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Maria Lai – Il filo e l’infinito
Nell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, fino al 3 giugno, attraverso il tema del filo, Maria Lai coniuga la tradizione della civiltà sarda con i linguaggi dell’arte contemporanea
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Appo intenso sonu’ e telarzu, e sa bidda no parìat più morta …” (Ho sentito un batter di
telaio, e il villaggio non mi sembrava più morto) , ha scritto Salvatore Cambosu, scrittore sardo
e prima insegnante poi grande amico di Maria Lai. Anzi, lui dettava e lei scriveva.
L’opera di Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013) si impone nel
panorama artistico internazionale e lo dimostra la sua presenza, l’anno scorso, sia alla Biennale di
Venezia, sia a Documenta di Kassel.
La mostra, curata da Elena Pontiggia e corredata di un ampio catalogo edito da Sillabe, celebra la
sua ricerca che si è svolta per più di un settantennio, con un costante rinnovarsi del linguaggio che
la porta dal realismo lirico degli anni Quaranta alle scelte informali dei tardi anni Cinquanta e dai
lavori polimaterici dei primi anni Sessanta alle successive opere concettuali.
Va compreso in tutta la sua profondità il significato della sua azione collettiva Legarsi alla
montagna, che si vede nei video con cui idealmente si apre questa mostra: coivolgendo
completamente paesaggio e persone, Maria Lai realizza qualcosa di magico a Ulassai, il paese tra
i monti dell’Ogliastra dove era nata, a cui la stringevano vincoli di affetto, ma anche l’esperienza
tragica della morte del fratello, ucciso a trentadue anni in un tentativo di sequestro.
Legarsi alla montagna è la prima opera relazionale compiuta in Italia e si ispira a un’antica
leggenda che tutti a Ulassai conoscevano: la storia di una bambina che, durante un furioso temporale, esce dalla grotta dove si era rifugiata, attratta da un bellissimo nastro che vola nel cielo
e, con quel gesto a prima vista azzardato, si salva da una frana devastante. L’insegnamento della
leggenda è semplice: la bellezza e l’arte, apparentemente così inutili, ci salvano la vita.
Il primo filo da considerare in questa mostra è dunque quel nastro ormai distrutto (strisce di tela
lunghe in tutto ventisei chilometri) con cui Maria Lai entra nella scena dell’arte contemporanea
internazionale.
“Al centro della questa rassegna – spiega Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi -
sta il mezzo più tipico del suo lavoro cioè quel filo che “lega e collega” in maniera senz’altro viva
e che infatti spesso rimane libero e non ancora cucito: tra i vari riferimenti mitologici non può che
ricordare Penelope che tesse durante il giorno e nella notte scioglie i fili”.
Il telaio, lo strumento millenario della tessitura, compare già in un suo disegno degli anni
Quaranta e figure di tessitrici si incontrano nelle sue carte successive. Nel 1967 realizza Oggetto-
paesaggio, esposto qui nella prima sala della mostra: un telaio disfatto, ingombro di fili spezzati e
senza ordine, che occupa lo spazio come un totem. Una scultura/installazione che dialoga con
l’arte concettuale, in particolare con il Nouveau Réalisme di Arman e Spoerri, e più ancora con le
“armi” di Pascali, dell’anno precedente. Già qui il rapporto doppio col passato e con la
contemporaneità è caratteristico della ricerca di Maria Lai e porta ogni suo lavoro a essere al
tempo stesso aperto ai linguaggi dell’oggi e legato alle proprie radici e alla propria storia.
Dai Telai nascono le Tele cucite, che da un lato continuano a evocare il mondo arcaico dell’arte
tessile della Sardegna, dall’altro si inseriscono in quella ricerca espressiva che lavora non sulla
tela, ma con la tela dialogando quindi con i polimaterici di Prampolini, i Sacchi di Burri, le Tele
fasciate di Scarpitta, i tessuti irrigiditi dal caolino di Piero Manzoni, le tele di Castellani e
Bonalumi o in quelle svuotate di Dadamaino.
Lai trasforma l’oggetto quotidiano, nato per essere utile o almeno decorativo, in un oggetto
poetico che non serve a nulla, ma è più importante di ogni funzionalità perché insegna a pensare e
a capire.
Il passo successive sono le Scritture dalle quali nascono, sempre alla fine degli anni Settanta ,
secondo un percorso strettamente consequenziale, i Libri che spesso si compongono in fiabe
visive: tra le prime, Tenendo per mano l’ombra, del 1987, incentrato sulla capacità di accettare il
negativo che è in noi tutti.
Per la seconda volta gli spazi delle Gallerie degli Uffizi ospitano Maria Lai: nel 2004 l’artista
aveva allestito al Giardino di Boboli l’Invito a tavola, un grande desco apparecchiato con pane e
libri in terracotta, che proprio adesso è in mostra a New York. Non mancano riferimenti a Firenze
nell’opera dell’artista sarda: dalle mappe immaginarie di Leonardo da Vinci copiate a Firenze,
fino all’opera Il mare ha bisogno di fichi, realizzata nel 1986 in occasione del ventesimo
anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966.
“Questo dovrebbe fare l’arte: farci sentire più uniti” amava dire Maria.
telaio, e il villaggio non mi sembrava più morto) , ha scritto Salvatore Cambosu, scrittore sardo
e prima insegnante poi grande amico di Maria Lai. Anzi, lui dettava e lei scriveva.
L’opera di Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013) si impone nel
panorama artistico internazionale e lo dimostra la sua presenza, l’anno scorso, sia alla Biennale di
Venezia, sia a Documenta di Kassel.
La mostra, curata da Elena Pontiggia e corredata di un ampio catalogo edito da Sillabe, celebra la
sua ricerca che si è svolta per più di un settantennio, con un costante rinnovarsi del linguaggio che
la porta dal realismo lirico degli anni Quaranta alle scelte informali dei tardi anni Cinquanta e dai
lavori polimaterici dei primi anni Sessanta alle successive opere concettuali.
Va compreso in tutta la sua profondità il significato della sua azione collettiva Legarsi alla
montagna, che si vede nei video con cui idealmente si apre questa mostra: coivolgendo
completamente paesaggio e persone, Maria Lai realizza qualcosa di magico a Ulassai, il paese tra
i monti dell’Ogliastra dove era nata, a cui la stringevano vincoli di affetto, ma anche l’esperienza
tragica della morte del fratello, ucciso a trentadue anni in un tentativo di sequestro.
Legarsi alla montagna è la prima opera relazionale compiuta in Italia e si ispira a un’antica
leggenda che tutti a Ulassai conoscevano: la storia di una bambina che, durante un furioso temporale, esce dalla grotta dove si era rifugiata, attratta da un bellissimo nastro che vola nel cielo
e, con quel gesto a prima vista azzardato, si salva da una frana devastante. L’insegnamento della
leggenda è semplice: la bellezza e l’arte, apparentemente così inutili, ci salvano la vita.
Il primo filo da considerare in questa mostra è dunque quel nastro ormai distrutto (strisce di tela
lunghe in tutto ventisei chilometri) con cui Maria Lai entra nella scena dell’arte contemporanea
internazionale.
“Al centro della questa rassegna – spiega Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi -
sta il mezzo più tipico del suo lavoro cioè quel filo che “lega e collega” in maniera senz’altro viva
e che infatti spesso rimane libero e non ancora cucito: tra i vari riferimenti mitologici non può che
ricordare Penelope che tesse durante il giorno e nella notte scioglie i fili”.
Il telaio, lo strumento millenario della tessitura, compare già in un suo disegno degli anni
Quaranta e figure di tessitrici si incontrano nelle sue carte successive. Nel 1967 realizza Oggetto-
paesaggio, esposto qui nella prima sala della mostra: un telaio disfatto, ingombro di fili spezzati e
senza ordine, che occupa lo spazio come un totem. Una scultura/installazione che dialoga con
l’arte concettuale, in particolare con il Nouveau Réalisme di Arman e Spoerri, e più ancora con le
“armi” di Pascali, dell’anno precedente. Già qui il rapporto doppio col passato e con la
contemporaneità è caratteristico della ricerca di Maria Lai e porta ogni suo lavoro a essere al
tempo stesso aperto ai linguaggi dell’oggi e legato alle proprie radici e alla propria storia.
Dai Telai nascono le Tele cucite, che da un lato continuano a evocare il mondo arcaico dell’arte
tessile della Sardegna, dall’altro si inseriscono in quella ricerca espressiva che lavora non sulla
tela, ma con la tela dialogando quindi con i polimaterici di Prampolini, i Sacchi di Burri, le Tele
fasciate di Scarpitta, i tessuti irrigiditi dal caolino di Piero Manzoni, le tele di Castellani e
Bonalumi o in quelle svuotate di Dadamaino.
Lai trasforma l’oggetto quotidiano, nato per essere utile o almeno decorativo, in un oggetto
poetico che non serve a nulla, ma è più importante di ogni funzionalità perché insegna a pensare e
a capire.
Il passo successive sono le Scritture dalle quali nascono, sempre alla fine degli anni Settanta ,
secondo un percorso strettamente consequenziale, i Libri che spesso si compongono in fiabe
visive: tra le prime, Tenendo per mano l’ombra, del 1987, incentrato sulla capacità di accettare il
negativo che è in noi tutti.
Per la seconda volta gli spazi delle Gallerie degli Uffizi ospitano Maria Lai: nel 2004 l’artista
aveva allestito al Giardino di Boboli l’Invito a tavola, un grande desco apparecchiato con pane e
libri in terracotta, che proprio adesso è in mostra a New York. Non mancano riferimenti a Firenze
nell’opera dell’artista sarda: dalle mappe immaginarie di Leonardo da Vinci copiate a Firenze,
fino all’opera Il mare ha bisogno di fichi, realizzata nel 1986 in occasione del ventesimo
anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966.
“Questo dovrebbe fare l’arte: farci sentire più uniti” amava dire Maria.
08
marzo 2018
Maria Lai – Il filo e l’infinito
Dall'otto marzo al 03 giugno 2018
arte contemporanea
Location
PALAZZO PITTI
Firenze, Piazza Dei Pitti, (Firenze)
Firenze, Piazza Dei Pitti, (Firenze)
Vernissage
8 Marzo 2018, su invito
Editore
SILLABE
Ufficio stampa
CIVITA GROUP
Autore
Curatore