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Michael Rakowitz – Legatura imperfetta / Imperfect Binding
Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenta la prima retrospettiva europea dedicata all’artista statunitense della diaspora ebraica-irachena Michael Rakowitz (Great Neck, NY, 1973, vive e lavora a Chicago), vincitore del prestigioso Nasher Prize 2020, annunciato il 5 settembre scorso
Comunicato stampa
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Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenta la prima retrospettiva europea dedicata
all’artista statunitense della diaspora ebraica-irachena Michael Rakowitz (Great Neck, NY, 1973,
vive e lavora a Chicago), vincitore del prestigioso Nasher Prize 2020, annunciato il 5 settembre
scorso. Il premio è assegnato ogni anno a un artista vivente il cui corpus di opere ha avuto un
impatto straordinario sulla nostra comprensione della scultura. I precedenti vincitori del premio sono
stati Doris Salcedo, Iza Genzken, Pierre Huyghe e Theaster Gates.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra, è curata da Carolyn
Christov-Bakargiev e Iwona Blazwick insieme ai curatori delle rispettive istituzioni Marianna
Vecellio per il Castello di Rivoli e Habda Rashid per la Whitechapel Gallery. Nella primavera del
2020 la mostra sarà presentata alla Jameel Foundation a Dubai.
Il 7 ottobre prossimo l’ampia retrospettiva sarà inaugurata negli spazi della Manica Lunga del
Castello di Rivoli. La mostra è concomitante con la grande scultura pubblica Lamassu, 2018, il toro
alato assiro dal volto umano realizzato dall’artista per il progetto ‘Fourth Plinth’ collocato
attualmente a Trafalgar Square a Londra e visibile fino a marzo 2020.
Rakowitz crea sculture, disegni, installazioni, video, nonché progetti collaborativi e performativi.
La mostra presenta in anteprima le più importanti opere realizzate dall’artista in oltre vent’anni di
attività ispirate all’architettura, all’archeologia, alla cucina e alla geopolitica dall’antichità a oggi. Le
opere narrano le grandi trasformazioni storiche causate da guerre e altri traumi, denunciando le
contraddizioni della globalizzazione.
Afferma Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea:
“Particolarmente sensibile alle sofferenze umane, Rakowitz è conosciuto soprattutto per i suoi
progetti relazionali e partecipativi, concepiti anche per esistere fuori dai contesti tradizionali dei
musei e delle gallerie”.
Recensendo la mostra su ‘The Guardian’, il critico d’arte Adrian Searle ha commentato
“L’affascinante mostra di Michael Rakowitz alla Whitechapel è piena di sorprese. È anche
un’esperienza estenuante. Il lavoro di Rakowitz si nutre di retroscena e spiegazioni. […] Potreste
imparare qualcosa e trovarvi commossi, arrabbiati e sopraffatti dai dolori e dalla distruzione del
mondo”.
La mostra inizia con paraSITE (paraSITO, 1997–in corso), rifugi provvisori gonfiabili per i senzatetto
delle grandi metropoli americane, progettati dall’artista, tenendo conto delle esigenze e della
personalità di ciascun individuo, e realizzati con sacchi di plastica collegati ai tubi di scarico dei
sistemi di ventilazione degli edifici in modo che l’aria calda, altrimenti dissipata all’esterno, gonfi e
scaldi queste strutture.
Il percorso prosegue con Dull Roar (Boato sordo, 2005), una grande installazione architettonica
che riproduce un edificio del complesso abitativo americano Pruitt-Igoe di St. Louis nel Missouri.
Questo complesso di architettura popolare degli anni Cinquanta, inizialmente costruito per dare alle
persone “sole, spazio e verde”, si è trasformato in zona di conflitto e segregazione e per questa
ragione è stato fatto demolire negli anni Settanta. L’opera di Rakowitz allude proprio all’evento della
demolizione del complesso, la cui risonanza ne ha fatto il simbolo della fine del Modernismo
architettonico e delle utopie sociali nell’architettura.
Per realizzare l’opera White man got no dreaming (L’uomo bianco non ha sogni, 2008), l’artista
ha coinvolto gran parte degli abitanti appartenenti alla comunità indigena aborigena del quartiere
The Block a Redfern, Sydney (Australia) in occasione della Biennale di Sydney del 2008, un’area
centrale destinata alla demolizione nell’ambito di un progetto di “gentrificazione” del territorio. Sul
modello utopico del Monumento alla Terza Internazionale (1919) progettato e mai realizzato
dall’avanguardista russo Vladimir Tatlin, Rakowitz ha lavorato a stretto contatto con la comunità
realizzando una torre a forma della Torre di Tatlin con materiali edili di scarto provenienti dalle loro
case. L’opera, affrontando i temi della vita indigena in Australia, crea nuovi parallelismi con la storia
dell’architettura visionaria e anche con i suoi fallimenti.
L’accostamento poetico tra due distruzioni lontane tra loro dal punto di vista della geografia e della
storia è la cifra dell’installazione What dust will rise? (Quale polvere sorgerà?, 2012). Utilizzando
la pietra di travertino estratta nella valle di Bamiyan, Afghanistan, dove nel 2001 i talebani
distrussero due straordinari Buddha risalenti al VI secolo, Rakowitz, con l’aiuto di maestri intagliatori
italiani ha scolpito numerosi libri in pietra che riproducono gli antichi volumi appartenenti alle
collezioni di Kassel andati distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale in Germania.
The flesh is yours, the bones are ours (La carne è tua, le ossa sono nostre, 2015) rende
omaggio alla maestria degli artigiani armeni che durante l’Impero Ottomano hanno decorato le
facciate dei palazzi di Istanbul e che hanno patito pesanti persecuzioni e l’esilio all’inizio del
ventesimo secolo.
Nell’opera, attraverso le decorazioni che recano le tracce di mani armene, l’artista affronta in
maniera indiretta la perdita culturale avvenuta con i disastri della Grande Guerra e le sue conseguenze. Insieme a numerosi piccoli calchi in gesso prodotti utilizzando gli stampi originali con
cui gli artigiani di fine Ottocento e inizio Novecento avevano ornato le facciate Art Nouveau dei
palazzi di Istanbul, Rakowitz distribuisce sul pavimento e sulle pareti limitrofe variegati fregi
moderni. L’opera The flesh is yours, the bones are ours è stata acquisita dalla Fondazione per
l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per le Collezioni del Castello di Rivoli.
Per il progetto The invisible enemy should not exist (Il nemico invisibile non dovrebbe
esistere, 2007-in corso), l’artista lavora da anni attraverso una pratica scultorea in papier maché
ricavato da giornali arabo-inglesi con l’obiettivo di ricreare repliche a grandezza naturale di tutti i
15.000 manufatti culturali andati persi - trafugati o distrutti - durante la seconda guerra del Golfo,
anche chiamata guerra in Iraq (2003-2011). Nella sua riflessione su ciò che è perduto o rischia di
scomparire, l’artista fa emergere esperienze esistenziali e memorie anche personali in cui
s’intrecciano la storia contemporanea, la poesia e il pragmatismo.
Per questo progetto, ha anche ricostruito parte del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, a sud di Ninive,
distrutto dall’ISIS nel 2015. Attraverso l’utilizzo visibile di confezioni per alimenti mediorientali tra cui
lattine di sciroppo di dattero, l’artista pone in evidenza come la guerra e le sanzioni abbiano
decimato l’industria del settore alimentare in Iraq, una volta fonte redditizia di esportazione seconda
solo al petrolio.
In mostra è infine presentato il video The Ballad of Special Ops Cody (La ballata dell’agente
speciale Cody, 2017) realizzato con la tecnica dell’animazione stop-motion. L’opera, parte delle
collezioni del Castello di Rivoli, vede una bambola giocattolo in dialogo con le statuette votive
mesopotamiche conservate all’Istituto Orientale dell’Università di Chicago.
Quando nel febbraio 2005 un gruppo di mujahidin diffuse un video che mostrava un soldato
americano tenuto in ostaggio e minacciato con le armi che avrebbe avuto salva la vita sono in
cambio del rilascio di prigionieri iracheni, l’azienda americana produttrice del soldato giocattolo da
collezione chiamato ‘Special Ops Cody’ riconobbe nel video l’immagine del proprio prodotto.
In occasione della mostra è stato pubblicato per i tipi di Silvana Editoriale un catalogo scientifico
ampiamente illustrato accompagnato dai saggi di Carolyn Christov-Bakargiev, Habda Rashid, Nora
Razian, Ella Shohat e Marianna Vecellio e un’intervista all’artista di Iwona Blazwick. Il volume
include inoltre un’esauriente cronologia espositiva e un’antologia con testi e interviste.
Oltre a quanto esposto nella mostra in Manica Lunga, una ulteriore opera completa il percorso
espositivo. In omaggio alla Collezione Cerruti e alle competenze che il collezionista e imprenditore
Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015) ha portato in Italia e accresciuto durante
gli anni di attività della Legatoria Industriale Torinese (LIT), Rakowitz ha fatto rilegare a Torino da
Luciano Fagnola un libro di preghiere in ebraico e arabo-giudaico stampato nel 1935 e appartenuto
all’ormai dispersa comunità ebraica irachena dalla quale proviene la sua famiglia materna. Essendo
danneggiato, il volume secondo la tradizione avrebbe dovuto essere sepolto; l’artista ha invece
scelto di portarlo a Torino per ripararne le parole e far nascere una nuova opera dalle memorie e
dalla collaborazione con un rilegatore di oggi, amico del Ragionier Cerruti. L’opera Imperfect
Binding. A Homage to Francesco Federico Cerruti (Legatura imperfetta. Un omaggio a
Francesco Federico Cerruti, 2019) è allestita al primo piano del Castello di Rivoli.
Un nuovo multiplo d’artista tratto da quest’opera è in vendita presso il Bookshop del museo
in un’edizione di 100 esemplari firmati e numerati.
https://www.castellodirivoli.org/shop#
Michael Rakowitz nasce a Great Neck nello Stato di New York, nel 1973, da Frederic Rakowitz, americano
di origini ungheresi e dell’Europa orientale e Yvonne David, di origini irachene. Costretto a lasciarsi alle
spalle un’eredità familiare lunga quasi mezzo millennio quando per gli ebrei diventò difficile vivere a
Baghdad, il nonno materno Nissim Isaac Daoud bin Aziz (successivamente anglicizzato in David), lasciò nel
1941 l’Iraq con la moglie Renée Shamoon e i loro due figli. La madre nacque a Mumbai nel 1945 e all’inizio
del 1947 la famiglia era in viaggio per New York. Stabilitosi con la famiglia a Long Island, Nissim Isaac David
ha poi aperto una filiale della Davisons & Co., una delle maggiori compagnie americane di esportazione per
il Medio Oriente chiusa negli anni sessanta.
Sin da piccolo, assieme alla famiglia Rakowitz intraprende numerosi viaggi di formazione visitando la
penisola dello Yucatan in Messico e Israele/Palestina, luoghi che lo segneranno profondamente. Egli mostra
immediatamente una particolare sensibilità verso il racconto delle sofferenze umane, delle diaspore che
hanno toccato direttamente la sua storia familiare e dei grandi temi della contemporaneità come la povertà
delle grandi città americane.
Raffinato disegnatore, Rakowitz inizia nei primi anni novanta la propria formazione artistica come studente di
grafica presso il Purchase College di New York. I primi lavori risalgono al 1993 quando prosegue i suoi studi
in scultura seguendo i corsi di Allan Wexler, che nello stesso anno lo invita a partecipare alla mostra
collettiva Blast #3: Remaking Civilization dove presenta un’opera di carta che rappresenta delle graffette. Nel
1998 si iscrive al corso di arte pubblica presso il Dipartimento di Architettura del MIT di Cambridge:
frequenta le lezioni di Krzysztof Wodiczko (Varsavia, 1943), Dennis Adams (Des Moines, 1948) e Joan
Jonas (New York, 1936), prestando particolare interesse alla relazione tra scultura, ritualità collettiva e
spazio urbano.
Nel 1997 realizza la sua prima performance culinaria, Hubuz cucinando del pane con la comunità femminile
di Kerak in Giordania; l’opera esprime la sua attitudine collaborativa e l’interesse a coinvolgere le comunità
locali in atti partecipativi.
Lo stesso anno, in occasione di una residenza in architettura in Giordania, studia la struttura delle tende dei
Beduini. Dopo quell’esperienza, nel 1998, rientrato negli Stati Uniti, Rakowitz realizza paraSITE (paraSITO),
un progetto tuttora in corso che consiste in rifugi gonfiabili ideati per ospitare senzatetto, i nomadi delle
metropoli occidentali.
Nel 2004, con l’attacco dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, Rakowitz inizia a ideare progetti che indagano la
cultura irachena, spesso tristemente offuscata dalle narrazioni belliche. Crea così azioni di natura
partecipativa e relazionale, come Return (Ritorno, 2004) nel quale ricostruisce la Davisons & Co., l’attività di
import-export di suo nonno mettendo a disposizione un sistema di spedizione allora inesistente o proibitivo e
mettendo in relazione realtà lontane che altrimenti non avrebbero mai potuto comunicare.
Rakowitz ha esposto in numerose rassegne interazionali come la 16° Biennale di Sydney, 2008,
dOCUMENTA(13), 2012, alla 10a e 14a Biennale di Istanbul, 2007 e 2015, e all’8a e alla 14a Biennale di
Sharjah, 2007 e 2019. Le sue opere sono nelle collezioni permanenti di importanti musei quali Tate Modern,
Londra e The Museum of Modern Art, New York.
all’artista statunitense della diaspora ebraica-irachena Michael Rakowitz (Great Neck, NY, 1973,
vive e lavora a Chicago), vincitore del prestigioso Nasher Prize 2020, annunciato il 5 settembre
scorso. Il premio è assegnato ogni anno a un artista vivente il cui corpus di opere ha avuto un
impatto straordinario sulla nostra comprensione della scultura. I precedenti vincitori del premio sono
stati Doris Salcedo, Iza Genzken, Pierre Huyghe e Theaster Gates.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra, è curata da Carolyn
Christov-Bakargiev e Iwona Blazwick insieme ai curatori delle rispettive istituzioni Marianna
Vecellio per il Castello di Rivoli e Habda Rashid per la Whitechapel Gallery. Nella primavera del
2020 la mostra sarà presentata alla Jameel Foundation a Dubai.
Il 7 ottobre prossimo l’ampia retrospettiva sarà inaugurata negli spazi della Manica Lunga del
Castello di Rivoli. La mostra è concomitante con la grande scultura pubblica Lamassu, 2018, il toro
alato assiro dal volto umano realizzato dall’artista per il progetto ‘Fourth Plinth’ collocato
attualmente a Trafalgar Square a Londra e visibile fino a marzo 2020.
Rakowitz crea sculture, disegni, installazioni, video, nonché progetti collaborativi e performativi.
La mostra presenta in anteprima le più importanti opere realizzate dall’artista in oltre vent’anni di
attività ispirate all’architettura, all’archeologia, alla cucina e alla geopolitica dall’antichità a oggi. Le
opere narrano le grandi trasformazioni storiche causate da guerre e altri traumi, denunciando le
contraddizioni della globalizzazione.
Afferma Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea:
“Particolarmente sensibile alle sofferenze umane, Rakowitz è conosciuto soprattutto per i suoi
progetti relazionali e partecipativi, concepiti anche per esistere fuori dai contesti tradizionali dei
musei e delle gallerie”.
Recensendo la mostra su ‘The Guardian’, il critico d’arte Adrian Searle ha commentato
“L’affascinante mostra di Michael Rakowitz alla Whitechapel è piena di sorprese. È anche
un’esperienza estenuante. Il lavoro di Rakowitz si nutre di retroscena e spiegazioni. […] Potreste
imparare qualcosa e trovarvi commossi, arrabbiati e sopraffatti dai dolori e dalla distruzione del
mondo”.
La mostra inizia con paraSITE (paraSITO, 1997–in corso), rifugi provvisori gonfiabili per i senzatetto
delle grandi metropoli americane, progettati dall’artista, tenendo conto delle esigenze e della
personalità di ciascun individuo, e realizzati con sacchi di plastica collegati ai tubi di scarico dei
sistemi di ventilazione degli edifici in modo che l’aria calda, altrimenti dissipata all’esterno, gonfi e
scaldi queste strutture.
Il percorso prosegue con Dull Roar (Boato sordo, 2005), una grande installazione architettonica
che riproduce un edificio del complesso abitativo americano Pruitt-Igoe di St. Louis nel Missouri.
Questo complesso di architettura popolare degli anni Cinquanta, inizialmente costruito per dare alle
persone “sole, spazio e verde”, si è trasformato in zona di conflitto e segregazione e per questa
ragione è stato fatto demolire negli anni Settanta. L’opera di Rakowitz allude proprio all’evento della
demolizione del complesso, la cui risonanza ne ha fatto il simbolo della fine del Modernismo
architettonico e delle utopie sociali nell’architettura.
Per realizzare l’opera White man got no dreaming (L’uomo bianco non ha sogni, 2008), l’artista
ha coinvolto gran parte degli abitanti appartenenti alla comunità indigena aborigena del quartiere
The Block a Redfern, Sydney (Australia) in occasione della Biennale di Sydney del 2008, un’area
centrale destinata alla demolizione nell’ambito di un progetto di “gentrificazione” del territorio. Sul
modello utopico del Monumento alla Terza Internazionale (1919) progettato e mai realizzato
dall’avanguardista russo Vladimir Tatlin, Rakowitz ha lavorato a stretto contatto con la comunità
realizzando una torre a forma della Torre di Tatlin con materiali edili di scarto provenienti dalle loro
case. L’opera, affrontando i temi della vita indigena in Australia, crea nuovi parallelismi con la storia
dell’architettura visionaria e anche con i suoi fallimenti.
L’accostamento poetico tra due distruzioni lontane tra loro dal punto di vista della geografia e della
storia è la cifra dell’installazione What dust will rise? (Quale polvere sorgerà?, 2012). Utilizzando
la pietra di travertino estratta nella valle di Bamiyan, Afghanistan, dove nel 2001 i talebani
distrussero due straordinari Buddha risalenti al VI secolo, Rakowitz, con l’aiuto di maestri intagliatori
italiani ha scolpito numerosi libri in pietra che riproducono gli antichi volumi appartenenti alle
collezioni di Kassel andati distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale in Germania.
The flesh is yours, the bones are ours (La carne è tua, le ossa sono nostre, 2015) rende
omaggio alla maestria degli artigiani armeni che durante l’Impero Ottomano hanno decorato le
facciate dei palazzi di Istanbul e che hanno patito pesanti persecuzioni e l’esilio all’inizio del
ventesimo secolo.
Nell’opera, attraverso le decorazioni che recano le tracce di mani armene, l’artista affronta in
maniera indiretta la perdita culturale avvenuta con i disastri della Grande Guerra e le sue conseguenze. Insieme a numerosi piccoli calchi in gesso prodotti utilizzando gli stampi originali con
cui gli artigiani di fine Ottocento e inizio Novecento avevano ornato le facciate Art Nouveau dei
palazzi di Istanbul, Rakowitz distribuisce sul pavimento e sulle pareti limitrofe variegati fregi
moderni. L’opera The flesh is yours, the bones are ours è stata acquisita dalla Fondazione per
l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per le Collezioni del Castello di Rivoli.
Per il progetto The invisible enemy should not exist (Il nemico invisibile non dovrebbe
esistere, 2007-in corso), l’artista lavora da anni attraverso una pratica scultorea in papier maché
ricavato da giornali arabo-inglesi con l’obiettivo di ricreare repliche a grandezza naturale di tutti i
15.000 manufatti culturali andati persi - trafugati o distrutti - durante la seconda guerra del Golfo,
anche chiamata guerra in Iraq (2003-2011). Nella sua riflessione su ciò che è perduto o rischia di
scomparire, l’artista fa emergere esperienze esistenziali e memorie anche personali in cui
s’intrecciano la storia contemporanea, la poesia e il pragmatismo.
Per questo progetto, ha anche ricostruito parte del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, a sud di Ninive,
distrutto dall’ISIS nel 2015. Attraverso l’utilizzo visibile di confezioni per alimenti mediorientali tra cui
lattine di sciroppo di dattero, l’artista pone in evidenza come la guerra e le sanzioni abbiano
decimato l’industria del settore alimentare in Iraq, una volta fonte redditizia di esportazione seconda
solo al petrolio.
In mostra è infine presentato il video The Ballad of Special Ops Cody (La ballata dell’agente
speciale Cody, 2017) realizzato con la tecnica dell’animazione stop-motion. L’opera, parte delle
collezioni del Castello di Rivoli, vede una bambola giocattolo in dialogo con le statuette votive
mesopotamiche conservate all’Istituto Orientale dell’Università di Chicago.
Quando nel febbraio 2005 un gruppo di mujahidin diffuse un video che mostrava un soldato
americano tenuto in ostaggio e minacciato con le armi che avrebbe avuto salva la vita sono in
cambio del rilascio di prigionieri iracheni, l’azienda americana produttrice del soldato giocattolo da
collezione chiamato ‘Special Ops Cody’ riconobbe nel video l’immagine del proprio prodotto.
In occasione della mostra è stato pubblicato per i tipi di Silvana Editoriale un catalogo scientifico
ampiamente illustrato accompagnato dai saggi di Carolyn Christov-Bakargiev, Habda Rashid, Nora
Razian, Ella Shohat e Marianna Vecellio e un’intervista all’artista di Iwona Blazwick. Il volume
include inoltre un’esauriente cronologia espositiva e un’antologia con testi e interviste.
Oltre a quanto esposto nella mostra in Manica Lunga, una ulteriore opera completa il percorso
espositivo. In omaggio alla Collezione Cerruti e alle competenze che il collezionista e imprenditore
Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015) ha portato in Italia e accresciuto durante
gli anni di attività della Legatoria Industriale Torinese (LIT), Rakowitz ha fatto rilegare a Torino da
Luciano Fagnola un libro di preghiere in ebraico e arabo-giudaico stampato nel 1935 e appartenuto
all’ormai dispersa comunità ebraica irachena dalla quale proviene la sua famiglia materna. Essendo
danneggiato, il volume secondo la tradizione avrebbe dovuto essere sepolto; l’artista ha invece
scelto di portarlo a Torino per ripararne le parole e far nascere una nuova opera dalle memorie e
dalla collaborazione con un rilegatore di oggi, amico del Ragionier Cerruti. L’opera Imperfect
Binding. A Homage to Francesco Federico Cerruti (Legatura imperfetta. Un omaggio a
Francesco Federico Cerruti, 2019) è allestita al primo piano del Castello di Rivoli.
Un nuovo multiplo d’artista tratto da quest’opera è in vendita presso il Bookshop del museo
in un’edizione di 100 esemplari firmati e numerati.
https://www.castellodirivoli.org/shop#
Michael Rakowitz nasce a Great Neck nello Stato di New York, nel 1973, da Frederic Rakowitz, americano
di origini ungheresi e dell’Europa orientale e Yvonne David, di origini irachene. Costretto a lasciarsi alle
spalle un’eredità familiare lunga quasi mezzo millennio quando per gli ebrei diventò difficile vivere a
Baghdad, il nonno materno Nissim Isaac Daoud bin Aziz (successivamente anglicizzato in David), lasciò nel
1941 l’Iraq con la moglie Renée Shamoon e i loro due figli. La madre nacque a Mumbai nel 1945 e all’inizio
del 1947 la famiglia era in viaggio per New York. Stabilitosi con la famiglia a Long Island, Nissim Isaac David
ha poi aperto una filiale della Davisons & Co., una delle maggiori compagnie americane di esportazione per
il Medio Oriente chiusa negli anni sessanta.
Sin da piccolo, assieme alla famiglia Rakowitz intraprende numerosi viaggi di formazione visitando la
penisola dello Yucatan in Messico e Israele/Palestina, luoghi che lo segneranno profondamente. Egli mostra
immediatamente una particolare sensibilità verso il racconto delle sofferenze umane, delle diaspore che
hanno toccato direttamente la sua storia familiare e dei grandi temi della contemporaneità come la povertà
delle grandi città americane.
Raffinato disegnatore, Rakowitz inizia nei primi anni novanta la propria formazione artistica come studente di
grafica presso il Purchase College di New York. I primi lavori risalgono al 1993 quando prosegue i suoi studi
in scultura seguendo i corsi di Allan Wexler, che nello stesso anno lo invita a partecipare alla mostra
collettiva Blast #3: Remaking Civilization dove presenta un’opera di carta che rappresenta delle graffette. Nel
1998 si iscrive al corso di arte pubblica presso il Dipartimento di Architettura del MIT di Cambridge:
frequenta le lezioni di Krzysztof Wodiczko (Varsavia, 1943), Dennis Adams (Des Moines, 1948) e Joan
Jonas (New York, 1936), prestando particolare interesse alla relazione tra scultura, ritualità collettiva e
spazio urbano.
Nel 1997 realizza la sua prima performance culinaria, Hubuz cucinando del pane con la comunità femminile
di Kerak in Giordania; l’opera esprime la sua attitudine collaborativa e l’interesse a coinvolgere le comunità
locali in atti partecipativi.
Lo stesso anno, in occasione di una residenza in architettura in Giordania, studia la struttura delle tende dei
Beduini. Dopo quell’esperienza, nel 1998, rientrato negli Stati Uniti, Rakowitz realizza paraSITE (paraSITO),
un progetto tuttora in corso che consiste in rifugi gonfiabili ideati per ospitare senzatetto, i nomadi delle
metropoli occidentali.
Nel 2004, con l’attacco dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, Rakowitz inizia a ideare progetti che indagano la
cultura irachena, spesso tristemente offuscata dalle narrazioni belliche. Crea così azioni di natura
partecipativa e relazionale, come Return (Ritorno, 2004) nel quale ricostruisce la Davisons & Co., l’attività di
import-export di suo nonno mettendo a disposizione un sistema di spedizione allora inesistente o proibitivo e
mettendo in relazione realtà lontane che altrimenti non avrebbero mai potuto comunicare.
Rakowitz ha esposto in numerose rassegne interazionali come la 16° Biennale di Sydney, 2008,
dOCUMENTA(13), 2012, alla 10a e 14a Biennale di Istanbul, 2007 e 2015, e all’8a e alla 14a Biennale di
Sharjah, 2007 e 2019. Le sue opere sono nelle collezioni permanenti di importanti musei quali Tate Modern,
Londra e The Museum of Modern Art, New York.
07
ottobre 2019
Michael Rakowitz – Legatura imperfetta / Imperfect Binding
Dal 07 ottobre 2019 al 19 gennaio 2020
arte contemporanea
Location
CASTELLO DI RIVOLI – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA
Rivoli, Piazza Mafalda Di Savoia, (Torino)
Rivoli, Piazza Mafalda Di Savoia, (Torino)
Editore
silvana editoriale
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