Come scrive Daniela Fonti: «Ci sono modi diversi per accostarsi al mondo pittorico di Marisa Facchinetti, e per molti aspetti appaiono tutti legittimi, se non si ha paura di far ricorso a teorie, esperienze e vissuti d’altri tempi, storici voglio dire, che tanta paura fanno agli artisti di oggi. Nell’ansia di originalità che caratterizza moltissimi di loro, il fatto che un critico accenni, anche in modo mediato ed indiretto, alla presenza operante della grande pittura storica nel lavoro di un artista contemporaneo sembra sminuente per non dire del tutto svalutativo. Ma non si può evitare di sottolineare in lei, come hanno fatto tanti e acuti interpreti del suo lavoro, l’attrazione globalizzante del colore liberato dalle avanguardie storiche, poi fattasi teoria nei libri di Johannes Itten né, andando ancora indietro, una personale rimeditazione della pennellata divisionista trasferita, con un certo coraggio, nella dimensione inconscia della libera gestualità dell’informale.»
Rosalba Zuccaro scrive che Marisa Facchinetti: «…si offre ad una ricezione allargata e pluralistica quale conoscenza di una realtà altra rispetto a quella dell’esistenza quotidiana, anche se, nella sua compiuta autoreferenzialità, si relaziona all’esperienza concreta, visiva, emotiva e mentale, del mondo e delle cose. Lo sguardo ed il pensiero dell’osservatore si concentrano e si confrontano con il colore, con una materia visibile, vitale e sensibile la cui fisicità è tramutata in immagini stratificate, espressione di una poetica del frammento e del tempo, manifestazione di una veritiera e genuina etica del vedere e del fare. Il colore, la luce, l’energia da essenza dell’esistenza vengono trasfigurate nell’altrove della pittura attraverso la quale Marisa, con meraviglia e inventiva, presenta e partecipa la sua logica del sentimento, il suo ordine disordinato della fantasia, il suo modo sincero e attivo di essere nella contemporaneità.»