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Sebastian Rimondi – Upper vista: tra identità umana e protesi digitale.
…La razionalità cede il passo alla poesia, passato e futuro annullano i loro confini, l’animo dell’uomo recupera la certezza della sua essenza di Viator.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria d’Arte Contemporanea Wikiarte
in Via San Felice 18 - Bologna
È lieta di invitarvi
Sabato 26 gennaio 2019
ore 17.00
All’inaugurazione di UPPER VISTA
Mostra Personale di SEBASTIAN RIMONDI
L’interazione dell’occhio è egemone. Dal generale al particolare e contrariamente, la regola del movimento indotto è violata e nel finestrino del treno le immagini cambiano non a causa del nostro movimento fisico nel mondo bensì del mondo che gravita davanti alla nostra vista. Un’esplorazione soggettiva dunque - all’interno dell’immagine - liberata dai limiti quantitativi e qualitativi della fisiologia e che cambia non solo la prospettiva geografica ma soprattutto quella crono topica. La geometria del tempo muta la sua linearità diacronica nell’andamento parallelo sincronico, dove passato, presente e futuro accadono ora e davanti agli occhi. L’agentività dello spazio - obbedendo alla visione binoculare di chi guarda – si esprime in una narrazione stereoscopica tertradimensionale. E’ la fotografia digitale nella sua connotazione più creativa – quivi saturata nell’operato di Sebastian Rimondi - a generare tutto ciò, ovvero il desiderio, l’immaginario e tutte le possibilità di un viaggio libero da punti di vista, sopraelevato. L’infinitamente piccolo si solleva a corrispondere all’infinitamente grande, l’invisibile si solleva ad acquisire tratti percepibili, l’istantaneo si solleva all’eternità. Se l’inconscio dell’artificiale meccanismo ottico corregge l’imprecisione dell’occhio- che inconsapevolmente omette i piccoli accidenti del quotidiano – registrando fedelmente ogni impronta della nostra presenza fisica, quello della tecnologia digitale volge verso il vero funzionamento della percezione nella documentazione – sempre fedele – delle immagini mentali. Nella materializzazione delle potenzialità impensabili dello sguardo, entra in gioco l’autonomia naturale del subliminale elettronico al cui sguardo – anche se sollecitato e compiuto dal nostro intento – non possiamo fare diretto riferimento. Ciò perchè l’immagine creata dagli automatismi di un drone permette – come confermano le creazioni rimondiane - un distacco oggettivo dallo sguardo soggettivo indispensabile per visualizzare le strutture rappresentative iconiche della nostra mente - determinanti il rapporto con il fenomenico – frammentando la linea narrativa mnemonica dei sensi chiamata percezione. Il frammento visivo – essenzialmente la fotografia - emerge, in effetti, quale denotatum per il mosaico ipertestuale in cui si ricompone il pensiero del uomo tecnologico di oggi. Le immagini fotografiche industriali – dette tali per la loro origine insita - non appartengono più all’essere. La polarità dell’inconscio ottico che - all’inizio del secolo scorso - Walter Benjamin volge sull’umano muta – all’inizio del nostro secolo – in un’antinomia sullo strumento. Ci si trova davanti a un nuovo meccanismo percettivo, a una “UpperVista” che porta alla visione umana uno storytelling iconico in cui navigare e ricercare il proprio punctum rerum, registrato inconsciamente dalla macchina. Un’essenziale articolazione post-moderna dell’identità umana sta alla base dell’illimitata operatività concessa alla “protesi” digitale. Il volto di ognuno di noi è moltiplicato innumerevoli volte dal mezzo digitale – energicamente collettivo, onnipresente e nato per produrre, manipolare e consumare foto hic et nunc – che paradossalmente non porta a una spersonalizzazione, bensì a una pluri- personalizzazione che, mettendo in crisi il corpo e il sistema sensoriale umano – limitati spazio-temporalmente - elige un nuovo meccanismo percettivo dotato di conoscenza innumerevole e inconscio numerico che trova la sua immagine mentale nella fotografia digitale.
Denitza Nedkova
Già dai tempi del Geografo di Vermeer la figura dell’uomo che riflette sugli spazi è assimilabile non solo a quella del filosofo, ma anche a quella dell’artista, studioso della natura del mondo e delle sue infinite implicazioni e sfaccettature. Le antiche Mappae Mundi, se paragonate con le ineccepibili raffigurazioni odierne, appaiono echi lontani di una conoscenza ormai superata. Pure, le antiche carte conservano qualcosa di molto utile per l’uomo di oggi e per la memoria della sua individualità. Nel dialogo Caronte, Luciano di Samosata descrive il demone mentre chiede a Mercurio di costruire una torre fatta di montagne accatastate, in modo da poter vedere la terra dall’alto. Una volta salito, l’essere afferma di vedere “una vasta terra e una specie di grande lago che la circonda, e montagne e fiumi (…) e uomini molto piccoli”. L’emozione del demone si fonde con la nostra visione Uppervista della realtà, nel percepirci ancora oggi veramente piccoli, nella sperimentazione di una precarietà che assume contorni poetici in grado di avvicinare più al passato che al presente. Nelle opere di Sebastian Rimondi, l’aspetto del pensiero assume contorni rilevanti: l’artista sembra voler tracciare i confini di un’utopia che prima di essere città ideale assurge a Non luogo, spazio relazionale possibile di incontro e accrescimento. Il drone, moderna metafora dell’antico compasso creatore, identifica e definisce, sotto il volere esperto di chi lo manovra, una realtà alternativa, foriera di opportunità. C’è, in Sebastian Rimondi, l’animo inquieto del viaggiatore, teso alla scoperta e al dialogo; c’è la potenza immaginativa che un tempo scosse Leonardo permettendogli di disegnare la vite aerea ; c’è la volontà di Icaro di avvicinarsi al sole, tendendo a un cielo diverso. In quest’ottica, l’utilizzo delle nuove frontiere di fotografia digitale si mostra non solo come una novità tecnologica, ma come uno strumento per esprimere una ideale condizione dell’animo, che è tensione inevitabile e sospesa, destinata a vagare tra il mondo reale e la dimensione ignota. Non una hybris indotta dall’introduzione di apparati artificiali, ma una graduale fusione tra biologia e tecnologia, tesa alla continua indagine sulla natura dell’uomo e la persistenza della sua reale identità. Come nel paradosso della Nave di Teseo, l’artista sembra voler sondare quanto il passare del tempo e l’avanzare della tecnologia possano modificare la nostra percezione del mondo, in un originale procedimento che sovrappone l’attività artistica ad antichi quesiti metafisici. La diagonale, protagonista portante dell’approccio visivo, invita a un’immersione nel vuoto, nello sconosciuto: uno slancio obliquo oltre le colonne d’Ercole, come quello del Tuffatore di Paestum, pronto ad andare incontro all’ignoto con eleganza e leggerezza. Non importa cosa o quale sia l’aldilà verso cui sporgersi: Rimondi cambia prospettiva e invita l’osservatore a fare lo stesso; ribalta il nostro punto di vista sul mondo, confonde le certezze, regala narrazione. La razionalità cede il passo alla poesia, passato e futuro annullano i loro confini, l’animo dell’uomo recupera la certezza della sua essenza di Viator.
Francesca Bogliolo
in Via San Felice 18 - Bologna
È lieta di invitarvi
Sabato 26 gennaio 2019
ore 17.00
All’inaugurazione di UPPER VISTA
Mostra Personale di SEBASTIAN RIMONDI
L’interazione dell’occhio è egemone. Dal generale al particolare e contrariamente, la regola del movimento indotto è violata e nel finestrino del treno le immagini cambiano non a causa del nostro movimento fisico nel mondo bensì del mondo che gravita davanti alla nostra vista. Un’esplorazione soggettiva dunque - all’interno dell’immagine - liberata dai limiti quantitativi e qualitativi della fisiologia e che cambia non solo la prospettiva geografica ma soprattutto quella crono topica. La geometria del tempo muta la sua linearità diacronica nell’andamento parallelo sincronico, dove passato, presente e futuro accadono ora e davanti agli occhi. L’agentività dello spazio - obbedendo alla visione binoculare di chi guarda – si esprime in una narrazione stereoscopica tertradimensionale. E’ la fotografia digitale nella sua connotazione più creativa – quivi saturata nell’operato di Sebastian Rimondi - a generare tutto ciò, ovvero il desiderio, l’immaginario e tutte le possibilità di un viaggio libero da punti di vista, sopraelevato. L’infinitamente piccolo si solleva a corrispondere all’infinitamente grande, l’invisibile si solleva ad acquisire tratti percepibili, l’istantaneo si solleva all’eternità. Se l’inconscio dell’artificiale meccanismo ottico corregge l’imprecisione dell’occhio- che inconsapevolmente omette i piccoli accidenti del quotidiano – registrando fedelmente ogni impronta della nostra presenza fisica, quello della tecnologia digitale volge verso il vero funzionamento della percezione nella documentazione – sempre fedele – delle immagini mentali. Nella materializzazione delle potenzialità impensabili dello sguardo, entra in gioco l’autonomia naturale del subliminale elettronico al cui sguardo – anche se sollecitato e compiuto dal nostro intento – non possiamo fare diretto riferimento. Ciò perchè l’immagine creata dagli automatismi di un drone permette – come confermano le creazioni rimondiane - un distacco oggettivo dallo sguardo soggettivo indispensabile per visualizzare le strutture rappresentative iconiche della nostra mente - determinanti il rapporto con il fenomenico – frammentando la linea narrativa mnemonica dei sensi chiamata percezione. Il frammento visivo – essenzialmente la fotografia - emerge, in effetti, quale denotatum per il mosaico ipertestuale in cui si ricompone il pensiero del uomo tecnologico di oggi. Le immagini fotografiche industriali – dette tali per la loro origine insita - non appartengono più all’essere. La polarità dell’inconscio ottico che - all’inizio del secolo scorso - Walter Benjamin volge sull’umano muta – all’inizio del nostro secolo – in un’antinomia sullo strumento. Ci si trova davanti a un nuovo meccanismo percettivo, a una “UpperVista” che porta alla visione umana uno storytelling iconico in cui navigare e ricercare il proprio punctum rerum, registrato inconsciamente dalla macchina. Un’essenziale articolazione post-moderna dell’identità umana sta alla base dell’illimitata operatività concessa alla “protesi” digitale. Il volto di ognuno di noi è moltiplicato innumerevoli volte dal mezzo digitale – energicamente collettivo, onnipresente e nato per produrre, manipolare e consumare foto hic et nunc – che paradossalmente non porta a una spersonalizzazione, bensì a una pluri- personalizzazione che, mettendo in crisi il corpo e il sistema sensoriale umano – limitati spazio-temporalmente - elige un nuovo meccanismo percettivo dotato di conoscenza innumerevole e inconscio numerico che trova la sua immagine mentale nella fotografia digitale.
Denitza Nedkova
Già dai tempi del Geografo di Vermeer la figura dell’uomo che riflette sugli spazi è assimilabile non solo a quella del filosofo, ma anche a quella dell’artista, studioso della natura del mondo e delle sue infinite implicazioni e sfaccettature. Le antiche Mappae Mundi, se paragonate con le ineccepibili raffigurazioni odierne, appaiono echi lontani di una conoscenza ormai superata. Pure, le antiche carte conservano qualcosa di molto utile per l’uomo di oggi e per la memoria della sua individualità. Nel dialogo Caronte, Luciano di Samosata descrive il demone mentre chiede a Mercurio di costruire una torre fatta di montagne accatastate, in modo da poter vedere la terra dall’alto. Una volta salito, l’essere afferma di vedere “una vasta terra e una specie di grande lago che la circonda, e montagne e fiumi (…) e uomini molto piccoli”. L’emozione del demone si fonde con la nostra visione Uppervista della realtà, nel percepirci ancora oggi veramente piccoli, nella sperimentazione di una precarietà che assume contorni poetici in grado di avvicinare più al passato che al presente. Nelle opere di Sebastian Rimondi, l’aspetto del pensiero assume contorni rilevanti: l’artista sembra voler tracciare i confini di un’utopia che prima di essere città ideale assurge a Non luogo, spazio relazionale possibile di incontro e accrescimento. Il drone, moderna metafora dell’antico compasso creatore, identifica e definisce, sotto il volere esperto di chi lo manovra, una realtà alternativa, foriera di opportunità. C’è, in Sebastian Rimondi, l’animo inquieto del viaggiatore, teso alla scoperta e al dialogo; c’è la potenza immaginativa che un tempo scosse Leonardo permettendogli di disegnare la vite aerea ; c’è la volontà di Icaro di avvicinarsi al sole, tendendo a un cielo diverso. In quest’ottica, l’utilizzo delle nuove frontiere di fotografia digitale si mostra non solo come una novità tecnologica, ma come uno strumento per esprimere una ideale condizione dell’animo, che è tensione inevitabile e sospesa, destinata a vagare tra il mondo reale e la dimensione ignota. Non una hybris indotta dall’introduzione di apparati artificiali, ma una graduale fusione tra biologia e tecnologia, tesa alla continua indagine sulla natura dell’uomo e la persistenza della sua reale identità. Come nel paradosso della Nave di Teseo, l’artista sembra voler sondare quanto il passare del tempo e l’avanzare della tecnologia possano modificare la nostra percezione del mondo, in un originale procedimento che sovrappone l’attività artistica ad antichi quesiti metafisici. La diagonale, protagonista portante dell’approccio visivo, invita a un’immersione nel vuoto, nello sconosciuto: uno slancio obliquo oltre le colonne d’Ercole, come quello del Tuffatore di Paestum, pronto ad andare incontro all’ignoto con eleganza e leggerezza. Non importa cosa o quale sia l’aldilà verso cui sporgersi: Rimondi cambia prospettiva e invita l’osservatore a fare lo stesso; ribalta il nostro punto di vista sul mondo, confonde le certezze, regala narrazione. La razionalità cede il passo alla poesia, passato e futuro annullano i loro confini, l’animo dell’uomo recupera la certezza della sua essenza di Viator.
Francesca Bogliolo
26
gennaio 2019
Sebastian Rimondi – Upper vista: tra identità umana e protesi digitale.
Dal 26 gennaio al 07 febbraio 2019
fotografia
Location
GALLERIA WIKIARTE
Bologna, Via San Felice, 18, (Bologna)
Bologna, Via San Felice, 18, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a sabato dalle 11.00 alle 19.00 con orario continuato
Apertura Straordinaria 02 febbraio dalle 11.00 alle 00.00
Vernissage
26 Gennaio 2019, ore 17.00
Autore
Curatore