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Nino Ruju
Nino Ruju è un vivace e appassionato signore di poco più di ottanta anni, che non ha smesso di divertirsi. La pittura – per lui – continua a essere un’avventura, un gioco.
Comunicato stampa
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Nino Ruju è un vivace e appassionato signore di poco più di ottanta anni, che non ha smesso di divertirsi. La pittura - per lui - continua a essere un’avventura, un gioco. Una scoperta, che si rinnova di continuo, senza pause, né interruzioni. Una partita mai compiuta, in cui gli imprevisti arricchiscono il lavoro, e invitano a compiere virate, spostamenti, inclinazioni.
A differenza di molti suoi coetanei, Ruju non ama guardarsi indietro, per contemplare il passato e le memorie. Rivolge il proprio sguardo intorno a sé, per individuare strade mai battute, soluzioni tecniche ancora non adottate. Questa, la sua forza.
Da qualche anno, si è accostato alla computer art e alle nuove tecnologie applicate all’arte. Rispetto a questo universo, non si è posto in una posizione di prudenza o di retroguardia. Non ha esibito la diffidenza tipica di chi è di un’altra generazione. Ha studiato la ricerca portata avanti anche da molti giovani artisti. E, con ostinato entusiasmo, ha accettato la sfida. Ed è entrato dentro il sistema delle scritture informatiche. Un mondo che gli era sconosciuto, in cui è stato difficile penetrare,
Ruju ha imparato un altro linguaggio, che gli ha consentito di aprire varchi inattesi. Le sue ”pitture digitali” - ora esposte (fino a domenica) a Città della Scienza in una mostra caratterizzata da un allestimento piuttosto approssimativo - ci raccontano una svolta. Un ”cambio di passo” compiuto con cautela, quasi con timore. Si succedono quadri - per lo più eseguiti nell’ultimo anno - che presentano una figurazione in cui elementi realistici si intuiscono ancora. Non uno stile compiutamente astratto. Ma un realismo visionario, fatto di oggetti, di fiori. Tracce ambientali e urbane sono assorbite in un vortice, che non dissolve mai la fisionomia delle cose.
Dietro queste scelte, si intuisce il senso del lavoro di Ruju. Che, in ogni gesto, resta sempre un pittore. I suoi quadri si dispongono su un’ideale soglia. Sono composti adottando i passaggi che sono consentiti dalle strumentazioni informatiche. Ma rivelano anche evidenti echi tratti dalle esperienze delle prime avanguardie novecentesche. Espliciti i rinvii alle ”rigidità tubiste” di Léger e al dinamismo arrestato di futuristi della seconda ondata come Dottori e Fillia. Ruju entra nel digitale in maniera laterale. Sembra non sviluppare fino in fondo le potenzialità di sfumature e di transiti che sono permesse dall’informatica. Si serve del computer come se fosse un pennello, che ”genera” colori e linee sulla superficie. Legato a un’importante tradizione. Sempre pronto a partire per viaggi ulteriori.
di Vincenzo Trione
A differenza di molti suoi coetanei, Ruju non ama guardarsi indietro, per contemplare il passato e le memorie. Rivolge il proprio sguardo intorno a sé, per individuare strade mai battute, soluzioni tecniche ancora non adottate. Questa, la sua forza.
Da qualche anno, si è accostato alla computer art e alle nuove tecnologie applicate all’arte. Rispetto a questo universo, non si è posto in una posizione di prudenza o di retroguardia. Non ha esibito la diffidenza tipica di chi è di un’altra generazione. Ha studiato la ricerca portata avanti anche da molti giovani artisti. E, con ostinato entusiasmo, ha accettato la sfida. Ed è entrato dentro il sistema delle scritture informatiche. Un mondo che gli era sconosciuto, in cui è stato difficile penetrare,
Ruju ha imparato un altro linguaggio, che gli ha consentito di aprire varchi inattesi. Le sue ”pitture digitali” - ora esposte (fino a domenica) a Città della Scienza in una mostra caratterizzata da un allestimento piuttosto approssimativo - ci raccontano una svolta. Un ”cambio di passo” compiuto con cautela, quasi con timore. Si succedono quadri - per lo più eseguiti nell’ultimo anno - che presentano una figurazione in cui elementi realistici si intuiscono ancora. Non uno stile compiutamente astratto. Ma un realismo visionario, fatto di oggetti, di fiori. Tracce ambientali e urbane sono assorbite in un vortice, che non dissolve mai la fisionomia delle cose.
Dietro queste scelte, si intuisce il senso del lavoro di Ruju. Che, in ogni gesto, resta sempre un pittore. I suoi quadri si dispongono su un’ideale soglia. Sono composti adottando i passaggi che sono consentiti dalle strumentazioni informatiche. Ma rivelano anche evidenti echi tratti dalle esperienze delle prime avanguardie novecentesche. Espliciti i rinvii alle ”rigidità tubiste” di Léger e al dinamismo arrestato di futuristi della seconda ondata come Dottori e Fillia. Ruju entra nel digitale in maniera laterale. Sembra non sviluppare fino in fondo le potenzialità di sfumature e di transiti che sono permesse dall’informatica. Si serve del computer come se fosse un pennello, che ”genera” colori e linee sulla superficie. Legato a un’importante tradizione. Sempre pronto a partire per viaggi ulteriori.
di Vincenzo Trione