Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Pippo Patruno – Futuro Remoto
È una ricerca che si muove per opposizioni, per contrasti, per ossimori, per polarità a cominciare dal titolo Futuro Remoto, una possibilità verbale semanticamente intrigante che apre la linea del tempo verso ciò che è stato e verso ciò che non è ancora.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
È una ricerca che si muove per opposizioni, per contrasti, per ossimori, per polarità a
cominciare dal titolo Futuro Remoto, una possibilità verbale semanticamente intrigante che
apre la linea del tempo verso ciò che è stato e verso ciò che non è ancora. E non solo,
predispone anche all’idea che il futuro sia lontano, remoto appunto, difficile da tratteggiare
nella sua abissale distanza dal presente.
Da un passato vicino, Pippo Patruno raccoglie, scopre, disvela, una ricca
documentazione, inviti d’arte, personali o di amici artisti, o di quanti sono stati coinvolti
nella storica galleria Bonomo di Bari, di cui egli stesso ha fatto parte. Luogo elettivo per
raccontare il sistema dell’arte degli ultimi cinquant’anni nelle sue più riuscite produzioni,
una sorta di hub, collettore e approdo accogliente dei linguaggi contemporanei.
L’insieme dei materiali riemersi e dunque riconsegnati a nuove letture, è ridotto in
sequenze di pacchi dove gli inviti si sedimentano in gruppi ordinati, di spessore costante.
A guisa di copertina, spicca il prodotto grafico che in ciascuno dei fardelli esprime la sua
massima eloquenza iconica. Antinomico su un piano concettuale è il gesto dell’artista che,
per un verso porta alla luce i preziosi reperti e, per l’altro, dopo lo sforzo archeologico, li
sotterra nuovamente nella sistematica sovrapposizione degli incartamenti. Sono
personalissime capsule del tempo da consegnare alla posterità, legate da corde che
perimetrano identiche geometrie e rimandano a quella modularità che Patruno ha coltivato
da sempre nei suoi lavori. Una modularità che è stata al servizio di una pittura circoscritta
alla parola, nella sua eccezione di sintesi estrema del senso, una pittura sottratta alla
forma e risospinta alla pienezza del suo referente.
In seguito, la sua intensa attività speculativa sul presente e sulla possibilità di coerenti e
aggiornate rappresentazioni della contemporaneità, ha escluso naturalmente la pittura,
relegandola a linguaggio “remoto”, per l’appunto. Al suo posto è l’installazione, il medium
con il quale l’artista visualizza lo scorrere del tempo, gestisce il passato, ne traccia un’
ammissibile ricostruzione e rende il singolo documento parte di un mosaico della creatività
contemporanea.
Cosa portare nel futuro, si chiede dunque Patruno, se non il distillato sublime della
produzione artistica, siglato nella cospicua documentazione di mostre e eventi,
ricostruttiva di biografie artistiche illustri? E, allora, procede assorbendo ciò che è stato e
ora non è più ma anche ripensando l’ipertrofica conservazione compulsiva, l’accumulo
ossessivo per consegnarlo infine a un sistema disciplinato, normato da cumuli regolari.
Collocati su un’ampia parete, in un affastellamento che abbozza una massiccia invasione
ambientale, gli imballaggi si alternano a lavori fotografici. Derivano dalla combinazione di
più pagine della rivista Artforum, reperita nelle sue numerose annate ancora dal fondo
Bonomo, e innalzata a silloge di un universo onnicomprensivo dei linguaggi visuali.
Immagini e testi, attraverso la fotografia, trasmutano dall’originale cartaceo in stampe
digitali su legno con una resa volutamente sporca, disturbata nella leggibilità dalla
focalizzazione su una sola parola. È centrale, traforata e buca letteralmente lo sguardo, è
una parola che già c’è, esiste nei testi e assume nell’accezione borgesiana, un ruolo
generativo. È la parola di tutte le parole, la scrittura del Dio del celebre racconto dello
scrittore argentino, un segno promotore di una catena di senso infinita come infinito è il
tentativo dell’uomo di nominare il mondo.
Figli di una stessa ricerca sono altri reperti, legati alla storia da connessioni
autobiografiche che trovano una sontuosa collocazione negli spazi ipogei della galleria.
Riviste, dischi, libri, dépliant, a partire dagli anni Settanta, sono compattati non più in
seriali e reiterate sequenze ma in colli disomogenei e personalizzati da scritte incise.
Possibili titolazioni per memorie private e collettive, per corrispondenza ordinaria e idoli
mediatici: una cartolina dello sbarco sulla luna, il vinile di Woodstock o di Lucio Battisti, la
prima edizione in italiano del libretto rosso di Mao Tse-tung, il manifesto SCUM di Valerie
Solanas, la foto di Jan Palach, dei militari italiani durante le campagne d’Africa, di sposi
anonimi in viaggio di nozze a Venezia o a Roma. Viatici che hanno scortato Patruno nel
passaggio da un millennio all’altro.
È la tappa conclusiva di un’archiviazione impossibile, restituita fatalmente nell’ultima
stanza alla condizione di partenza, al caos primigenio. Su una tavola, come in uno
scomposto e residuo banchetto, si mescolano materiali non ancora sottoposti a
tassonomie, progetti abortiti, abbozzi, azzardi creativi e fallimenti, scatole in attesa di
sguardi classificatori. Una confusione che ha l’ardimento di non confondere più, dove tutto
si trova in una separatezza e singolarità disarmante, precedente a ogni ordine, archivio,
catalogo e prima di qualsiasi definizione remota e futura.
Marilena Di Tursi
cominciare dal titolo Futuro Remoto, una possibilità verbale semanticamente intrigante che
apre la linea del tempo verso ciò che è stato e verso ciò che non è ancora. E non solo,
predispone anche all’idea che il futuro sia lontano, remoto appunto, difficile da tratteggiare
nella sua abissale distanza dal presente.
Da un passato vicino, Pippo Patruno raccoglie, scopre, disvela, una ricca
documentazione, inviti d’arte, personali o di amici artisti, o di quanti sono stati coinvolti
nella storica galleria Bonomo di Bari, di cui egli stesso ha fatto parte. Luogo elettivo per
raccontare il sistema dell’arte degli ultimi cinquant’anni nelle sue più riuscite produzioni,
una sorta di hub, collettore e approdo accogliente dei linguaggi contemporanei.
L’insieme dei materiali riemersi e dunque riconsegnati a nuove letture, è ridotto in
sequenze di pacchi dove gli inviti si sedimentano in gruppi ordinati, di spessore costante.
A guisa di copertina, spicca il prodotto grafico che in ciascuno dei fardelli esprime la sua
massima eloquenza iconica. Antinomico su un piano concettuale è il gesto dell’artista che,
per un verso porta alla luce i preziosi reperti e, per l’altro, dopo lo sforzo archeologico, li
sotterra nuovamente nella sistematica sovrapposizione degli incartamenti. Sono
personalissime capsule del tempo da consegnare alla posterità, legate da corde che
perimetrano identiche geometrie e rimandano a quella modularità che Patruno ha coltivato
da sempre nei suoi lavori. Una modularità che è stata al servizio di una pittura circoscritta
alla parola, nella sua eccezione di sintesi estrema del senso, una pittura sottratta alla
forma e risospinta alla pienezza del suo referente.
In seguito, la sua intensa attività speculativa sul presente e sulla possibilità di coerenti e
aggiornate rappresentazioni della contemporaneità, ha escluso naturalmente la pittura,
relegandola a linguaggio “remoto”, per l’appunto. Al suo posto è l’installazione, il medium
con il quale l’artista visualizza lo scorrere del tempo, gestisce il passato, ne traccia un’
ammissibile ricostruzione e rende il singolo documento parte di un mosaico della creatività
contemporanea.
Cosa portare nel futuro, si chiede dunque Patruno, se non il distillato sublime della
produzione artistica, siglato nella cospicua documentazione di mostre e eventi,
ricostruttiva di biografie artistiche illustri? E, allora, procede assorbendo ciò che è stato e
ora non è più ma anche ripensando l’ipertrofica conservazione compulsiva, l’accumulo
ossessivo per consegnarlo infine a un sistema disciplinato, normato da cumuli regolari.
Collocati su un’ampia parete, in un affastellamento che abbozza una massiccia invasione
ambientale, gli imballaggi si alternano a lavori fotografici. Derivano dalla combinazione di
più pagine della rivista Artforum, reperita nelle sue numerose annate ancora dal fondo
Bonomo, e innalzata a silloge di un universo onnicomprensivo dei linguaggi visuali.
Immagini e testi, attraverso la fotografia, trasmutano dall’originale cartaceo in stampe
digitali su legno con una resa volutamente sporca, disturbata nella leggibilità dalla
focalizzazione su una sola parola. È centrale, traforata e buca letteralmente lo sguardo, è
una parola che già c’è, esiste nei testi e assume nell’accezione borgesiana, un ruolo
generativo. È la parola di tutte le parole, la scrittura del Dio del celebre racconto dello
scrittore argentino, un segno promotore di una catena di senso infinita come infinito è il
tentativo dell’uomo di nominare il mondo.
Figli di una stessa ricerca sono altri reperti, legati alla storia da connessioni
autobiografiche che trovano una sontuosa collocazione negli spazi ipogei della galleria.
Riviste, dischi, libri, dépliant, a partire dagli anni Settanta, sono compattati non più in
seriali e reiterate sequenze ma in colli disomogenei e personalizzati da scritte incise.
Possibili titolazioni per memorie private e collettive, per corrispondenza ordinaria e idoli
mediatici: una cartolina dello sbarco sulla luna, il vinile di Woodstock o di Lucio Battisti, la
prima edizione in italiano del libretto rosso di Mao Tse-tung, il manifesto SCUM di Valerie
Solanas, la foto di Jan Palach, dei militari italiani durante le campagne d’Africa, di sposi
anonimi in viaggio di nozze a Venezia o a Roma. Viatici che hanno scortato Patruno nel
passaggio da un millennio all’altro.
È la tappa conclusiva di un’archiviazione impossibile, restituita fatalmente nell’ultima
stanza alla condizione di partenza, al caos primigenio. Su una tavola, come in uno
scomposto e residuo banchetto, si mescolano materiali non ancora sottoposti a
tassonomie, progetti abortiti, abbozzi, azzardi creativi e fallimenti, scatole in attesa di
sguardi classificatori. Una confusione che ha l’ardimento di non confondere più, dove tutto
si trova in una separatezza e singolarità disarmante, precedente a ogni ordine, archivio,
catalogo e prima di qualsiasi definizione remota e futura.
Marilena Di Tursi
26
ottobre 2019
Pippo Patruno – Futuro Remoto
Dal 26 ottobre al 26 novembre 2019
arte contemporanea
Location
MUSEO NUOVA ERA
Bari, Strada Dei Gesuiti, 13, (Bari)
Bari, Strada Dei Gesuiti, 13, (Bari)
Orario di apertura
Martedì - Sabato ore 17.30 / 20.30
Vernissage
26 Ottobre 2019, h 19.30
Sito web
Autore
Curatore