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Rod Dudley – Un australiano in città
Per la prima volta Rod Dudley, l’artista australiano che vive e opera a Varese da quarant’anni, espone in città, e precisamente alla Sala Veratti, uno spazio espositivo che privilegia la presenza di artisti che, seppur noti nel circuito internazionale dell’arte, sono legati alla realtà del territorio
Comunicato stampa
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Per la prima volta ROD DUDLEY, l’artista australiano che vive e opera a Varese da quarant’anni, espone in città, e precisamente alla Sala Veratti, uno spazio espositivo che privilegia la presenza di artisti che, seppur noti nel circuito internazionale dell’arte, sono legati alla realtà del territorio.
La mostra, promossa dal Comune di Varese, dalla Circoscrizione n.1, dal Circolo Cavour, rende omaggio a un artista dallo stile unico e irrepetibile, che “ha dipinto e scolpito un’umanità – come scrive Attilio Fontana, sindaco di Varese - fortemente provocante e provocatoria, contro le finzioni e i travestimenti della società dei consumi: una satira di costume che diventa cronaca attenta e mordace del nostro tempo”.
Rod Dudley, nato nel 1935 nei sobborghi dell’australiana Melbourne, formatosi alla Melbourne University, docente d’arte nei licei dello Stato di Victoria, giunge nel 1965, con una borsa di studio, a Milano, a Brera: qui segue i corsi di scultura di Marino Marini e Alik Cavaliere. Nel 1966 si trasferisce a Varese. A Besozzo ha lo studio, in Via Diaz 8. Sito: www.roddudley.com.au
Tra le Esposizioni si segnalano: la presenza alla Triennale di Milano nel 1973, per la quale realizza
10 figure di Donne in legno attualmente in collezione permanente all’Adelaide Festival Centre, la presenza alla Biennale di Venezia nel 1976 con i progetti “Ipotesi” e “Operazione Arcevia”, le esposizioni in molte Fiere d’Arte in Europa, a Bologna, Basilea, Dusseldorf, Amsterdam, Vienna, Londra, Genova, Milano, Roma, Torino, al Museo d’Arte Moderna di Parigi, alla Galleria del Naviglio di Milano. Nel 1984 espone a Palazzo Grassi a Venezia nella mostra “I Dogi della Moda, travestimento o realtà”. Tra le tante personali si segnalano quelle a Pienza, a Travedona (Va), a Busto Arsizio, a Melbourne, ad Adelaide, a Sesto Calende, ad Ascoli Piceno, a Ravenna, a Varallo Pombia, a Rozzano, ad Angera, alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, al Museo Civico di Bergamo. Di lui si sono occupati: Dino Buzzati, Gian Franco Maffina, Monika von Zitsewitz, Enrico Crispolti, J. De Sanna, A. Miotto, Miglierina, P. Restany.
In Mostra opere pittoriche e una trentina di sculture.
Scrive la curatrice Luciana Schiroli: “Personaggi reali, ma trasfigurati da un Rod Dudley, che osservatore attento e arguto, esalta e deforma, fino all’esasperazione espressionista, alcuni dettagli in un sottile e dialettico gioco che diventa satira di costume e provocazione visiva, invenzione fantastica e sognante utopia. Una scelta, in ogni caso, sia che si tratti di pittura o di scultura, della figurazione, di quella grande tradizione che ha avuto in Henry Moore e in Marino Marini i suoi nomi più illustri: e l’idea della monumentalità, che s’intravvede in alcuni gruppi scultorei, si libera dai rigidi canoni classici per innervarsi dell’inquieta tensione di un Francis Bacon, degli sbilenchi graffiti di un David Hockney, del nervosismo lineare di un George Grosz o di un Egon Schiele”.
**
UN AUSTRALIANO IN CITTA’ di Luciana Schiroli
Donne eccentriche e superaccessoriate, uomini in nero elegantissimi e raffinati, simboli di un benessere spasmodico e convulso, ma anche tanto mare e qualche animale, il cane solitamente, che entra silenzioso in questo palcoscenico dove il protagonismo diventa soverchiante e rumoroso.
Personaggi reali, dunque, ma trasfigurati da un Rod Dudley che, osservatore attento e arguto, esalta e deforma, fino all’esasperazione espressionista, alcuni dettagli in un sottile e dialettico gioco che diventa satira di costume e provocazione visiva, invenzione fantastica e sognante utopia.
Non è un caso che l’artista si faccia spesso ritrarre vicino alle sue donne, che in modo quasi ossessivo, affollano un prato o una spiaggia: sguardi intensi e sorrisi smaglianti caratterizzano quest’universo femminile che, per quanto costretto in forme chiuse e strette, sembra muoversi e dialogare col mondo intero. Un dualismo questo tra il fermo e il mobile, tra il reale e l’apparente, che diventa metafora di una condizione dell’esistere, sicura e precaria contemporaneamente. E la ruota diventa l’ immagine più emblematica di una sospensione a mezz’aria, di un’incertezza stabile o di una stabilità incerta, come il trapezista che gioca la sua vita a metà, tra terra e cielo.
Nessun sentimentalismo buffonesco, nessun gesto da avanspettacolo, nessun pianto bagnato o asciutto, nessuna noia da trapezista del nulla, ma neppure vertigine ed euforia: solo un’ironica visione della realtà, del tempo che scorre, della storia di tutti, colta nei salotti mondani, nelle stanze private, nei mille volti trasmessi dai media e dallo spettacolo.
Una scelta, in ogni caso, sia che si tratti di pittura o di scultura, della figurazione, di quella grande tradizione che ha avuto in Henry Moore e in Marino Marini i suoi nomi più illustri: e l’idea della monumentalità, che s’intravvede in alcuni gruppi scultorei, si libera dai rigidi canoni classici per innervarsi dell’inquieta tensione di un Francis Bacon, degli sbilenchi graffiti di un David Hockney, del nervosismo lineare di un George Grosz o di un Egon Schiele.
Certo, la scultura, in legno o in bronzo verniciato, sa imporsi con maggiore fisicità e i corpi di Dudley stanno frontalmente davanti allo spettatore con una forza corporea che non lascia certo indifferente chi li guarda: anche perché qui il bello non è né il grazioso né l’edulcorato a tutti i costi.
Così, Rod Dudley, nato nei sobborghi dell’australiana Melbourne, formatosi alla Melbourne University, docente d’arte nei licei dello Stato di Victoria era giunto, con una borsa di studio, a Milano, a Brera: ed è qui, in Italia, che Rod Dudley, che ebbe come insegnanti Marino Marini e Alik Cavaliere, arrivò a un linguaggio suo, libero, “libero come la balena del suo grande mare”.
Ebbene da quarant’anni Rod abita e lavora a Varese, “un provinciale, che in fuga dalla provincia, ha scelto poi un luogo provinciale come Varese”, ma – ed è lui a dirlo - “Varese mi ha dato una vera vita e ormai mi considero un varesino, forse anomalo, ma legato a questa terra”.
Un Rod Dudley che comunque sta e non sta, che va e torna, un Rod Dudley in transito, come il suo “stile” che non vuole diventare uno stile assoluto e accademico, freddo e banale.
Creta, bronzo, vetroresina, e contemporaneamente, in dialettica mordace, la pittura, l’acrilico.
Ultimissimi gli uomini filiformi, sottili, sculture e pitture assieme, più asciutti ed essenziali: una ricerca nuova, che, pur affondando le radici in un primitivismo africano, diventa nuovo paradigma della figura umana.
Una satira di costume che rivendica il legame con la realtà e con l’uomo, al di là di ogni revival astratto e informale: perché è proprio qui, “nelle cose che ci sono e che vediamo”, che c’è la vita e nella vita il mistero della vita stessa.
Luciana Schiroli
La mostra, promossa dal Comune di Varese, dalla Circoscrizione n.1, dal Circolo Cavour, rende omaggio a un artista dallo stile unico e irrepetibile, che “ha dipinto e scolpito un’umanità – come scrive Attilio Fontana, sindaco di Varese - fortemente provocante e provocatoria, contro le finzioni e i travestimenti della società dei consumi: una satira di costume che diventa cronaca attenta e mordace del nostro tempo”.
Rod Dudley, nato nel 1935 nei sobborghi dell’australiana Melbourne, formatosi alla Melbourne University, docente d’arte nei licei dello Stato di Victoria, giunge nel 1965, con una borsa di studio, a Milano, a Brera: qui segue i corsi di scultura di Marino Marini e Alik Cavaliere. Nel 1966 si trasferisce a Varese. A Besozzo ha lo studio, in Via Diaz 8. Sito: www.roddudley.com.au
Tra le Esposizioni si segnalano: la presenza alla Triennale di Milano nel 1973, per la quale realizza
10 figure di Donne in legno attualmente in collezione permanente all’Adelaide Festival Centre, la presenza alla Biennale di Venezia nel 1976 con i progetti “Ipotesi” e “Operazione Arcevia”, le esposizioni in molte Fiere d’Arte in Europa, a Bologna, Basilea, Dusseldorf, Amsterdam, Vienna, Londra, Genova, Milano, Roma, Torino, al Museo d’Arte Moderna di Parigi, alla Galleria del Naviglio di Milano. Nel 1984 espone a Palazzo Grassi a Venezia nella mostra “I Dogi della Moda, travestimento o realtà”. Tra le tante personali si segnalano quelle a Pienza, a Travedona (Va), a Busto Arsizio, a Melbourne, ad Adelaide, a Sesto Calende, ad Ascoli Piceno, a Ravenna, a Varallo Pombia, a Rozzano, ad Angera, alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, al Museo Civico di Bergamo. Di lui si sono occupati: Dino Buzzati, Gian Franco Maffina, Monika von Zitsewitz, Enrico Crispolti, J. De Sanna, A. Miotto, Miglierina, P. Restany.
In Mostra opere pittoriche e una trentina di sculture.
Scrive la curatrice Luciana Schiroli: “Personaggi reali, ma trasfigurati da un Rod Dudley, che osservatore attento e arguto, esalta e deforma, fino all’esasperazione espressionista, alcuni dettagli in un sottile e dialettico gioco che diventa satira di costume e provocazione visiva, invenzione fantastica e sognante utopia. Una scelta, in ogni caso, sia che si tratti di pittura o di scultura, della figurazione, di quella grande tradizione che ha avuto in Henry Moore e in Marino Marini i suoi nomi più illustri: e l’idea della monumentalità, che s’intravvede in alcuni gruppi scultorei, si libera dai rigidi canoni classici per innervarsi dell’inquieta tensione di un Francis Bacon, degli sbilenchi graffiti di un David Hockney, del nervosismo lineare di un George Grosz o di un Egon Schiele”.
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UN AUSTRALIANO IN CITTA’ di Luciana Schiroli
Donne eccentriche e superaccessoriate, uomini in nero elegantissimi e raffinati, simboli di un benessere spasmodico e convulso, ma anche tanto mare e qualche animale, il cane solitamente, che entra silenzioso in questo palcoscenico dove il protagonismo diventa soverchiante e rumoroso.
Personaggi reali, dunque, ma trasfigurati da un Rod Dudley che, osservatore attento e arguto, esalta e deforma, fino all’esasperazione espressionista, alcuni dettagli in un sottile e dialettico gioco che diventa satira di costume e provocazione visiva, invenzione fantastica e sognante utopia.
Non è un caso che l’artista si faccia spesso ritrarre vicino alle sue donne, che in modo quasi ossessivo, affollano un prato o una spiaggia: sguardi intensi e sorrisi smaglianti caratterizzano quest’universo femminile che, per quanto costretto in forme chiuse e strette, sembra muoversi e dialogare col mondo intero. Un dualismo questo tra il fermo e il mobile, tra il reale e l’apparente, che diventa metafora di una condizione dell’esistere, sicura e precaria contemporaneamente. E la ruota diventa l’ immagine più emblematica di una sospensione a mezz’aria, di un’incertezza stabile o di una stabilità incerta, come il trapezista che gioca la sua vita a metà, tra terra e cielo.
Nessun sentimentalismo buffonesco, nessun gesto da avanspettacolo, nessun pianto bagnato o asciutto, nessuna noia da trapezista del nulla, ma neppure vertigine ed euforia: solo un’ironica visione della realtà, del tempo che scorre, della storia di tutti, colta nei salotti mondani, nelle stanze private, nei mille volti trasmessi dai media e dallo spettacolo.
Una scelta, in ogni caso, sia che si tratti di pittura o di scultura, della figurazione, di quella grande tradizione che ha avuto in Henry Moore e in Marino Marini i suoi nomi più illustri: e l’idea della monumentalità, che s’intravvede in alcuni gruppi scultorei, si libera dai rigidi canoni classici per innervarsi dell’inquieta tensione di un Francis Bacon, degli sbilenchi graffiti di un David Hockney, del nervosismo lineare di un George Grosz o di un Egon Schiele.
Certo, la scultura, in legno o in bronzo verniciato, sa imporsi con maggiore fisicità e i corpi di Dudley stanno frontalmente davanti allo spettatore con una forza corporea che non lascia certo indifferente chi li guarda: anche perché qui il bello non è né il grazioso né l’edulcorato a tutti i costi.
Così, Rod Dudley, nato nei sobborghi dell’australiana Melbourne, formatosi alla Melbourne University, docente d’arte nei licei dello Stato di Victoria era giunto, con una borsa di studio, a Milano, a Brera: ed è qui, in Italia, che Rod Dudley, che ebbe come insegnanti Marino Marini e Alik Cavaliere, arrivò a un linguaggio suo, libero, “libero come la balena del suo grande mare”.
Ebbene da quarant’anni Rod abita e lavora a Varese, “un provinciale, che in fuga dalla provincia, ha scelto poi un luogo provinciale come Varese”, ma – ed è lui a dirlo - “Varese mi ha dato una vera vita e ormai mi considero un varesino, forse anomalo, ma legato a questa terra”.
Un Rod Dudley che comunque sta e non sta, che va e torna, un Rod Dudley in transito, come il suo “stile” che non vuole diventare uno stile assoluto e accademico, freddo e banale.
Creta, bronzo, vetroresina, e contemporaneamente, in dialettica mordace, la pittura, l’acrilico.
Ultimissimi gli uomini filiformi, sottili, sculture e pitture assieme, più asciutti ed essenziali: una ricerca nuova, che, pur affondando le radici in un primitivismo africano, diventa nuovo paradigma della figura umana.
Una satira di costume che rivendica il legame con la realtà e con l’uomo, al di là di ogni revival astratto e informale: perché è proprio qui, “nelle cose che ci sono e che vediamo”, che c’è la vita e nella vita il mistero della vita stessa.
Luciana Schiroli
29
marzo 2008
Rod Dudley – Un australiano in città
Dal 29 marzo al 13 aprile 2008
arte contemporanea
Location
SALA VERATTI
Varese, Via Carlo Giuseppe Veratti, 20, (Varese)
Varese, Via Carlo Giuseppe Veratti, 20, (Varese)
Orario di apertura
martedì-domenica 10.00 -12.30 / 14.30 - 18.30
Vernissage
29 Marzo 2008, ore 17.30
Sito web
www.roddudley.com.au
Autore
Curatore