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Sergio Russo – Rilievi biologici
Le opere di Russo vivono una relazione privilegiata con il colore, una simbiosi che insegue la vertigine del paesaggio circostante. Ogni tinta si adagia sulle superfici dure, sui materiali grezzi, sugli oggetti tenaci, trasformando la durezza in panneggio plastico, come un’apparizione di sottili stoffe setose. Verdi, arancioni, blu, rosa, gialli… gamme che hanno tonalità ben studiate, mai piatte o nette, che vibrano ai cambi di luce, che richiamano singoli momenti naturali
Comunicato stampa
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Palazzo Collicola Arti Visive presenta Sergio Russo. Un esordio in età matura che incarna l’anima più
empatica del nostro museo, ovvero, indagare le molteplici strategie della creazione artistica, le anomalie
significanti, le belle storie che prescindono da anagrafe e dettagli biografici. Qui a Spoleto non ci limitiamo al
valore istituzionale del racconto titolato ma includiamo lo scandaglio e le emersioni laterali, rischiando sul
campo della proposta, con la coscienza del dialogo aperto, senza certezze ma con il lusso dello
spiazzamento ragionato.
Sergio Russo è un signore di antiche eleganze e modi calibrati. Durante le conversazioni lui osserva prima i
dettagli e poi la versione generale, dimostrando una sensibilità che viene dalla sua professione di
parrucchiere, incarnata con talento raro e ispirazione speciale. Una prima vita che non è un lontano ricordo
ma, possiamo dirlo, una parte ormai minima dopo cinquant’anni da stimato maestro. Russo parla a voce
bassa e passeggia con fluida morbidezza, attivando i sensi con sincronica partecipazione. Gli occhi saettano
ad animata velocità, quasi a voler comprendere la bellezza nei margini del caos, quasi a non disturbare il
naturale rumore della vita. Oggi rivela la sua vita parallela e lascia esordire le opere, nate durante anni
recenti e meno frenetici, figlie di un’età in cui il professionista ha già dimostrato: motivo in più per dire che le
dimostrazioni diventano “mostre”. Nulla era mai uscito dal portone della sua casa in campagna, ogni singolo
lavoro aveva trovato sistemazione definitiva lungo i perimetri della propria cerchia domestica. Finché mesi
fa, con la tenacia delle sfide rigeneranti, abbiamo immaginato questa seconda vita, tracciando le mappe del
nostro destino, disegnando coordinate per qualcuno anomale ma non insospettabili.
Un viaggio coerente nel circuito biologico del riuso attivo, nei materiali saggi di una campagna generosa,
pronta ad offrire lo spunto testuale, l’escamotage figurativo, la chiave concettuale. Quando parliamo di
campagna s’intende, in realtà, il serbatoio continuo di scarti agricoli, meccanici, idraulici ed elettrici che una
tenuta nel verde produce a ciclo continuo. Immaginate una fucina in cui gli scarti vengono divisi per tipologia
di materiale, un posto di attrezzi e macchinari da cui pescare con vorace energia. Adesso pensate a Sergio
Russo che gestisce quei frammenti con le sue mani flessuose, abituate per decenni alla leggerezza soffice,
capaci di trattare il ferro e il legno con morbida passione. La fucina si trova nella campagna laziale, nella
zona di Sant’Oreste, dove il nostro artista ha costruito tanti anni fa il suo rifugio straordinario. Qui, seguendo
le vicende cromatiche del paesaggio, Russo sta sviluppando le sue forme sinuose, i suoi colori mai casuali, i
prelievi di frammenti che dal paesaggio giungono. Qui sta nascendo un giardino tra land art e botanica
visionaria, un hortus sorprendente che rimanda alle opere di formato murale, ai singoli pezzi di una visione
poetica tra natura e artificio.
Le opere di Russo vivono una relazione privilegiata con il colore, una simbiosi che insegue la vertigine del
paesaggio circostante. Ogni tinta si adagia sulle superfici dure, sui materiali grezzi, sugli oggetti tenaci,
trasformando la durezza in panneggio plastico, come un’apparizione di sottili stoffe setose. Verdi, arancioni,
blu, rosa, gialli… gamme che hanno tonalità ben studiate, mai piatte o nette, che vibrano ai cambi di luce,
che richiamano singoli momenti naturali.
I materiali di scarto sembrano attraversati da un erotismo fluido, da una coscienza del bello che l’artista
gestisce con parsimonia mercuriale. Le opere sono sensuali, fluttuano sul muro come grandi foglie sospinte
dal vento estivo, quasi a perdere le proprie origini “sporche”. Forme che abdicano alle funzioni d’uso,
favorendo le metodiche contemplative e liberatorie. Le rondelle da ferramenta sono il miglior esempio per
capire l’approccio di Russo: un oggetto seriale, destinato a utilizzi poco poetici, che si trasforma in punto di
trama, cerchio dopo cerchio fino a creare una geometria derivata, uno specchio frammentato del paesaggio
che si sublima nel moto plastico delle tavole.
La natura frammentaria si raccorda sulle superfici dure dei quadri, segue una tensione interna che calamita
le forme verso geometrie cosmiche. Che si tratti di lente incisioni nel legno, pigmenti di pollini, frammenti di
piante o elementi ferrosi poco cambia nel vitalismo plastico dell’opera: perché ogni pezzo insegue archetipi
geometrici che riportano al macro del cosmo, alle galassie e stelle, verso uno spazio che nel mistero
conserva la sua rigenerazione vitale e il suo principio metafisico.
Anche le sculture partecipano al flusso energetico tra cosmo e corpo, diventando pianeti autonomi con una
loro carica sensuale e aggregativa. Il pallone da rugby arpionato dalla pietra racchiude tutto ciò al meglio: un
ovale che è forma simbolica (seme, uovo, inizio) e metafora femminile (vagina, ventre, occhio), bloccato
senza sforzo da una morsa dura ma flessuosa, un po’ come l’amore che stringe la donna in un abbraccio
protettivo e rigenerante. Le altre sculture ragionano con la medesima energia dei contrasti, unendo materiali
dissimili che percorrono le dinamiche della sensualità e dell’artificio naturale. Ad esempio, nel caso del cubo
fatto di soli tiranti, la ripetizione definisce l’armonia, agendo con simile spirito metaforico e impatto concreto.
O ancora l’uso dei chiodi, interi o spezzati, per modulare superfici tra il paesaggio collinare e il dettaglio
femminile, ribadendo una sincronia fedele tra corpo e paesaggio, realtà e visione.
empatica del nostro museo, ovvero, indagare le molteplici strategie della creazione artistica, le anomalie
significanti, le belle storie che prescindono da anagrafe e dettagli biografici. Qui a Spoleto non ci limitiamo al
valore istituzionale del racconto titolato ma includiamo lo scandaglio e le emersioni laterali, rischiando sul
campo della proposta, con la coscienza del dialogo aperto, senza certezze ma con il lusso dello
spiazzamento ragionato.
Sergio Russo è un signore di antiche eleganze e modi calibrati. Durante le conversazioni lui osserva prima i
dettagli e poi la versione generale, dimostrando una sensibilità che viene dalla sua professione di
parrucchiere, incarnata con talento raro e ispirazione speciale. Una prima vita che non è un lontano ricordo
ma, possiamo dirlo, una parte ormai minima dopo cinquant’anni da stimato maestro. Russo parla a voce
bassa e passeggia con fluida morbidezza, attivando i sensi con sincronica partecipazione. Gli occhi saettano
ad animata velocità, quasi a voler comprendere la bellezza nei margini del caos, quasi a non disturbare il
naturale rumore della vita. Oggi rivela la sua vita parallela e lascia esordire le opere, nate durante anni
recenti e meno frenetici, figlie di un’età in cui il professionista ha già dimostrato: motivo in più per dire che le
dimostrazioni diventano “mostre”. Nulla era mai uscito dal portone della sua casa in campagna, ogni singolo
lavoro aveva trovato sistemazione definitiva lungo i perimetri della propria cerchia domestica. Finché mesi
fa, con la tenacia delle sfide rigeneranti, abbiamo immaginato questa seconda vita, tracciando le mappe del
nostro destino, disegnando coordinate per qualcuno anomale ma non insospettabili.
Un viaggio coerente nel circuito biologico del riuso attivo, nei materiali saggi di una campagna generosa,
pronta ad offrire lo spunto testuale, l’escamotage figurativo, la chiave concettuale. Quando parliamo di
campagna s’intende, in realtà, il serbatoio continuo di scarti agricoli, meccanici, idraulici ed elettrici che una
tenuta nel verde produce a ciclo continuo. Immaginate una fucina in cui gli scarti vengono divisi per tipologia
di materiale, un posto di attrezzi e macchinari da cui pescare con vorace energia. Adesso pensate a Sergio
Russo che gestisce quei frammenti con le sue mani flessuose, abituate per decenni alla leggerezza soffice,
capaci di trattare il ferro e il legno con morbida passione. La fucina si trova nella campagna laziale, nella
zona di Sant’Oreste, dove il nostro artista ha costruito tanti anni fa il suo rifugio straordinario. Qui, seguendo
le vicende cromatiche del paesaggio, Russo sta sviluppando le sue forme sinuose, i suoi colori mai casuali, i
prelievi di frammenti che dal paesaggio giungono. Qui sta nascendo un giardino tra land art e botanica
visionaria, un hortus sorprendente che rimanda alle opere di formato murale, ai singoli pezzi di una visione
poetica tra natura e artificio.
Le opere di Russo vivono una relazione privilegiata con il colore, una simbiosi che insegue la vertigine del
paesaggio circostante. Ogni tinta si adagia sulle superfici dure, sui materiali grezzi, sugli oggetti tenaci,
trasformando la durezza in panneggio plastico, come un’apparizione di sottili stoffe setose. Verdi, arancioni,
blu, rosa, gialli… gamme che hanno tonalità ben studiate, mai piatte o nette, che vibrano ai cambi di luce,
che richiamano singoli momenti naturali.
I materiali di scarto sembrano attraversati da un erotismo fluido, da una coscienza del bello che l’artista
gestisce con parsimonia mercuriale. Le opere sono sensuali, fluttuano sul muro come grandi foglie sospinte
dal vento estivo, quasi a perdere le proprie origini “sporche”. Forme che abdicano alle funzioni d’uso,
favorendo le metodiche contemplative e liberatorie. Le rondelle da ferramenta sono il miglior esempio per
capire l’approccio di Russo: un oggetto seriale, destinato a utilizzi poco poetici, che si trasforma in punto di
trama, cerchio dopo cerchio fino a creare una geometria derivata, uno specchio frammentato del paesaggio
che si sublima nel moto plastico delle tavole.
La natura frammentaria si raccorda sulle superfici dure dei quadri, segue una tensione interna che calamita
le forme verso geometrie cosmiche. Che si tratti di lente incisioni nel legno, pigmenti di pollini, frammenti di
piante o elementi ferrosi poco cambia nel vitalismo plastico dell’opera: perché ogni pezzo insegue archetipi
geometrici che riportano al macro del cosmo, alle galassie e stelle, verso uno spazio che nel mistero
conserva la sua rigenerazione vitale e il suo principio metafisico.
Anche le sculture partecipano al flusso energetico tra cosmo e corpo, diventando pianeti autonomi con una
loro carica sensuale e aggregativa. Il pallone da rugby arpionato dalla pietra racchiude tutto ciò al meglio: un
ovale che è forma simbolica (seme, uovo, inizio) e metafora femminile (vagina, ventre, occhio), bloccato
senza sforzo da una morsa dura ma flessuosa, un po’ come l’amore che stringe la donna in un abbraccio
protettivo e rigenerante. Le altre sculture ragionano con la medesima energia dei contrasti, unendo materiali
dissimili che percorrono le dinamiche della sensualità e dell’artificio naturale. Ad esempio, nel caso del cubo
fatto di soli tiranti, la ripetizione definisce l’armonia, agendo con simile spirito metaforico e impatto concreto.
O ancora l’uso dei chiodi, interi o spezzati, per modulare superfici tra il paesaggio collinare e il dettaglio
femminile, ribadendo una sincronia fedele tra corpo e paesaggio, realtà e visione.
19
marzo 2016
Sergio Russo – Rilievi biologici
Dal 19 marzo al 22 maggio 2016
arte contemporanea
Location
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE – MUSEO CARANDENTE
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Vernissage
19 Marzo 2016, ore
Autore
Curatore