Tante volte ci siamo aggirati per palazzi e case-museo meravigliose senza avere la possibilità di toccare nulla. Sorvegliati da guardiani cerberi e solerti (ma purtroppo in Italia non sempre è così), pronti a distrarci con parole dure dalla bellezza degli oggetti che vedevamo, per riportarci brutalmente alla realtà del “non si può toccare”, “non si può fotografare, grazie”. Matteo Farolfi ci ha aiutato nel sogno di uccidere il guardiano. Con lui possiamo osare ciò che non abbiamo mai osato. Ad accompagnarci nelle nostre clandestine peregrinazioni troviamo un umanoide in plastica senza identità e senza volto che come un fantasma si aggira tra le bellezze architettoniche di ville e giardini, mescolando le sue suadenti linee curve forme organiche, erotiche in un aereo viaggio nel tempo e nello spazio dal Rinascimento all’Art Nouveau. Sono tutti luoghi caratterizzati da ornamenti tipicamente vegetali o floreali di grande raffinatezza. La natura però rimane imprigionata in una scatola di plastica: il supporto in plexiglass sul quale sono realizzate le opere evidenzia infatti l’eterno paradosso tra natura e chimica, quest’ultima intesa come strumento utilizzato dall’uomo per dominare il creato e sottometterlo alle proprie esigenze”.