Il procedimento coagulato e rivelato, cioè l’opera (oggi operazione) rappresenta, ed è sempre solamente, il microcosmo in cui devono essere vissute le miserie, le contraddizioni o la gloria dell’intera vita sociale ed esistenziale?
Le immagini, tutte le immagini, sono instabili e furtive per natura e didascalie e commenti le opacizzano ulteriormente?
L’interpretazione autentica coincide con un’operazione di rifacimento, di riscrittura?
Se un’opera appartiene obbligatoriamente ad una tradizione della quale però non possediamo più il senso e della quale ci sfuggono continuità e divenire e non potendo quindi fare altro che registrarne l’inintelliggibilità genetica ed esistenziale, che senso ha decostruire? A che serve mettere in luce?
Meritare l’odio ed il biasimo della società del tempo, presentare un’operazione al di sopra di qualunque critica è sufficientemente soddisfacente per un artista?
A cosa è fedele un pittore, un artista?
Il tempo della pittura è il tempo dell’analisi, della sospensione, dell’indugio, della sintassi, di Godot?
Pittura si, pittura no, pittura ancora?...L’epoca rischia di rinunciare, unitamente a molte altre cose, ad uno dei prodotti più alti della mente e dell’anima?

Raccontarla? Raccontarsela? Forse si, forse… Ma sembra soprattutto il racconto, la sua laica essenzialità, la sua “relativa” direzione (in luogo di verità più o meno rivelate) a costituire gran parte di ciò di cui l’uomo pare avere bisogno… Così, come se fosse antani…Terapia tapioco…. Blindo!
Roberto Guerrini.