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Public Art
Il convegno – dopo le mostre, i manifesti d’artista, gli site specifics, gli eventi di arte relazionale, gli workshop ancora in atto – è il momento delle idee in questo grande e articolato progetto denominato “Public Art a Trieste e dintorni”
Comunicato stampa
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Il convegno - dopo le mostre, i manifesti d’artista, gli site specifics, gli eventi di arte relazionale, gli workshop ancora in atto – è il momento delle idee in questo grande e articolato progetto denominato “Public Art a Trieste e dintorni”. Progetto, lo ricordiamo ancora, promosso dall’associazione culturale GRUPPO 78 di Trieste, voluto e curato da Maria Campitelli in collaborazione con Elisa Vladilo e reso possibile con il sostegno di svariati enti pubblici e privati.
Il convegno gode del patrocinio della facoltà di Architettura dell’Università di Trieste.
Introdotto da Enrico Conte, direttore dell’Area Educazione, infanzia, Giovani, Università e Ricerca del Comune di Trieste, dal presidente del Corecom F.V.G. Franco del Campo, e da Maria Campitelli, il convegno intende porre a confronto pensieri e valutazioni intorno all’arte pubblica, e alle sue realizzazioni, in un momento di criticità ed incertezze.
La parola chiave sembra essere “trasformazione”.
L’obiettivo non è tanto quello di raggiungere una definizione apodittica della public art, che appare mobile e sfuggente, bensì di venire a conoscenza delle attuali interpretazioni, degli sviluppi che in contesti e momenti storici diversi ha avuto dai suoi inizi - che risalgono, nell’accezione moderna del termine, alla fine degli anni ’60 quando gli artisti abbandonano il white cube della galleria per espandersi nello “spazio pubblico” – ad oggi. Tuttavia Annalisa Cattani nel suo intervento cercherà di evidenziare le principali accezioni di arte publica, scegliendo la via della problematizzazione, rendendo il lavoro artistico un oggetto dialettico.
Anche la nozione di “spazio pubblico”, “tanto vaga quanto fertile” come sottolinea Paola di Biagi, docente alla Facoltà di Architettura di Trieste, è abbordabile da diversi punti di vista. Ed inoltre esiste un divario temporale tra lo sviluppo della Public Art nel Nord Europa, in America e in Italia e in genere nei paesi mediterranei. Da noi oggi è al suo boom, almeno a giudicare dalla quantità di pubblicazioni, dibattiti, tesi di laurea nel merito, mentre in Gran Bretagna, ad esempio, ha avuto la sua massima espansione negli anni ’80, con realizzazioni anche molto importanti come la trasformazione di edifici ex industriali in centri museali a valenza planetaria. Valgano per tutti gli esempi della Tate Modern di Londra, e del Baltic Center di Gateshead. Quest’ultimo dotatosi della celebre scultura “the Angel of the North” di Antony Gormley. Realtà che rispondono, come ricorda Lucia Farinati, curatrice di eventi di Public Art residente a Londra, a una politica di “rigenerazione urbana” che ha puntato sulla cultura come motore per rianimare le città post-industriali in declino. L’obiettivo era promuovere immagini di città capaci di attrarre investimenti e visitatori, secondo le politiche incentrate sul marketing urbano e sul turismo. Ma non sempre ha funzionato. L’artista Alberto Duman, che spesso ha partecipato a concorsi di Arte Pubblica nel Regno Unito, parla di “strutture invisibili” e di “retroscena” ignoti al pubblico che vede solo il risultato di un determinato intervento, strutture che evidentemente condizionano le partecipazioni e la definizione degli interventi stessi, scivolando dalla cultura all’immediato interesse economico. Ovvero il risultato è approdato da un’altra parte, producendo a volte ingombranti manufatti che non rispondono proprio ad un intrinseco concetto di arte pubblica, limitandosi a quello, trito ed inutile, di “decorazione”. A questo proposito Bert Theis, il decano della Public Art, giunge a posizioni estreme : il titolo del suo intervento al convegno suona infatti “ Contro la public Art”, perché nei numerosi progetti di trasformazione urbana spesso manca la dimensione politica e conflittuale, indispensabili per una reale rigenerazione. E aggiunge ironicamente “una via d’uscita del dilemma della Public Art potrebbe essere lo spostamento dell’arte ”site specific” all’arte “fight specific”. Dunque “battaglie specifiche” per compiere una vera trasformazione del territorio e migliorare la qualità della vita. Questa è la linea seguita, con modalità differenziate, da Osservatorio in Opera (Piero Almeoni, Paola Sabatti Bassini, Roberta Sisti), da Paola Di Bello, entrambi impegnati nella salvaguardai del quartiere Isola –Garibaldi a Milano. L’arte pubblica va intesa – afferma Piero Almeoni – come la possibilità dell’arte di integrarsi con il reale, cioè con l’ambiente pubblico e quotidiano. È questa volontà, da più parti ribadita, di gettare ponti oltre i confini dell’arte, di intrecciarsi con altre discipline, e con l’intera società civile, a segnare il percorso dell’arte pubblica, in un processo, dalle radici remote, di indetificazione arte-vita. Arte allora come servizio sociale, ipotizza RobertoPinto, uno dei primi curatori a Milano di Arte Pubblica, con le caratteristiche però della creatività, una marcia in più per operare cambiamenti consapevoli e condivisi. Paola Sabatti auspica quindi “sinergie di pensiero fra gli interlocutori della progettazione sociale dell’arte, dell’urbanistica e i responsabili di funzioni di governo”. E qui incrociamo il pensiero di Michelangelo Pistoletto che già nel ’94 nel Manifesto per il Progetto Arte sosteneva che l’arte debba ritrovare la sua compresenza universale e l’artista deve assumersi la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana. Creare dunque come “capacità di porre in comunicazione”. “Cittàdellarte”, fondata a Biella appunto da Pistoletto, presenterà nel convegno il progetto “Italia in Persona: l’impresa dell’arte, l’arte per l’impresa”, proponendo un confronto, indispensabile, con il mondo della produzione.
E ancora molte altre importanti ed originali proposizioni di artisti e architetti animeranno il convengo sulla Public art di Trieste: come le relazioni che legano arte e urbanistica nelle pratiche di trasformazione dela città della già citata Paola Di Biagi, la compresenza di progettualita architettonica ed artistica negli spazi pubblici di Carlini&Valle, gli atti artistici intesi da Claudio Farina come cellule staminali all’origine della trasformazione sul territorio urbano, l’ imprescindibile funzione del colore nella rigenerazione degli spazi pubblici di Elisa Vladilo, il racconto degli Irwin sulla situazione artistica nell’est europeo, l’approdo estremo dell’arte relazionale, partita dalle esperienze di “Oreste” negli anni ’90, di Emilio Fantin, mentre Lorenza Perelli illustrerà il suo libro “Public Art, Arte, interazione e progetto urbano”; ed inoltre la singolare posizione del curatore Marco Scotini che discuterà di pratiche artistiche e di disobbedienza sociale, la valenza poetica del design da giardino e paesaggio dei Topotek di Berlino, l’emergenza “acqua” evidenziata dall’architetto Roberto Marcatti, docente incaricato al Politecnico di Milano, Facoltà di design, con la sua mostra “H2O – Nuovi scenari per la sopravvivenza”, supportata dall’ esemplificazione di opere di grandi architetti correlate all’acqua, in primis la casa sulla cascata del 1936 di Frank Lloyd Wright.
Né mancherà un filmato documentativo che racconta i momenti più importanti del celebre progetto “Immaginare Corviale”, di ON/Osservatorio Nomade, realizzato tramite l’interrelazione di artisti, mediatori, istituzioni, promosso dal Comune di Roma e curato dalla Fondazione Adriano Olivetti.
Maria Campitelli
04
ottobre 2007
Public Art
Dal 04 al 05 ottobre 2007
incontro - conferenza
Location
UNIVERSITA’ DI TRIESTE
Trieste, Piazzale Europa, 1, (Trieste)
Trieste, Piazzale Europa, 1, (Trieste)