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Runa Islam – How far to Fårö
La giovane video artista inglese, originaria del Bangladesh, presenterà in dicembre al Mart la sua ultima opera, un’installazione video ispirata a Ingmar Bergman
Comunicato stampa
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Dal 17 dicembre 2005 al 29 gennaio 2006 il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto presenta How far to Fårö, l’ultimo video di Runa Islam, giovane artista inglese presente quest’anno alla Biennale di Venezia. A Rovereto Islam presenta un progetto prodotto dal Mart insieme alla Dunkers Kulturhus di Helsingborg, in Svezia.
Si tratta di una installazione video ispirata a Ingmar Bergman e alle ambientazioni di due suoi film, Attraverso uno specchio scuro del 1961 e Persona del 1966. Ambedue i film sono stati girati sull’isola di Fårö, a nord di Gotland, nel mezzo del Mar Baltico.
Nella sala project-room al primo piano del Mart sarà proiettato How far to Fårö, un video montato avvicinando tre diversi punti di vista, materialmente proiettati su tre schermi distinti, che corrispondono anche a tre probabili spunti narrativi: un viaggio in battello per raggiungere l’isola, i diversi aspetti del suo paesaggio e una foresta.
Quest’ultima ambientazione costituisce in un certo senso l’elemento finale del trittico, in quanto vediamo sul terreno apparire il binario che guida la macchina da presa, e comprendiamo che l’installazione è interamente dedicata alle specificità del linguaggio cinematografico e alle atmosfere che sa creare.
Runa Islam, che già nei suoi lavori precedenti ha esplicitamente affermato di trovare una similitudine fra il linguaggio filmico e le sintesi del sogno ad occhi aperti, o anche dell’ipnosi, cerca di produrre un tipo di arte che accompagna un forte intento analitico all’espressione di stati emozionali, anche se nulla nelle sue opere viene mai specificato.
Runa Islam ha tenuto mostre presso importanti musei, come la Kunsthalle di Vienna e la Voralberger Kunstverein di Bregenz, e gallerie come White Cube di Londra.
Biografia
Nata nel 1970 a Dhaka, in Bangladesh, Runa Islam vive in Inghilterra dal 1990. In quell’anno ha frequentato la Manchester Metropolitan University, e ha in seguito continuato i suoi studi alla Middlesex University, alla Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam, e al Royal College of Art di Londra, dove attualmente risiede e lavora.
La sua prima personale è stata quella del 2000 allo Tschumi Pavilion di Groningen, in Olanda, mentre già dal ’94 aveva partecipato a numerose mostre collettive tra Londra, Berlino, Rotterdam e Amsterdam. Sempre del 2000 è la sua prima collettiva in Italia, “Guarene Arte 2000”, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Per l’arte.
Nel 2001 ha presentato “Director’s Cut (Fool for Love”, al White Cube di Londra, e “One day a day will come, when a day will not come anymore”, all’April in parking meters di Colonia. L’anno seguente la troviamo al MIT List Visual Arts Centre di Cambridge, in Massachusetts, con il video “Rapid Eye Movement”, e di nuovo con Directors’ Cut e con una retrospettiva a Bregenz e alla Kunsthalle di Vienna, in Austria. Nel 2004 ha presentato “Runa Islam: Scale (1/16 inch = 1 foot)”, allo Shugo Arts di Tokyo.
Dell’anno in corso sono la partecipazione alla 51esima Biennale di Venezia e alla seconda Biennale di Praga, “Visages & Voyages”, al Dunkers Kulturhus di Helsingborg, “Out of the Picture” al Camden Arts Centre di Londra.
Runa Islam ha all’attivo numerosi premi, tra i quali quello della Regione Piemonte nel 2000, e il London Arts, ‘Visual Arts’ Award del 2001.
Sue opere sono presenti allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al CGAC di Santiago de Compostela, al Museu Serralves di Porto, e al Museum of the 21st Century di Kanazawa, in Giappone.
Runa Islam.
di Giorgio Verzotti
In un’intervista televisiva, Marguerite Duras rispondeva a chi le obiettava la “stranezza” dei suoi film, e la scarsa attenzione alle consuete gratificazioni che il pubblico si aspetta dal cinema. Diceva, semplicemente, che con lei lo spettatore dovrebbe rinunciare alle aspettative ”hollywoodiane” che di solito lo inducono ad andare a vedere un film e a disporsi invece ad un altro tipo di percezione, ad entrare in una temporalità diversa, e financo a far funzionare diversamente i sensi.
In effetti, “rifare” un film (“India Song”) usandone il sonoro per commentare sequenze non usate nella versione definitiva dello stesso film (“Et son nom de Venise dans Calcutta desert”), o presentare un film senza immagini, schermo perennemente nero, accompagnato dalle parole di un monologo (“L’homme atlantique”), forse i casi più estremi di sperimentalismo in Duras, equivale a chiedere molto allo spettatore desideroso di innestare i soliti processi empatetici nei confronti della cosa filmica. Tuttavia quelli della grande Marguerite non sono opere risolte completamente sul piano auto-analitico, puramente metalinguistiche, diremmo piuttosto che sono la ricerca di nuovi modi di esprimere pathos. Lo si vede già dai titoli, altamente evocativi, l’uomo atlantico, il nome di lei veneziano (Guardi…) in Calcutta deserta, ecco già l’inizio di un “plot”, tutta una carica emotiva potenziale.
La regista e scrittrice francese sarebbe stata d’accordo con l’artista inglese Runa Islam, quando quest’ultima dice che basta far funzionare la macchina da presa e la magia del mezzo farà da sola già nascere qualcosa. A loro volta, Runa Islam, e molti degli artisti che oggi guardano al cinema come fonte di ispirazione, potrebbero sottoscrivere le dichiarazioni di Duras, con una differenza.
Il cinema sperimentale (ammesso che questo temine abbia ancora un senso) prevede una fruizione ancora tradizionale da parte dell’osservatore, la sala cinematografica, i posti a sedere, il buio necessario alla proiezione. Sembra che nel buio della sala, lo spettatore perda il senso del proprio corpo e possa così innestare i processi mentali di identificazione che lo avvincono alla consequenzialità dell’opera filmica. Togliere questa consequenzialità e inibire questi processi significa puntare su una compartecipazione quasi esclusivamente mentale, che mantiene il corpo allertato, comunque presente a se’. La video-arte sembra compiere un passo ulteriore, consentendo al corpo di mantenersi autocosciente senza inibire i processi empatetici, di identificazione o repulsione, o magari di abbandono sognante… Nelle video-installazioni non si sta seduti su una poltrona, lo spettatore può gestire il corpo come vuole, movendosi, stando seduto per terra o in piedi, senza perdere del tutto le coordinate spazio temporali, nonostante sia sospeso in una dimensione quasi onirica, nella penombra, circondato da immagini luminose. Runa Islam ha esplicitamente affermato di trovare una similitudine fra il linguaggio filmico e le sintesi del sogno, del sogno ad occhi aperti o anche dell’ipnosi, postulando una equivalenza che il suo lavoro intende considerare come uno degli oggetti di indagine.
Per dirla con le sue stesse parole, l’artista is” trying go make a type of art work that can be very formal and yet be emotional and aesthetic at the same time”. Non stupisce che per fare questo ricorra al cinema, considerandolo un grande repertorio linguistico da analizzare con procedure che definiremo ancora “decostruttive” con un termine in voga da ormai un ventennio, e come grande fonte emozionale da far funzionare per saggiarne le potenzialità comunicative.
All’origine di questa scelta c’e’ forse la consapevolezza che se il linguaggio si frappone fra noi e la percezione del mondo, se lo spettacolo media l’esperienza di un reale sempre sfuggente nella sua contraddittorietà, il linguaggio dello spettacolo può anche fornire modelli capaci di liberare flussi affettivi, intensità, con i quali possiamo orientarci nel mondo.
E’ per questo stesso motivo, credo, che Douglas Gordon scorpora la musica da “Vertigo” di Hitchcock e presenta la parte visiva e quella sonora del film come due elementi separati, in una enorme sala buia. Per questo Pierre Huyghe costruisce uno spazio apposito dove mostrare i documenti del fatto di cronaca, e il suo protagonista reale, insieme a documenti sulla fiction che hanno generato, il film “Dogday afternoon” di Sydney Lumet. La compresenza fra analitico e emozionale nell’opera d’arte tematizza, per così dire, la convivenza fra virtuale e reale che contrassegna la nostra esperienza del mondo; il lavoro artistico diventa in questi casi altamente emblematico di uno stato di fatto, dell’alienazione indotta dal sistema dele informazioni (o da ogni censura di ordine sociale, come direbbe Lacan).
Runa Islam lavora in questa direzione, prestando attenzione al potenziale di fascinazione insito nell’universo del cinema, a partire dalla fisicità del mezzo tecnico ( alla cui analisi prettamente linguistica ha dedicato gran parte del suo lavoro degli esordi) e considerando ogni livello di significazione in esso insito. Al centro delle sue operazioni però c’e’ l’istanza del corpo, il corpo dello spettatore inteso come agente operante e cooperante, polo dialettico, comunque e in particolare come ricettore e produttore di intensità emotiva.
(…)
Si tratta di una installazione video ispirata a Ingmar Bergman e alle ambientazioni di due suoi film, Attraverso uno specchio scuro del 1961 e Persona del 1966. Ambedue i film sono stati girati sull’isola di Fårö, a nord di Gotland, nel mezzo del Mar Baltico.
Nella sala project-room al primo piano del Mart sarà proiettato How far to Fårö, un video montato avvicinando tre diversi punti di vista, materialmente proiettati su tre schermi distinti, che corrispondono anche a tre probabili spunti narrativi: un viaggio in battello per raggiungere l’isola, i diversi aspetti del suo paesaggio e una foresta.
Quest’ultima ambientazione costituisce in un certo senso l’elemento finale del trittico, in quanto vediamo sul terreno apparire il binario che guida la macchina da presa, e comprendiamo che l’installazione è interamente dedicata alle specificità del linguaggio cinematografico e alle atmosfere che sa creare.
Runa Islam, che già nei suoi lavori precedenti ha esplicitamente affermato di trovare una similitudine fra il linguaggio filmico e le sintesi del sogno ad occhi aperti, o anche dell’ipnosi, cerca di produrre un tipo di arte che accompagna un forte intento analitico all’espressione di stati emozionali, anche se nulla nelle sue opere viene mai specificato.
Runa Islam ha tenuto mostre presso importanti musei, come la Kunsthalle di Vienna e la Voralberger Kunstverein di Bregenz, e gallerie come White Cube di Londra.
Biografia
Nata nel 1970 a Dhaka, in Bangladesh, Runa Islam vive in Inghilterra dal 1990. In quell’anno ha frequentato la Manchester Metropolitan University, e ha in seguito continuato i suoi studi alla Middlesex University, alla Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam, e al Royal College of Art di Londra, dove attualmente risiede e lavora.
La sua prima personale è stata quella del 2000 allo Tschumi Pavilion di Groningen, in Olanda, mentre già dal ’94 aveva partecipato a numerose mostre collettive tra Londra, Berlino, Rotterdam e Amsterdam. Sempre del 2000 è la sua prima collettiva in Italia, “Guarene Arte 2000”, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Per l’arte.
Nel 2001 ha presentato “Director’s Cut (Fool for Love”, al White Cube di Londra, e “One day a day will come, when a day will not come anymore”, all’April in parking meters di Colonia. L’anno seguente la troviamo al MIT List Visual Arts Centre di Cambridge, in Massachusetts, con il video “Rapid Eye Movement”, e di nuovo con Directors’ Cut e con una retrospettiva a Bregenz e alla Kunsthalle di Vienna, in Austria. Nel 2004 ha presentato “Runa Islam: Scale (1/16 inch = 1 foot)”, allo Shugo Arts di Tokyo.
Dell’anno in corso sono la partecipazione alla 51esima Biennale di Venezia e alla seconda Biennale di Praga, “Visages & Voyages”, al Dunkers Kulturhus di Helsingborg, “Out of the Picture” al Camden Arts Centre di Londra.
Runa Islam ha all’attivo numerosi premi, tra i quali quello della Regione Piemonte nel 2000, e il London Arts, ‘Visual Arts’ Award del 2001.
Sue opere sono presenti allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al CGAC di Santiago de Compostela, al Museu Serralves di Porto, e al Museum of the 21st Century di Kanazawa, in Giappone.
Runa Islam.
di Giorgio Verzotti
In un’intervista televisiva, Marguerite Duras rispondeva a chi le obiettava la “stranezza” dei suoi film, e la scarsa attenzione alle consuete gratificazioni che il pubblico si aspetta dal cinema. Diceva, semplicemente, che con lei lo spettatore dovrebbe rinunciare alle aspettative ”hollywoodiane” che di solito lo inducono ad andare a vedere un film e a disporsi invece ad un altro tipo di percezione, ad entrare in una temporalità diversa, e financo a far funzionare diversamente i sensi.
In effetti, “rifare” un film (“India Song”) usandone il sonoro per commentare sequenze non usate nella versione definitiva dello stesso film (“Et son nom de Venise dans Calcutta desert”), o presentare un film senza immagini, schermo perennemente nero, accompagnato dalle parole di un monologo (“L’homme atlantique”), forse i casi più estremi di sperimentalismo in Duras, equivale a chiedere molto allo spettatore desideroso di innestare i soliti processi empatetici nei confronti della cosa filmica. Tuttavia quelli della grande Marguerite non sono opere risolte completamente sul piano auto-analitico, puramente metalinguistiche, diremmo piuttosto che sono la ricerca di nuovi modi di esprimere pathos. Lo si vede già dai titoli, altamente evocativi, l’uomo atlantico, il nome di lei veneziano (Guardi…) in Calcutta deserta, ecco già l’inizio di un “plot”, tutta una carica emotiva potenziale.
La regista e scrittrice francese sarebbe stata d’accordo con l’artista inglese Runa Islam, quando quest’ultima dice che basta far funzionare la macchina da presa e la magia del mezzo farà da sola già nascere qualcosa. A loro volta, Runa Islam, e molti degli artisti che oggi guardano al cinema come fonte di ispirazione, potrebbero sottoscrivere le dichiarazioni di Duras, con una differenza.
Il cinema sperimentale (ammesso che questo temine abbia ancora un senso) prevede una fruizione ancora tradizionale da parte dell’osservatore, la sala cinematografica, i posti a sedere, il buio necessario alla proiezione. Sembra che nel buio della sala, lo spettatore perda il senso del proprio corpo e possa così innestare i processi mentali di identificazione che lo avvincono alla consequenzialità dell’opera filmica. Togliere questa consequenzialità e inibire questi processi significa puntare su una compartecipazione quasi esclusivamente mentale, che mantiene il corpo allertato, comunque presente a se’. La video-arte sembra compiere un passo ulteriore, consentendo al corpo di mantenersi autocosciente senza inibire i processi empatetici, di identificazione o repulsione, o magari di abbandono sognante… Nelle video-installazioni non si sta seduti su una poltrona, lo spettatore può gestire il corpo come vuole, movendosi, stando seduto per terra o in piedi, senza perdere del tutto le coordinate spazio temporali, nonostante sia sospeso in una dimensione quasi onirica, nella penombra, circondato da immagini luminose. Runa Islam ha esplicitamente affermato di trovare una similitudine fra il linguaggio filmico e le sintesi del sogno, del sogno ad occhi aperti o anche dell’ipnosi, postulando una equivalenza che il suo lavoro intende considerare come uno degli oggetti di indagine.
Per dirla con le sue stesse parole, l’artista is” trying go make a type of art work that can be very formal and yet be emotional and aesthetic at the same time”. Non stupisce che per fare questo ricorra al cinema, considerandolo un grande repertorio linguistico da analizzare con procedure che definiremo ancora “decostruttive” con un termine in voga da ormai un ventennio, e come grande fonte emozionale da far funzionare per saggiarne le potenzialità comunicative.
All’origine di questa scelta c’e’ forse la consapevolezza che se il linguaggio si frappone fra noi e la percezione del mondo, se lo spettacolo media l’esperienza di un reale sempre sfuggente nella sua contraddittorietà, il linguaggio dello spettacolo può anche fornire modelli capaci di liberare flussi affettivi, intensità, con i quali possiamo orientarci nel mondo.
E’ per questo stesso motivo, credo, che Douglas Gordon scorpora la musica da “Vertigo” di Hitchcock e presenta la parte visiva e quella sonora del film come due elementi separati, in una enorme sala buia. Per questo Pierre Huyghe costruisce uno spazio apposito dove mostrare i documenti del fatto di cronaca, e il suo protagonista reale, insieme a documenti sulla fiction che hanno generato, il film “Dogday afternoon” di Sydney Lumet. La compresenza fra analitico e emozionale nell’opera d’arte tematizza, per così dire, la convivenza fra virtuale e reale che contrassegna la nostra esperienza del mondo; il lavoro artistico diventa in questi casi altamente emblematico di uno stato di fatto, dell’alienazione indotta dal sistema dele informazioni (o da ogni censura di ordine sociale, come direbbe Lacan).
Runa Islam lavora in questa direzione, prestando attenzione al potenziale di fascinazione insito nell’universo del cinema, a partire dalla fisicità del mezzo tecnico ( alla cui analisi prettamente linguistica ha dedicato gran parte del suo lavoro degli esordi) e considerando ogni livello di significazione in esso insito. Al centro delle sue operazioni però c’e’ l’istanza del corpo, il corpo dello spettatore inteso come agente operante e cooperante, polo dialettico, comunque e in particolare come ricettore e produttore di intensità emotiva.
(…)
16
dicembre 2005
Runa Islam – How far to Fårö
Dal 16 dicembre 2005 al 29 gennaio 2006
giovane arte
Location
MART – Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Biglietti
Intero: 8 € Ridotto: 5 €
Ridotto scolaresche: 1€ a studente
Orario di apertura
martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica 10:00 - 18:00
venerdì 10:00 – 21:00
Chiuso il lunedì
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