libeccio, che comprende le opere dagli anni ‘90 al 2014), ripercorre attraverso la selezione di una
cinquantina di opere pittoriche e scultoree e una ricca documentazione fotografica, l’esperienza artistica
di Renato Mambor (1936 - 2014), uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi sessant’anni, ovvero
dal 1959 data delle sue prime opere, al 2014, anno della sua scomparsa. L’eccezionalità di Mambor
Trasformatore risiede dunque nel suo essere un evento espositivo che consente di riscoprire tutta
l’opera di Renato Mambor.
Protagonista della Scuola romana di Piazza del Popolo dei primi anni Sessanta insieme a Schifano,
Angeli, Festa, Tacchi, Lombardo, Fioroni, Pascali, Mauri, Baruchello, Ceroli, Patella, Kounellis, Mambor ha
attraversato tutto il decennio partecipando al clima di rinnovamento dell’arte dopo il periodo Informale
e recitando un ruolo di primo piano anche come performer. Dopo aver inizialmente preso parte anche
al clima concettuale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta (verrà invitato anche alle
prime mostre dell’Arte Povera), Mambor si dedicherà per lungo tempo al teatro d’avanguardia per
ritornare all’attività espositiva a metà degli anni Ottanta, che non abbandonerà mai più fino alla sua
scomparsa, ottenendo negli ultimi dieci anni grandi riconoscimenti dall’estero oltreché in Italia.
Tra le opere più significative presenti in mostra Diario 67, opera collettiva composta da 10 pannelli nella
quale Mambor aveva chiamato a collaborare dieci suoi amici artisti (Boetti, Lombardo, Tacchi, Mauri,
Icaro, Ceroli, Mattiacci, Marotta, Pascali ),e il Diario 2007 (composto da 11 trittici) che ben sintetizza
la portata delle ricerca intrapresa nell’ultimo scorcio della sua carriera. Entrambi i Diari sono posti a
confronto nella stessa area espositiva. Una sezione è anche dedicata alla documentazione fotografica
riguardante il lavoro di carattere perfomativo realizzato dall’artista alla fine degli anni Sessanta - inizi
Settanta e quello relativo all’esperienza teatrale che l’aveva visto protagonista dal 1973 al 1985.
Renato Mambor, fin dall’inizio della sua attività artistica, ha inteso sviluppare un discorso che mirasse
ad entrare in contatto diretto con lo spettatore non attraverso l’imposizione della sua espressività bensì
in modo oggettivo, nel ruolo di suggeritore, di indicatore di possibili realtà da cogliere o inquadrare
sotto una diversa ottica. Etica ed estetica si sono fuse fin dal principio nella sua opera che si è posta
da sempre come un manuale per l’educazione della vista e un dispositivo in grado di trasformare le
persone attraverso l’esperienza con la sua opera.
“Guardare una cosa”, diceva Mambor, “è questione di accomodarla nel suo contesto abituale e di
riconoscerla per quello che abbiamo imparato che è. Vederla è questione di inquadrarla in modo del
tutto nuovo, del tutto fuori contesto”. Era ciò che aveva espresso in termini filosofici Gadamer in
Verità e metodo: “Ciò che propriamente si sperimenta in un’opera d’arte, ciò che in essa attrae la
nostra attenzione, non è piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla possa
conoscere e riconoscere in essa qualcosa e, insieme, se stesso. Che cosa sia il riconoscimento, nella
sua essenza più profonda, non lo si capisce se ci si limita a osservare che in esso viene conosciuto di
nuovo qualcosa che già si conosce, che il conosciuto viene riconosciuto. Il piacere del riconoscimento
consiste piuttosto nel fatto che in esso si conosce più di ciò che già si conosceva. Nel riconoscimento la
cosa conosciuta emerge, per così dire, come attraverso una nuova illuminazione, dalla casualità e dalla
variabilità delle condizioni in cui in genere è sommersa, e viene colta nella sua essenza”.
Preview per la stampa e ad invito: 11 e 12 maggio dalle ore 11.00 alle ore 17.00
11
maggio 2017
Mambor Trasformatore
Dall'undici maggio al 20 settembre 2017
arte contemporanea
Location
ISOLA DI SAN SERVOLO
Venezia, Isola Di san Servolo, (Venezia)
Venezia, Isola Di san Servolo, (Venezia)
Ufficio stampa
EQUA
Autore
Curatore