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Nicola Verlato – Hostia
Hostia è un progetto che Nicola Verlato
[Verona, 1965] ha realizzato appositamente
per il museo di Lissone. L’esposizione, ispirata alla tragica morte (qui trasfigurata in un sacrificio-suicidio) di Pier Paolo Pasolini sulla spiaggia di Ostia, è stata pensata come uno spiegamento – nello spazio.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Hostia è un progetto che Nicola Verlato
[Verona, 1965] ha realizzato appositamente
per il museo di Lissone. L’esposizione, ispirata
alla tragica morte (qui trasfigurata in un
sacrificio-suicidio) di Pier Paolo Pasolini sulla
spiaggia di Ostia, è stata pensata come uno
spiegamento – nello spazio e nel tempo – di
un grande dipinto che è anche il luogo da cui
si origina tutta la mostra. Alla stregua di una
pala d'altare, il dipinto rappresenta il corpo di
Pasolini mentre attraversa a ritroso la propria
vita, passando nell'inferno del mondo fino alla
sua infanzia. In primo piano vediamo un imberbe
Pasolini seduto sulle ginocchia della
madre, intento a scrive i suoi primi versi al
cospetto di Petrarca e di Ezra Pound; il primo
assiste al miracolo della nascita di un poeta
che dona la vita all'arte, il secondo può finalmente
riposare dopo aver (invano) rovesciato
il senso del mondo affinché la poesia potesse
rifiorire.
Disseminati nell’allestimento, alcuni piccoli
dipinti rivelano altri aspetti connessi alla narrazione
di questo grande dipinto. Sulla parete
concava del museo si sviluppa invece un
enorme disegno a carboncino, immaginario
frammento di un Grande Fregio che immortala
scene di violenza evocanti le atmosfere di
Salò, con figure ignude che lottano tra loro.
Una scultura a dimensioni reali, che ritrae in
modo estremamente realistico Pasolini, è
sospesa al centro della sala. La scultura e il
fregio introducono lo spettatore nello spazio
in cui ha luogo questa rappresentazione; si
tratta di un edificio che l’artista ha concepito a
guisa di monumento e/o mausoleo. Completa
l’esposizione un brano musicale che interpreta
in chiave sinfonica i “Canti pisani” letti da
Pasolini nella dimora veneziana di Pound.
La mostra di Nicola Verlato si fonda su
un’ipotesi che è anche un desiderio: costruire
un complesso monumentale a Ostia, luogo
della morte di Pasolini. Più che un poeta, un
cineasta o uno scrittore, Pasolini è un corpo
che vive nella dimensione del mito, in quanto
è riuscito a incarnare un destino non solo
tragico ma addirittura universale.
Le opere di Verlato narrano della progressiva
eliminazione dell'arte dalla vita e dell’immensa
disperazione che Pasolini esprime
nelle sue ultime opere, associando il mondo a
un inferno che ha perso ogni occasione di
salvezza, perché ciò che dava senso alle
cose (l'arte) è stata eliminata. Alquanto
emblematica è la figura di Pound, qui assunta
al ruolo di semioforo: per il miglior fabbro la
poesia è stata l'approdo per chi ammette il
proprio fallimento, “perché se è il poeta che
fallisce non è la poesia a fallire”. Ebbene, se
è l’autore e non la sua opera a capitolare, il
naufrago può sempre far ritorno all'isola; in
questo senso Pasolini muore nel terreno
paludoso di Ostia, laddove ha “inscenato” il
proprio martirio con puntigliosa accuratezza,
assicurandosi così un posto nell'immaginario
dei posteri, giacché l'epoca della modernità
non gli avrebbe potuto tributare lo stesso
onore. Il Novecento aveva infatti strappato il
cuore al poeta lasciandovi un vuoto
incolmabile (all’età di sette anni Pasolini iniziò
a scrivere composizioni di gusto petrarchesco,
folgorato dall’idea che la poesia classica
fosse in grado di trasformare il mondo; crescendo
giunge però all'amara constatazione
che il XX secolo non se ne può far nulla della
poesia, perché di Petrarca non c'è più
necessità).
Pasolini aveva definito il cinema come «la
poesia delle cose stesse», enunciazione che
dobbiamo associare alla definitiva perdita di
fiducia nella poesia, la quale viene sacrificata
a favore di un’aderenza alla realtà. In tale
disbrigo/declivio, l’ultimo passo da compiere
è trasformare la vita in arte, ed è proprio in
questo senso che può essere spiegata la
morte di Pasolini, quel martirio autoinflitto che
il poeta ha orchestrato per anni e poi portato
al suo ineluttabile compimento. La “scena”
dell'esecuzione di Pier Paolo Pasolini è
disseminata di simboli che il poeta aveva
preconizzato nella propria opera, dettagli che
ci appaiono nella loro flagrante evidenza soltanto
in questa prospettiva – di presa di coscienza
– offertaci da Verlato.
[Verona, 1965] ha realizzato appositamente
per il museo di Lissone. L’esposizione, ispirata
alla tragica morte (qui trasfigurata in un
sacrificio-suicidio) di Pier Paolo Pasolini sulla
spiaggia di Ostia, è stata pensata come uno
spiegamento – nello spazio e nel tempo – di
un grande dipinto che è anche il luogo da cui
si origina tutta la mostra. Alla stregua di una
pala d'altare, il dipinto rappresenta il corpo di
Pasolini mentre attraversa a ritroso la propria
vita, passando nell'inferno del mondo fino alla
sua infanzia. In primo piano vediamo un imberbe
Pasolini seduto sulle ginocchia della
madre, intento a scrive i suoi primi versi al
cospetto di Petrarca e di Ezra Pound; il primo
assiste al miracolo della nascita di un poeta
che dona la vita all'arte, il secondo può finalmente
riposare dopo aver (invano) rovesciato
il senso del mondo affinché la poesia potesse
rifiorire.
Disseminati nell’allestimento, alcuni piccoli
dipinti rivelano altri aspetti connessi alla narrazione
di questo grande dipinto. Sulla parete
concava del museo si sviluppa invece un
enorme disegno a carboncino, immaginario
frammento di un Grande Fregio che immortala
scene di violenza evocanti le atmosfere di
Salò, con figure ignude che lottano tra loro.
Una scultura a dimensioni reali, che ritrae in
modo estremamente realistico Pasolini, è
sospesa al centro della sala. La scultura e il
fregio introducono lo spettatore nello spazio
in cui ha luogo questa rappresentazione; si
tratta di un edificio che l’artista ha concepito a
guisa di monumento e/o mausoleo. Completa
l’esposizione un brano musicale che interpreta
in chiave sinfonica i “Canti pisani” letti da
Pasolini nella dimora veneziana di Pound.
La mostra di Nicola Verlato si fonda su
un’ipotesi che è anche un desiderio: costruire
un complesso monumentale a Ostia, luogo
della morte di Pasolini. Più che un poeta, un
cineasta o uno scrittore, Pasolini è un corpo
che vive nella dimensione del mito, in quanto
è riuscito a incarnare un destino non solo
tragico ma addirittura universale.
Le opere di Verlato narrano della progressiva
eliminazione dell'arte dalla vita e dell’immensa
disperazione che Pasolini esprime
nelle sue ultime opere, associando il mondo a
un inferno che ha perso ogni occasione di
salvezza, perché ciò che dava senso alle
cose (l'arte) è stata eliminata. Alquanto
emblematica è la figura di Pound, qui assunta
al ruolo di semioforo: per il miglior fabbro la
poesia è stata l'approdo per chi ammette il
proprio fallimento, “perché se è il poeta che
fallisce non è la poesia a fallire”. Ebbene, se
è l’autore e non la sua opera a capitolare, il
naufrago può sempre far ritorno all'isola; in
questo senso Pasolini muore nel terreno
paludoso di Ostia, laddove ha “inscenato” il
proprio martirio con puntigliosa accuratezza,
assicurandosi così un posto nell'immaginario
dei posteri, giacché l'epoca della modernità
non gli avrebbe potuto tributare lo stesso
onore. Il Novecento aveva infatti strappato il
cuore al poeta lasciandovi un vuoto
incolmabile (all’età di sette anni Pasolini iniziò
a scrivere composizioni di gusto petrarchesco,
folgorato dall’idea che la poesia classica
fosse in grado di trasformare il mondo; crescendo
giunge però all'amara constatazione
che il XX secolo non se ne può far nulla della
poesia, perché di Petrarca non c'è più
necessità).
Pasolini aveva definito il cinema come «la
poesia delle cose stesse», enunciazione che
dobbiamo associare alla definitiva perdita di
fiducia nella poesia, la quale viene sacrificata
a favore di un’aderenza alla realtà. In tale
disbrigo/declivio, l’ultimo passo da compiere
è trasformare la vita in arte, ed è proprio in
questo senso che può essere spiegata la
morte di Pasolini, quel martirio autoinflitto che
il poeta ha orchestrato per anni e poi portato
al suo ineluttabile compimento. La “scena”
dell'esecuzione di Pier Paolo Pasolini è
disseminata di simboli che il poeta aveva
preconizzato nella propria opera, dettagli che
ci appaiono nella loro flagrante evidenza soltanto
in questa prospettiva – di presa di coscienza
– offertaci da Verlato.
10
maggio 2014
Nicola Verlato – Hostia
Dal 10 maggio al 22 giugno 2014
arte moderna e contemporanea
Location
MAC – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DI LISSONE
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
Martedì, Mercoledì, Venerdì h 15-19
Giovedì h 15-23
Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19
Vernissage
10 Maggio 2014, 18.30
Autore
Curatore