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Manuela Laurenti – Liberahadid, due gioielli di Architettura.
Due gioielli di Manuela Laurenti interpretano edifici costruiti nel XX secolo. Uno dei più celebri del Novecento, la casa di Libera e Malaparte a (Capri, 1938) e il Padiglione LF One (Weil am Rhein 1999), che segna la consacrazione di Zaha Hadid, icona donna-creativa-architetto di inizio millennio.
Comunicato stampa
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Le due opere in miniatura che la galleria Embrice espone sono due esempi di architetture emerse. Quando la cultura mima la natura fino a confondersi con essa nascono quegli oggetti che i greci chiamavano daidaloi, da cui Dedalo, patrono di architetti e artigiani.
Manuela Laurenti, architetto sui generis, invece di far grandi cose piccole, fa piccole cose grandi, miniaturizza gli edifici che predilige. Ne fa gioielli. Perché tali sono, sembra dirci, anche nella realtà.
Li tesaurizza per render loro omaggio.
I due gioielli esposti, Casa M. Collier e Zaha Collier, sono in qualche modo speculari: cristallo contornato di acque l'una, e forme fluide emerse dalla terra l'altra. Entrambe sono cristallizzazioni dello Zeitgeist, due maniere opposte di intendere l'architettura, forse complementari.
La scelta del luogo è innanzitutto l'opera.
Sullo scoglio di Capo Massullo a Capri, Kurt Suckert - alias Curzio Malaparte, fondatore dell'Arcitaliano - solo vero emulo di D'Annunzio, erigerà il proprio contro-Vittoriale.
Un eremo minimalista, scheggia confitta nel baricentro stesso del Mediterraneo.
Arca abitata da un leone solitario. Una zattera priva di albero maestro dove si ode il canto delle sirene senza rischio di naufragio.
"Il giorno che io mi son messo a costruire una casa, non credevo che avrei disegnato un ritratto di me stesso". 'Casa come me' è un ready-made.
E il trompe-l'oeil del camino vetrato della sala, dove la fiamma si sovrappone al moto delle onde sotto la rupe è il clou lirico-alchemico dell'autoritratto in pietra dello scrittore.
Un capitano Nemo esiliato: Malaparte nella sua Capri come Bonaparte a Sant'Elena. E il gesto di sfilare all'architetto Libera la paternità del monolite di Casa Malaparte equivale infine a quello napoleonico di incoronarsi da solo.
Carlo Laurenti
È quanto di più logico ci si possa aspettare, vedere un’opera architettonica di Zaha Hadid trasformata e miniaturizzata in gioiello, tanto da rientrare nell’ordine naturale delle cose (tutto si trasforma ecc.): Dame Hadid è sì diventata uno degli architetti più importanti e famosi del mondo, fino a ricadere nella poco amata categoria delle archistar, ma ha sempre portato con sé la pratica di altri “mestieri” e la produzione di oggetti altri. Si ricordino i disegni fatti sin da ragazza, attività questa del disegnare che si protrae a livello professionale e artistico dopo la conclusione degli studi e in avanti: soprattutto quel lungo periodo di tempo in cui Zaha Hadid era nota per le sue non-realizzazioni, di fatto per essere un’architetto che non costruiva, un’architetto virtuale (“paper architect” è stata definita). Poi, dal momento in cui le sue opere hanno cominciato a essere concretizzate, costruite, visibili, si è avviata un’altra fase di architettura praticata a tutto campo, insieme con la produzione di sofisticati mobili e oggetti per la casa, che mostrano come dal design (in inglese, «concetto, schizzo, disegno della forma e struttura di un’opera d’arte o di un edificio») non si fosse che a un passo al Design avente l’attuale, comune accezione. Il passo all’ulteriore fase, la progettazione e produzione di gioielli (furniture for the body?) in collaborazione con prestigiose case anche italiane, è stato breve, anzi una delle ultime importanti realizzazioni in questo campo è avvenuta settimane prima della prematurissima, improvvisa scomparsa di questa “architetto totale”, o semplicemente architetto puro: dal greco archi-tèkton, con tekton, artefice, dal sanscrito taksh, costruire, fare, comporre, digrossare; insomma il “capo degli artefici”, o dei falegnami, o ancora dei fabbri, una figura che, «propriamente, non crea dal nulla; ess[a] forma soltanto, ossia dà una forma, una veste» – quella, nuova, che Zaha Hadid ha cercato con caparbietà di dare alle relazioni e al mondo, modellando «un nuovo tipo di paesaggio che scorra all’unisono con le città contemporanee e le vite delle persone che le abitano» attraverso l’uso di materiali plastici come il cemento, la fibra di vetro, ma anche l’oro e la seta. L’ultimo stadio della metamorfosi – certamente non quello definitivo – è la trasformazione di uno dei primi “gioielli” architettonici di Zaha Hadid, lo spazio Landscape Formation One, in un gioiello senza virgolette, quello sbalzato in argento di un’altra architetto, Manuela Laurenti.
Carla Scura
Manuela Laurenti, architetto sui generis, invece di far grandi cose piccole, fa piccole cose grandi, miniaturizza gli edifici che predilige. Ne fa gioielli. Perché tali sono, sembra dirci, anche nella realtà.
Li tesaurizza per render loro omaggio.
I due gioielli esposti, Casa M. Collier e Zaha Collier, sono in qualche modo speculari: cristallo contornato di acque l'una, e forme fluide emerse dalla terra l'altra. Entrambe sono cristallizzazioni dello Zeitgeist, due maniere opposte di intendere l'architettura, forse complementari.
La scelta del luogo è innanzitutto l'opera.
Sullo scoglio di Capo Massullo a Capri, Kurt Suckert - alias Curzio Malaparte, fondatore dell'Arcitaliano - solo vero emulo di D'Annunzio, erigerà il proprio contro-Vittoriale.
Un eremo minimalista, scheggia confitta nel baricentro stesso del Mediterraneo.
Arca abitata da un leone solitario. Una zattera priva di albero maestro dove si ode il canto delle sirene senza rischio di naufragio.
"Il giorno che io mi son messo a costruire una casa, non credevo che avrei disegnato un ritratto di me stesso". 'Casa come me' è un ready-made.
E il trompe-l'oeil del camino vetrato della sala, dove la fiamma si sovrappone al moto delle onde sotto la rupe è il clou lirico-alchemico dell'autoritratto in pietra dello scrittore.
Un capitano Nemo esiliato: Malaparte nella sua Capri come Bonaparte a Sant'Elena. E il gesto di sfilare all'architetto Libera la paternità del monolite di Casa Malaparte equivale infine a quello napoleonico di incoronarsi da solo.
Carlo Laurenti
È quanto di più logico ci si possa aspettare, vedere un’opera architettonica di Zaha Hadid trasformata e miniaturizzata in gioiello, tanto da rientrare nell’ordine naturale delle cose (tutto si trasforma ecc.): Dame Hadid è sì diventata uno degli architetti più importanti e famosi del mondo, fino a ricadere nella poco amata categoria delle archistar, ma ha sempre portato con sé la pratica di altri “mestieri” e la produzione di oggetti altri. Si ricordino i disegni fatti sin da ragazza, attività questa del disegnare che si protrae a livello professionale e artistico dopo la conclusione degli studi e in avanti: soprattutto quel lungo periodo di tempo in cui Zaha Hadid era nota per le sue non-realizzazioni, di fatto per essere un’architetto che non costruiva, un’architetto virtuale (“paper architect” è stata definita). Poi, dal momento in cui le sue opere hanno cominciato a essere concretizzate, costruite, visibili, si è avviata un’altra fase di architettura praticata a tutto campo, insieme con la produzione di sofisticati mobili e oggetti per la casa, che mostrano come dal design (in inglese, «concetto, schizzo, disegno della forma e struttura di un’opera d’arte o di un edificio») non si fosse che a un passo al Design avente l’attuale, comune accezione. Il passo all’ulteriore fase, la progettazione e produzione di gioielli (furniture for the body?) in collaborazione con prestigiose case anche italiane, è stato breve, anzi una delle ultime importanti realizzazioni in questo campo è avvenuta settimane prima della prematurissima, improvvisa scomparsa di questa “architetto totale”, o semplicemente architetto puro: dal greco archi-tèkton, con tekton, artefice, dal sanscrito taksh, costruire, fare, comporre, digrossare; insomma il “capo degli artefici”, o dei falegnami, o ancora dei fabbri, una figura che, «propriamente, non crea dal nulla; ess[a] forma soltanto, ossia dà una forma, una veste» – quella, nuova, che Zaha Hadid ha cercato con caparbietà di dare alle relazioni e al mondo, modellando «un nuovo tipo di paesaggio che scorra all’unisono con le città contemporanee e le vite delle persone che le abitano» attraverso l’uso di materiali plastici come il cemento, la fibra di vetro, ma anche l’oro e la seta. L’ultimo stadio della metamorfosi – certamente non quello definitivo – è la trasformazione di uno dei primi “gioielli” architettonici di Zaha Hadid, lo spazio Landscape Formation One, in un gioiello senza virgolette, quello sbalzato in argento di un’altra architetto, Manuela Laurenti.
Carla Scura
31
marzo 2017
Manuela Laurenti – Liberahadid, due gioielli di Architettura.
Dal 31 marzo all'otto aprile 2017
architettura
design
design
Location
GALLERIA EMBRICE
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato, ore 18.00 - 20.00.
Vernissage
31 Marzo 2017, 18.00 - 22.00
Autore