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Michele Alassio – Venezia
tredici fotografie
Comunicato stampa
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Si apre venerdì primo Giugno 2007, alle 18:30, negli spazi della Galleria Arte Daniele Luchetta di Venezia, l’attesa nuova personale di Michele Alassio che, come preannunciato un anno orsono, in occasione del vernissage dell’esposizione tenutasi al M.o.M.A. di New York, ha come soggetto Venezia, la città dove l’artista è nato e ha mantenuto la sua residenza.
Come in “Sacks” e “Next Stop” il percorso espositivo si articola in tredici nuove immagini di grande formato, realizzate in ripresa utilizzando fotocamere analogiche a medio e grande formato e negativi finegranulanti, successivamente scansionati in alta risoluzione e stampati a pigmenti su supporti ad alta permanenza. Ognuna delle fotografie è prodotta in tre diversi format, e in tiratura limitata e firmata dall’autore.
Nel catalogo, edito dalla Galleria Arte Daniele Luchetta, dopo una breve introduzione di pugno dello stesso artista, un ampio testo di Carlo Montanaro cerca di fare un primo, complessivo bilancio di un’attività artistica che non ha, nella sua peculiarità, precedenti né epigoni nel campo della fotografia nazionale e internazionale, evidenziando come Alassio sia sempre stato fedele, negli ormai venticinque anni di attività artistica e professionale, ad alcuni semplici principi, espressione di convinzioni emerse nell’approfondimento del ruolo e delle possibilità artistiche della fotografia in sé. Tra questi, in primo luogo, l’assoluta separazione tra l’attività professionale e quella artistica, la prima volta ovviamente al soddisfacimento delle legittime esigenze puramente mercantili della committenza, la seconda intesa come ricerca pura, libera da ogni condizionamento esterno, da ammiccamenti alle esigenze commerciali proprie del mercato della fotografia, libera dal desiderio e dalla necessità di piacere a qualcuno. In secondo luogo, Alassio fa del rifiuto a ritrarre gli esseri umani un segno distintivo e significativo della propria opera, poiché con questo rifiuto, esteso anche ad ogni altro segno visibile di contemporaneità, l’artista afferma la propria poetica adidascalica, atemporale.
Una fotografia finalmente libera dalla sua infondata apparenza documentale, che cerchi di cogliere la profondità delle cose e non la loro superficie, una fotografia che ignori deliberatamente l’oggi per puntare ad una permanenza di significati, svincolata da mode temporanee, una fotografia, in estrema sintesi, che usi le proprie supposte doti come difetti e viceversa e che si occupi di dare forma all’invisibile piuttosto che impegnarsi nell’assurda pretesa di certificare il presente, è la sfida intrapresa già dalla prima personale dal fotografo.
Se ad ispirare il suo lavoro in “Sacks” (2002) era affrontare l’impossibilità di dare forma esteriore ad alcune patologie neurologiche descritte da Oliver Sacks, permettendogli così di realizzare fotografie che utilizzassero la realtà visibile unicamente come materia da manipolare per trasmettere un’invisibilità interiore, ed in “Next stop” (2003) la sfida era stata di ridurre ad una efficace, emotiva bidimensionalità i contenuti degli allestimenti della Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia, negando così per effetto contrario il rifiuto di gran parte dell’arte contemporanea di esprimere in modo univoco la propria tensione e la sua predilezione per gli allestimenti, i video, le installazioni, ovvero per una serie di percorsi spesso di allucinante banalità, in questa ultima esposizione è l’immantinenza della città perenne e immutabile a rivelarsi, il suo essere un’unica cesellatura ottenuta con secoli di accostamenti, sovrapposizioni, trasformazioni, eccessi formali.
Palestra ideale per dimostrare tutto l’assunto della poetica di Alassio, Venezia offre nel suo caotico sovrapporsi di stili, forme, contenuti, una misura eccellente dell’inutilità e della mancanza di senso del presente e della stessa piccola, temporanea esperienza umana, se non fa della propria ragione di vita l’interrogarsi sul più vasto, su ciò che da essa prescinde. Alla cosiddetta realtà dell’esperienza visiva, all’emozione che un osservatore distratto crede di poter restituire così come
è, semplicemente con lo scatto di un otturatore, Alassio oppone la consapevolezza che ogni fotografia restituisce la forma, non il contenuto e, nel far questo, presenta sullo stesso piano, svuotandoli di efficacia emotiva, tutti i dettagli presenti nell’inquadratura.
Se infatti “l’arte è la dimostrazione che la vita non basta”, come può una fotografia che vuol dirsi arte limitarsi a riprodurre l’aspetto visibile del mondo sperando in questo modo di essere qualcosa di più di un semplice documento? La fotografia di Alassio nasce quindi da un’analisi di ciò che nell’immagine trasmette emozione e da ciò che ostacola questa trasmissione, dall’attenuazione degli angoli e particolari ciechi e dall’esaltazione delle parti dell’immagini che, seppure a livello per noi inconscio, sopportano il peso del tutto. Nel far questo, Alassio utilizza tutte le tecniche di ripresa e di stampa disponibili, sia analogiche che digitali, operando sovra e sottoesposizioni, mascherature in riresa e stampa, sbiancamenti e viraggi chimici come intonazioni e bruciature digitali.
Ne risultano immagini coinvolgenti, dai neri profondissimi o bianchi accecanti, che svelano i propri dettagli così come una scrittura su di un foglio. Se la poesia è stata definita una scrittura per lampi emotivi, è forse questa la strada seguita dall’artista in quest’ultimo lavoro, che vuole, nelle intenzioni, restituire a una delle città-icona più fotografate del mondo una dimensione intima, raccolta, ma di esplosiva forza ed intensità.
Questa nuova esposizione inaugura la collaborazione fra l’artista e la Galleria Arte Daniele Luchetta, che dalla data del vernissage diventerà esclusivista per la distribuzione delle opere dell’artista e avrà il primo seguito nell’esposizione di “J.L.B.” che raccoglierà nuove immagini realizzate dall’artista con l’intento di dare forma esteriore all’opera del suo autore prediletto, Jorge Luis Borges, nel mese di Settembre del 2008.
Come in “Sacks” e “Next Stop” il percorso espositivo si articola in tredici nuove immagini di grande formato, realizzate in ripresa utilizzando fotocamere analogiche a medio e grande formato e negativi finegranulanti, successivamente scansionati in alta risoluzione e stampati a pigmenti su supporti ad alta permanenza. Ognuna delle fotografie è prodotta in tre diversi format, e in tiratura limitata e firmata dall’autore.
Nel catalogo, edito dalla Galleria Arte Daniele Luchetta, dopo una breve introduzione di pugno dello stesso artista, un ampio testo di Carlo Montanaro cerca di fare un primo, complessivo bilancio di un’attività artistica che non ha, nella sua peculiarità, precedenti né epigoni nel campo della fotografia nazionale e internazionale, evidenziando come Alassio sia sempre stato fedele, negli ormai venticinque anni di attività artistica e professionale, ad alcuni semplici principi, espressione di convinzioni emerse nell’approfondimento del ruolo e delle possibilità artistiche della fotografia in sé. Tra questi, in primo luogo, l’assoluta separazione tra l’attività professionale e quella artistica, la prima volta ovviamente al soddisfacimento delle legittime esigenze puramente mercantili della committenza, la seconda intesa come ricerca pura, libera da ogni condizionamento esterno, da ammiccamenti alle esigenze commerciali proprie del mercato della fotografia, libera dal desiderio e dalla necessità di piacere a qualcuno. In secondo luogo, Alassio fa del rifiuto a ritrarre gli esseri umani un segno distintivo e significativo della propria opera, poiché con questo rifiuto, esteso anche ad ogni altro segno visibile di contemporaneità, l’artista afferma la propria poetica adidascalica, atemporale.
Una fotografia finalmente libera dalla sua infondata apparenza documentale, che cerchi di cogliere la profondità delle cose e non la loro superficie, una fotografia che ignori deliberatamente l’oggi per puntare ad una permanenza di significati, svincolata da mode temporanee, una fotografia, in estrema sintesi, che usi le proprie supposte doti come difetti e viceversa e che si occupi di dare forma all’invisibile piuttosto che impegnarsi nell’assurda pretesa di certificare il presente, è la sfida intrapresa già dalla prima personale dal fotografo.
Se ad ispirare il suo lavoro in “Sacks” (2002) era affrontare l’impossibilità di dare forma esteriore ad alcune patologie neurologiche descritte da Oliver Sacks, permettendogli così di realizzare fotografie che utilizzassero la realtà visibile unicamente come materia da manipolare per trasmettere un’invisibilità interiore, ed in “Next stop” (2003) la sfida era stata di ridurre ad una efficace, emotiva bidimensionalità i contenuti degli allestimenti della Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia, negando così per effetto contrario il rifiuto di gran parte dell’arte contemporanea di esprimere in modo univoco la propria tensione e la sua predilezione per gli allestimenti, i video, le installazioni, ovvero per una serie di percorsi spesso di allucinante banalità, in questa ultima esposizione è l’immantinenza della città perenne e immutabile a rivelarsi, il suo essere un’unica cesellatura ottenuta con secoli di accostamenti, sovrapposizioni, trasformazioni, eccessi formali.
Palestra ideale per dimostrare tutto l’assunto della poetica di Alassio, Venezia offre nel suo caotico sovrapporsi di stili, forme, contenuti, una misura eccellente dell’inutilità e della mancanza di senso del presente e della stessa piccola, temporanea esperienza umana, se non fa della propria ragione di vita l’interrogarsi sul più vasto, su ciò che da essa prescinde. Alla cosiddetta realtà dell’esperienza visiva, all’emozione che un osservatore distratto crede di poter restituire così come
è, semplicemente con lo scatto di un otturatore, Alassio oppone la consapevolezza che ogni fotografia restituisce la forma, non il contenuto e, nel far questo, presenta sullo stesso piano, svuotandoli di efficacia emotiva, tutti i dettagli presenti nell’inquadratura.
Se infatti “l’arte è la dimostrazione che la vita non basta”, come può una fotografia che vuol dirsi arte limitarsi a riprodurre l’aspetto visibile del mondo sperando in questo modo di essere qualcosa di più di un semplice documento? La fotografia di Alassio nasce quindi da un’analisi di ciò che nell’immagine trasmette emozione e da ciò che ostacola questa trasmissione, dall’attenuazione degli angoli e particolari ciechi e dall’esaltazione delle parti dell’immagini che, seppure a livello per noi inconscio, sopportano il peso del tutto. Nel far questo, Alassio utilizza tutte le tecniche di ripresa e di stampa disponibili, sia analogiche che digitali, operando sovra e sottoesposizioni, mascherature in riresa e stampa, sbiancamenti e viraggi chimici come intonazioni e bruciature digitali.
Ne risultano immagini coinvolgenti, dai neri profondissimi o bianchi accecanti, che svelano i propri dettagli così come una scrittura su di un foglio. Se la poesia è stata definita una scrittura per lampi emotivi, è forse questa la strada seguita dall’artista in quest’ultimo lavoro, che vuole, nelle intenzioni, restituire a una delle città-icona più fotografate del mondo una dimensione intima, raccolta, ma di esplosiva forza ed intensità.
Questa nuova esposizione inaugura la collaborazione fra l’artista e la Galleria Arte Daniele Luchetta, che dalla data del vernissage diventerà esclusivista per la distribuzione delle opere dell’artista e avrà il primo seguito nell’esposizione di “J.L.B.” che raccoglierà nuove immagini realizzate dall’artista con l’intento di dare forma esteriore all’opera del suo autore prediletto, Jorge Luis Borges, nel mese di Settembre del 2008.
01
giugno 2007
Michele Alassio – Venezia
Dal primo al 24 giugno 2007
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTE DANIELE LUCHETTA – SAN MARCO
Venezia, Campiello de la Feltrina (San Marco), 2513, (Venezia)
Venezia, Campiello de la Feltrina (San Marco), 2513, (Venezia)
Vernissage
1 Giugno 2007, ore 18.30
Autore