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Matilde Tomat – Wo/a(ds) & photos
12 pannelli di 3 foto ciascuno ripercorrono in chiave moderna “Oltre la nona onda”, il libro che Matilde Tomat ha pubblicato nel 1999, per presentare la storia di Wulf e Morrigan, l’amore, il disincanto, la delusione e l’abbandono
Comunicato stampa
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Inaugurazione personale di Matilde Tomat – wo/a(ds) & photosI – 4 luglio 2008, ore 18.30, Antico Caffè San Marco, Cividale del Friuli (Udine)
12 pannelli di 3 foto ciascuno ripercorrono in chiave moderna Oltre la nona onda, il libro che Matilde Tomat ha pubblicato nel 1999 (oppure edizioni, Roma) per presentare la storia di Wulf e Morrigan, l’amore, il disincanto, la delusione e l’abbandono. Morrigan è la donna abbandonata che soffre e si riscatta attraverso un precorso interiore di consapevolezza, e anche la figurazione della divinità celtica che adombra la “grande regina”, colei che nelle leggende arturiane sopravvive come Morgana. Un figura complessa, dunque, che richiama tre diverse individualità, le mescola e in qualche modo le confonde. Tre donne, tre rappresentazioni della “dea”. La mostra alterna immagini contemporanee, quasi scattate ora per dare il segno dell’accadimento nel presente, e frammenti di versi che si integrano alle immagini, diventano parti di esse, come parti di una scrittura poliforme che supera i generi e gli steccati. Non quindi commenti o riflessioni sulle forme, ma segni verbali che si muovono sulla stessa lunghezza d’onda delle fotografie, le accompagnano nel loro disporsi a rendere dicibile un grumo nascosto e profondo di dolore. La novità del percorso è che le immagini e le parole raccontano una storia femminile declinata nel suo procedere temporale, dalla presentazione di tre figure di donne e di uomini, appunto, ai primi approcci, ai baci, alle mani intrecciate, alla casa o dimora come luogo dell’amore, alla vita quotidiana rappresentata dagli oggetti (le scarpe), alle iniziali avvisaglie di crisi, di inquietudine, di separazione interiore (la grata), all’ambivalenza degli affetti con la prepotente carica sensuale che dirompe, alla rabbia, disperazione, crisi profonda, solitudine fino al distacco finale con l’epilogo ancora una volta triplice: una campana che suona nella immobilità del soggetto e, direi, della stessa aria circostante, un volo meccanico che denota un che di artificiale, uno sforzo di cui non è chiaro l’esito, una cornacchia librantesi nell’aria aperta che sceglie la libertà. Immagini sempre un poco oblique, giocate sui dettagli, sul bianco e nero a volte ambrato dalle sfumature, sui particolari colti al volo, con la ricerca di un punto di osservazione quasi casuale come a seguire e dare credito al ritmo apparentemente casuale della vita: le cose accadono oltre la nostra volontà e i nostri progetti, e noi ne veniamo coinvolti e spesso straziati senza poterci veramente difendere, senza disporre di un diaframma di qualunque tipo che ci protegga. Solo la ricerca interiore, la solitudine, il colloquio senza veli con sé stessi porta alla consapevolezza e alla libertà. Ma a prezzo di grandi sofferenze. Matilde Tomat ha una strada discretamente lunga che la lega alla fotografia; dalla famiglia ha tratto una consuetudine proposta con il padre, fotografo dilettante, abile costruttore e collezionista di macchine fotografie, lo zio purista della fotografia e la sorella che ha studiato fotografia applicata alla biologia: non poteva lei stessa non cimentarsi con quest’arte. Sembra che il modello che Matilde segue sia quello dell’indagine conoscitiva disposta nel modo più ampio possibile, come se lo strumento fosse un altro “occhio” capace di leggere il mondo oltre i sensi umani o meglio oltre la razionalità prevedibile del nostro sguardo consueto. Come se attraverso la macchina (ma sappiamo bene che non è una operazione automatica) si scoprisse qualcosa che l’inconscio già percepisce ma che ancora non si vede con gli occhi. Qualcosa di perturbante nel senso di conosciuto e nello stesso tempo estraneo, spiazzante, pauroso. (Gabriella Musetti)
12 pannelli di 3 foto ciascuno ripercorrono in chiave moderna Oltre la nona onda, il libro che Matilde Tomat ha pubblicato nel 1999 (oppure edizioni, Roma) per presentare la storia di Wulf e Morrigan, l’amore, il disincanto, la delusione e l’abbandono. Morrigan è la donna abbandonata che soffre e si riscatta attraverso un precorso interiore di consapevolezza, e anche la figurazione della divinità celtica che adombra la “grande regina”, colei che nelle leggende arturiane sopravvive come Morgana. Un figura complessa, dunque, che richiama tre diverse individualità, le mescola e in qualche modo le confonde. Tre donne, tre rappresentazioni della “dea”. La mostra alterna immagini contemporanee, quasi scattate ora per dare il segno dell’accadimento nel presente, e frammenti di versi che si integrano alle immagini, diventano parti di esse, come parti di una scrittura poliforme che supera i generi e gli steccati. Non quindi commenti o riflessioni sulle forme, ma segni verbali che si muovono sulla stessa lunghezza d’onda delle fotografie, le accompagnano nel loro disporsi a rendere dicibile un grumo nascosto e profondo di dolore. La novità del percorso è che le immagini e le parole raccontano una storia femminile declinata nel suo procedere temporale, dalla presentazione di tre figure di donne e di uomini, appunto, ai primi approcci, ai baci, alle mani intrecciate, alla casa o dimora come luogo dell’amore, alla vita quotidiana rappresentata dagli oggetti (le scarpe), alle iniziali avvisaglie di crisi, di inquietudine, di separazione interiore (la grata), all’ambivalenza degli affetti con la prepotente carica sensuale che dirompe, alla rabbia, disperazione, crisi profonda, solitudine fino al distacco finale con l’epilogo ancora una volta triplice: una campana che suona nella immobilità del soggetto e, direi, della stessa aria circostante, un volo meccanico che denota un che di artificiale, uno sforzo di cui non è chiaro l’esito, una cornacchia librantesi nell’aria aperta che sceglie la libertà. Immagini sempre un poco oblique, giocate sui dettagli, sul bianco e nero a volte ambrato dalle sfumature, sui particolari colti al volo, con la ricerca di un punto di osservazione quasi casuale come a seguire e dare credito al ritmo apparentemente casuale della vita: le cose accadono oltre la nostra volontà e i nostri progetti, e noi ne veniamo coinvolti e spesso straziati senza poterci veramente difendere, senza disporre di un diaframma di qualunque tipo che ci protegga. Solo la ricerca interiore, la solitudine, il colloquio senza veli con sé stessi porta alla consapevolezza e alla libertà. Ma a prezzo di grandi sofferenze. Matilde Tomat ha una strada discretamente lunga che la lega alla fotografia; dalla famiglia ha tratto una consuetudine proposta con il padre, fotografo dilettante, abile costruttore e collezionista di macchine fotografie, lo zio purista della fotografia e la sorella che ha studiato fotografia applicata alla biologia: non poteva lei stessa non cimentarsi con quest’arte. Sembra che il modello che Matilde segue sia quello dell’indagine conoscitiva disposta nel modo più ampio possibile, come se lo strumento fosse un altro “occhio” capace di leggere il mondo oltre i sensi umani o meglio oltre la razionalità prevedibile del nostro sguardo consueto. Come se attraverso la macchina (ma sappiamo bene che non è una operazione automatica) si scoprisse qualcosa che l’inconscio già percepisce ma che ancora non si vede con gli occhi. Qualcosa di perturbante nel senso di conosciuto e nello stesso tempo estraneo, spiazzante, pauroso. (Gabriella Musetti)
04
luglio 2008
Matilde Tomat – Wo/a(ds) & photos
Dal 04 al 31 luglio 2008
fotografia
Location
ANTICO CAFFE’ SAN MARCO
Cividale Del Friuli, Largo Boiani, 5, (Udine)
Cividale Del Friuli, Largo Boiani, 5, (Udine)
Vernissage
4 Luglio 2008, ore 18.30
Sito web
www.fotolog.com/mtph
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