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Paolo Perotti
Sculture
Comunicato stampa
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L’affascinante mistero dell’arte di Paolo Perotti
Che cos’è l’arte? Sull’argomento sono stati scritti libri, trattati ed enciclopedie, ma forse non esistono parole per descriverla davvero. Ed è proprio questa la filosofia dello scultore piacentino Paolo Perotti, la cui saggezza lo ha portato a credere fortemente che l’arte sia qualcosa di assolutamente indefinibile e avvolta da un profondo mistero. « L’opera d’arte deve essere magica e non forzata», afferma lo scultore, «cosa rende viva un'opera nessuno lo sa, ma soltanto un artista riesce a conferire la vita ad un’opera rendendola un’opera d’arte» ed in questo non c’è nessun intellettualismo di sorta perché la filosofia si arresta proprio laddove comincia l’arte. La vitalità di un’opera si trasmette, infatti, con un atto libero ed involontario, di cui solo l’artista è capace. Forse è questa la magia, il mistero di cui parla Perotti, un fascino che ci rapisce e ci porta in diretto contatto con un infinito che per troppo tempo si è cercato di teorizzare ma che in realtà non ha bisogno di parole per essere spiegato. Un’idea di infinito che ci riporta alla nostra caducità di esseri umani finiti, figli dell’amore di Dio.
È quindi complesso raccontare, descrivere o anche solo tentare di spiegare la vitalità delle opere perottiane perché, nella loro semplicità, racchiudono l’abbandono di un uomo di fronte alla grandezza ed al mistero di un infinito dalle tinte quasi sacre. Paolo, infatti, sembra aver compreso che il volgersi del nostro pensiero all’infinito ci permette di cogliere, in maniera radicale, quella limitatezza che caratterizza la nostra stessa natura di uomini, di misero granellino di polvere rispetto alla grandezza dell’universo di fronte al quale, come disse Leopardi, “per poco il cor non spaura”.
Nell’opera di Perotti c’è, dunque, un alto senso del limite dell’intelletto umano, che si esprime addirittura nello stesso rapporto che lo scultore ha con la materia bruta: «io mi abbandono all’opera, mi faccio guidare dalla materia. Quando inizio a scolpire non ho mai un’idea precisa di cosa farò, è la materia stessa a suggerirmelo. Tutto nasce, semplicemente, dalla voglia di fare».
La parola uomo è quindi totalizzante per lo scultore, il quale arriva proprio grazie alla figura umana, soggetto prediletto delle sue opere, a capire l’anima di un insondabile mistero. Ed è forse questo che di Paolo colpisce, rendendolo un uomo così profondo pur nella sua semplicità. Noi non sappiamo chi sia quel suonatore di arpa o quella bambina sull’altalena, la loro identità rimane a noi nascosta e misteriosa. Ma poco importa. Non sapremo mai perché stringano un libro o perchè nascondano il viso dietro una maschera, ma proprio quei gesti li definiscono nella loro psicologia, li caratterizzano nella loro umanità, trasformando figure robuste e massicce in persone quasi vive. Il suo scalpello ha come dato vita ad una comunità di sagome dai tratti essenziali che sembrano tenersi al riparo dalle lusinghe apparenti del mondo. Ai suoi soggetti non interessa essere perfetti e imbellettati, e non sono nemmeno interessati a sedurci. Ci appaiono piuttosto nella loro genuinità e naturalezza quasi primordiale, perché non sono caduti nei giochi di sfacciata apparenza del mondo ma sembrano partecipare a qualcosa di altro, di trascendente e più alto. Per questo nei loro occhi sembra quasi trasparire una serenità esistenziale che ci rapisce. Una serenità quasi d’altri tempi, alla quale noi esseri umani dell’era sfrenata della tecnologia e del progresso, risulta quasi difficile partecipare ma dalla quale ci possiamo soltanto lasciar affascinare.
Alice Carlotta Forlini
Che cos’è l’arte? Sull’argomento sono stati scritti libri, trattati ed enciclopedie, ma forse non esistono parole per descriverla davvero. Ed è proprio questa la filosofia dello scultore piacentino Paolo Perotti, la cui saggezza lo ha portato a credere fortemente che l’arte sia qualcosa di assolutamente indefinibile e avvolta da un profondo mistero. « L’opera d’arte deve essere magica e non forzata», afferma lo scultore, «cosa rende viva un'opera nessuno lo sa, ma soltanto un artista riesce a conferire la vita ad un’opera rendendola un’opera d’arte» ed in questo non c’è nessun intellettualismo di sorta perché la filosofia si arresta proprio laddove comincia l’arte. La vitalità di un’opera si trasmette, infatti, con un atto libero ed involontario, di cui solo l’artista è capace. Forse è questa la magia, il mistero di cui parla Perotti, un fascino che ci rapisce e ci porta in diretto contatto con un infinito che per troppo tempo si è cercato di teorizzare ma che in realtà non ha bisogno di parole per essere spiegato. Un’idea di infinito che ci riporta alla nostra caducità di esseri umani finiti, figli dell’amore di Dio.
È quindi complesso raccontare, descrivere o anche solo tentare di spiegare la vitalità delle opere perottiane perché, nella loro semplicità, racchiudono l’abbandono di un uomo di fronte alla grandezza ed al mistero di un infinito dalle tinte quasi sacre. Paolo, infatti, sembra aver compreso che il volgersi del nostro pensiero all’infinito ci permette di cogliere, in maniera radicale, quella limitatezza che caratterizza la nostra stessa natura di uomini, di misero granellino di polvere rispetto alla grandezza dell’universo di fronte al quale, come disse Leopardi, “per poco il cor non spaura”.
Nell’opera di Perotti c’è, dunque, un alto senso del limite dell’intelletto umano, che si esprime addirittura nello stesso rapporto che lo scultore ha con la materia bruta: «io mi abbandono all’opera, mi faccio guidare dalla materia. Quando inizio a scolpire non ho mai un’idea precisa di cosa farò, è la materia stessa a suggerirmelo. Tutto nasce, semplicemente, dalla voglia di fare».
La parola uomo è quindi totalizzante per lo scultore, il quale arriva proprio grazie alla figura umana, soggetto prediletto delle sue opere, a capire l’anima di un insondabile mistero. Ed è forse questo che di Paolo colpisce, rendendolo un uomo così profondo pur nella sua semplicità. Noi non sappiamo chi sia quel suonatore di arpa o quella bambina sull’altalena, la loro identità rimane a noi nascosta e misteriosa. Ma poco importa. Non sapremo mai perché stringano un libro o perchè nascondano il viso dietro una maschera, ma proprio quei gesti li definiscono nella loro psicologia, li caratterizzano nella loro umanità, trasformando figure robuste e massicce in persone quasi vive. Il suo scalpello ha come dato vita ad una comunità di sagome dai tratti essenziali che sembrano tenersi al riparo dalle lusinghe apparenti del mondo. Ai suoi soggetti non interessa essere perfetti e imbellettati, e non sono nemmeno interessati a sedurci. Ci appaiono piuttosto nella loro genuinità e naturalezza quasi primordiale, perché non sono caduti nei giochi di sfacciata apparenza del mondo ma sembrano partecipare a qualcosa di altro, di trascendente e più alto. Per questo nei loro occhi sembra quasi trasparire una serenità esistenziale che ci rapisce. Una serenità quasi d’altri tempi, alla quale noi esseri umani dell’era sfrenata della tecnologia e del progresso, risulta quasi difficile partecipare ma dalla quale ci possiamo soltanto lasciar affascinare.
Alice Carlotta Forlini
28
marzo 2015
Paolo Perotti
Dal 28 marzo al 24 aprile 2015
arte contemporanea
Location
SPAZIO ROSSO TIZIANO
Piacenza, Via Giuseppe Taverna, 41, (Piacenza)
Piacenza, Via Giuseppe Taverna, 41, (Piacenza)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 15.30 - 19.15
Vernissage
28 Marzo 2015, Ore 17.30
Autore