A didascalia dei quadri di Mauro Maulini si potrebbe adottare un pensiero di Jorge Luis Borges: “Il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio”. La memoria è quella del suo amato lago, delle colline del Cusio, delle piccole manciate di case abbracciate ai monti o di silenziose marine, che per la loro involontaria vocazione epica paiono uscite dai fantastici racconti di Ulisse. La memoria è un insieme di emozioni, di ricordi, di affetti, di parole dette e sentite, di pensieri dichiarati e di quelli più reconditi. Qualcosa che fa affiorare da dentro commoventi visioni, colori da affresco e sussurrate confessioni. E l’oblio? L’oblio è la salvezza. E’ abbandonarsi alla quiete, è cullarsi in spazi senza tempo, è perdersi in tenere malinconie, in una parola è dimenticarsi di esistere.
Quelli che Maulini dipinge sono dunque racconti che alla grammatica e alla sintassi preferiscono il sogno e tra il reale e il fantastico scelgono di indossare i panni della chimera e non per un eccesso di evasione o perché meno impegnativi, ma semmai per un urgente bisogno di confidenza: “Un uomo – per citare ancora Borges - si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”.
Lorella Giudici