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Simonetta Moro
“Geografie emozionali” è il titolo di questa personale di Simonetta Moro, le cui opere esposte si estendono nell’arco di otto anni – dalla Roma dei monotipi del 2000 alla New York dei dipinti e disegni del 2006-2008.
Comunicato stampa
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Le due città sono più che semplici luoghi dove l’artista ha vissuto e prodotto questi lavori; esse diventano i confini metaforici di un viaggio esistenziale tutt’ora in corso. Roma coincide con l’origine di una nuova direzione nell’opera di Simonetta Moro, in cui le topografie delle città acquistano un carattere emozionale e soggettivo e diventano il tema centrale della sua ricerca.
Nel 2000, Moro trascorre un anno all’Accademia Americana a Roma come borsista Fulbright. È in quel periodo che comincia ad esplorare attraverso la pittura e il disegno la complessa stratificazione della città antica e moderna, concentrandosi in particolare sulle vedute aeree e i simboli della passata grandezza, come il Colosseo. L’Anfiteatro Flavio, con la sua circolarità vorticosa, è uno dei soggetti dei monotipi realizzati in diverse riprese al torchio calcografico. Sono impronte veloci ed intense, nate da un’unica lastra inchiostrata di volta in volta, su cui il disegno è tracciato per rimozione del colore, in negativo; i colori sono fatti a mano, e spesso utilizzano polveri di rame e argento.
Nel 2003, dopo un periodo di migrazione tra l’Italia e l’Inghilterra (dove consegue un dottorato all’Università del Central Lancashire a Preston), Moro si trasferisce a New York. L’installazione Liquid City (2006-2008) è composta da 56 opere di piccole dimensioni su tela; un disegno riportato direttamente sul muro retrostante mostra delle frecce che seguono un tracciato ricurvo, fortemente dinamico. Le frecce indicano il flusso immateriale delle idee e delle relazioni che hanno luogo nella città, e si riferiscono anche al concetto di migrazione; formalmente, derivano dalle linee batometriche proprie delle carte nautiche, che rendono visibili le correnti oceaniche e i valori relativi alla pressione dell’acqua. La città rappresentata è l’isola di Manhattan, ma il carattere fluido e frammentario dell’opera fa pensare piuttosto a Venezia – una corrispondenza che l’artista ha più volte sottolineato. Come Venezia, Manhattan è circondata dall’acqua, e la si potrebbe immaginare come gigantesca zattera pronta a prendere il largo verso l’Oceano. Un’altra analogia è quella con la Naked City dei Situazionisti, in cui Parigi viene rappresentata a frammenti disconnessi fra loro, con ampie zone di territorio sconosciuto in mezzo; le zone “vuote” di Liquid City sono il simbolo dell’ignoto, dell’interstiziale. Moro utilizza la tecnica del trasferimento fotografico, successivamente manipolato per mezzo della pittura ad olio e cera; le frecce sul muro sono il risultato di un altro procedimento indiretto, lo spolvero, che viene utilizzato nella pittura all’affresco per trasferire il disegno preparatorio sull’intonaco prima di dipingere. Qui il disegno preparatorio diventa il disegno vero e proprio: attraverso migliaia di fori praticati nella carta, il pigmento definisce le linee e le forme.
Le Mappe Immaginarie (2007-2008) dai colori accesi su Mylar, è una serie parallela a Liquid City. La translucentezza è un dato in comune (qui il Mylar, là la cera), come la pratica di tracciare informazioni di un luogo preciso (per la maggior parte New York), a partire da alcune vedute aeree utilizzate in entrambe le serie. Ma mentre Liquid City mostra un’immagine totale della città attraverso la ricomposizione dei frammenti, la serie delle Mappe Immaginarie oscura l’immagine della città per mezzo della sovrapposizione delle linee che ne definiscono il tracciato urbano. Perdere la chiarezza dell’immagine- città corrisponde alla sesazione di perdersi nella città. L’obiettivo è di scioglierne la griglia troppo prevedibile, ritornando, forse, a un passato pre-razionalista: le tinte forti e a tratti dissonanti ricordano disegni archeologici in cui il colore diventa codice per diverse zone di scavo, o di profondità del terreno.
I disegni sono realizzati a pastello, grafite, matite colorate, tempera e inchiostro. Uno di essi presenta uno strato ulteriore di Mylar, su cui dei cerchi sono stati rimossi per esporre lo strato sottostante. I cerchi disegnati sullo strato superiore rappresentano scene urbane viste dall’alto (il decimo piano di un edificio nella zona finaziaria di Manhattan, dove Moro prese studio per diversi mesi), con passanti che si muovono in varie direzioni. In questo modo, l’artista introduce la presenza umana nelle sue cartografie, rendendo i luoghi abitati. Le figure sono naturalmente distorte, dato il punto di vista; e i loro contorni si confondono nella massa di linee sovrapposte, diventando simili alle strade, ai semafori e alle strisce pedonali. Una rete di segni è incorniciata dall’apertura circolare, a significare visione, osservazione a distanza e dettaglio ravvicinato.
La più grande delle Mappe Immaginarie, intitolata Tutte le città dove ho vissuto e amato (Firenze inclusa, dove Moro ha vissuto fra il 1994 e il 1995), è anche la più recente. Rievocando l’ipotesi di Walter Benjamin di rappresentare tutta la sua vita in forma di labirinto, Moro ricrea la sua esperienza di vagabondaggio in un’unica città-labirinto, dove i confini e i limiti fra i luoghi sono eliminati. È dunque possibile in questa mappa prendere un battello a Venezia e finire di lì a poco a Brooklyn; o fare una passeggiata nei Giardini di Boboli e, qualche chilometro piu in là, ritrovarsi sulla Rambla a Barcellona. È questa la natura – sia mentale che fisica, sia spaziale che temporale – di queste geografie emozionali.
SIMONETTA MORO è nata a Portogruaro (Venezia), ed ha iniziato molto presto a disegnare e dipingere. Diplomatasi in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna sotto la guida del Prof. Daniele degli Angeli, ha ottenuto un Master in Fine Arts dalla Winchester School of Art, University of Southampton (UK), seguito da un dottorato di ricerca alla University of Central Lancashire, Preston (UK), diretta dalla Prof. Lubaina Himid. Nel 1999-2000 è stata borsista Fulbright all’Accademia Americana a Roma. La sua ricerca artistica fa riferimento alla storia della pittura, all’architettura, alla cartografia, alla psicogeografia, alla filosofia e alla letteratura; questi stimoli si riflettono anche nella pratica dell’insegnamento che Simonetta Moro esercita da diversi anni. Attualmente è Assistant Professor in Visual Arts allo Eugene Lang College / The New School University a New York. Esposizioni recenti includono: L(A)ttitudes, The Ann Loeb Bronfman Gallery, Washington, DC (in corso fino al 2 giugno 2008); Mapping The Self, al Museum of Contemporary Art di Chicago, 2007-2008; Unrecorded Unreckoned Between Thick Walls, The Gallery al Marmara Hotel, New York, 2005 (personale); Outside-In, Wooster Arts Space, New York, 2003; e Reconstructing Babel, Harris Museum, Preston, UK, 2002.
Nel 2000, Moro trascorre un anno all’Accademia Americana a Roma come borsista Fulbright. È in quel periodo che comincia ad esplorare attraverso la pittura e il disegno la complessa stratificazione della città antica e moderna, concentrandosi in particolare sulle vedute aeree e i simboli della passata grandezza, come il Colosseo. L’Anfiteatro Flavio, con la sua circolarità vorticosa, è uno dei soggetti dei monotipi realizzati in diverse riprese al torchio calcografico. Sono impronte veloci ed intense, nate da un’unica lastra inchiostrata di volta in volta, su cui il disegno è tracciato per rimozione del colore, in negativo; i colori sono fatti a mano, e spesso utilizzano polveri di rame e argento.
Nel 2003, dopo un periodo di migrazione tra l’Italia e l’Inghilterra (dove consegue un dottorato all’Università del Central Lancashire a Preston), Moro si trasferisce a New York. L’installazione Liquid City (2006-2008) è composta da 56 opere di piccole dimensioni su tela; un disegno riportato direttamente sul muro retrostante mostra delle frecce che seguono un tracciato ricurvo, fortemente dinamico. Le frecce indicano il flusso immateriale delle idee e delle relazioni che hanno luogo nella città, e si riferiscono anche al concetto di migrazione; formalmente, derivano dalle linee batometriche proprie delle carte nautiche, che rendono visibili le correnti oceaniche e i valori relativi alla pressione dell’acqua. La città rappresentata è l’isola di Manhattan, ma il carattere fluido e frammentario dell’opera fa pensare piuttosto a Venezia – una corrispondenza che l’artista ha più volte sottolineato. Come Venezia, Manhattan è circondata dall’acqua, e la si potrebbe immaginare come gigantesca zattera pronta a prendere il largo verso l’Oceano. Un’altra analogia è quella con la Naked City dei Situazionisti, in cui Parigi viene rappresentata a frammenti disconnessi fra loro, con ampie zone di territorio sconosciuto in mezzo; le zone “vuote” di Liquid City sono il simbolo dell’ignoto, dell’interstiziale. Moro utilizza la tecnica del trasferimento fotografico, successivamente manipolato per mezzo della pittura ad olio e cera; le frecce sul muro sono il risultato di un altro procedimento indiretto, lo spolvero, che viene utilizzato nella pittura all’affresco per trasferire il disegno preparatorio sull’intonaco prima di dipingere. Qui il disegno preparatorio diventa il disegno vero e proprio: attraverso migliaia di fori praticati nella carta, il pigmento definisce le linee e le forme.
Le Mappe Immaginarie (2007-2008) dai colori accesi su Mylar, è una serie parallela a Liquid City. La translucentezza è un dato in comune (qui il Mylar, là la cera), come la pratica di tracciare informazioni di un luogo preciso (per la maggior parte New York), a partire da alcune vedute aeree utilizzate in entrambe le serie. Ma mentre Liquid City mostra un’immagine totale della città attraverso la ricomposizione dei frammenti, la serie delle Mappe Immaginarie oscura l’immagine della città per mezzo della sovrapposizione delle linee che ne definiscono il tracciato urbano. Perdere la chiarezza dell’immagine- città corrisponde alla sesazione di perdersi nella città. L’obiettivo è di scioglierne la griglia troppo prevedibile, ritornando, forse, a un passato pre-razionalista: le tinte forti e a tratti dissonanti ricordano disegni archeologici in cui il colore diventa codice per diverse zone di scavo, o di profondità del terreno.
I disegni sono realizzati a pastello, grafite, matite colorate, tempera e inchiostro. Uno di essi presenta uno strato ulteriore di Mylar, su cui dei cerchi sono stati rimossi per esporre lo strato sottostante. I cerchi disegnati sullo strato superiore rappresentano scene urbane viste dall’alto (il decimo piano di un edificio nella zona finaziaria di Manhattan, dove Moro prese studio per diversi mesi), con passanti che si muovono in varie direzioni. In questo modo, l’artista introduce la presenza umana nelle sue cartografie, rendendo i luoghi abitati. Le figure sono naturalmente distorte, dato il punto di vista; e i loro contorni si confondono nella massa di linee sovrapposte, diventando simili alle strade, ai semafori e alle strisce pedonali. Una rete di segni è incorniciata dall’apertura circolare, a significare visione, osservazione a distanza e dettaglio ravvicinato.
La più grande delle Mappe Immaginarie, intitolata Tutte le città dove ho vissuto e amato (Firenze inclusa, dove Moro ha vissuto fra il 1994 e il 1995), è anche la più recente. Rievocando l’ipotesi di Walter Benjamin di rappresentare tutta la sua vita in forma di labirinto, Moro ricrea la sua esperienza di vagabondaggio in un’unica città-labirinto, dove i confini e i limiti fra i luoghi sono eliminati. È dunque possibile in questa mappa prendere un battello a Venezia e finire di lì a poco a Brooklyn; o fare una passeggiata nei Giardini di Boboli e, qualche chilometro piu in là, ritrovarsi sulla Rambla a Barcellona. È questa la natura – sia mentale che fisica, sia spaziale che temporale – di queste geografie emozionali.
SIMONETTA MORO è nata a Portogruaro (Venezia), ed ha iniziato molto presto a disegnare e dipingere. Diplomatasi in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna sotto la guida del Prof. Daniele degli Angeli, ha ottenuto un Master in Fine Arts dalla Winchester School of Art, University of Southampton (UK), seguito da un dottorato di ricerca alla University of Central Lancashire, Preston (UK), diretta dalla Prof. Lubaina Himid. Nel 1999-2000 è stata borsista Fulbright all’Accademia Americana a Roma. La sua ricerca artistica fa riferimento alla storia della pittura, all’architettura, alla cartografia, alla psicogeografia, alla filosofia e alla letteratura; questi stimoli si riflettono anche nella pratica dell’insegnamento che Simonetta Moro esercita da diversi anni. Attualmente è Assistant Professor in Visual Arts allo Eugene Lang College / The New School University a New York. Esposizioni recenti includono: L(A)ttitudes, The Ann Loeb Bronfman Gallery, Washington, DC (in corso fino al 2 giugno 2008); Mapping The Self, al Museum of Contemporary Art di Chicago, 2007-2008; Unrecorded Unreckoned Between Thick Walls, The Gallery al Marmara Hotel, New York, 2005 (personale); Outside-In, Wooster Arts Space, New York, 2003; e Reconstructing Babel, Harris Museum, Preston, UK, 2002.
16
maggio 2008
Simonetta Moro
Dal 16 al 30 maggio 2008
arte contemporanea
disegno e grafica
disegno e grafica
Location
SACI GALLERY – PALAZZO DEI CARTELLONI
Firenze, Via Sant'Antonino, 11, (Firenze)
Firenze, Via Sant'Antonino, 11, (Firenze)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19
Vernissage
16 Maggio 2008, ore 18.00
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