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Sivia Argiolas / Silvia Mei – Ssiillvviiaa
Mostra doppia personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Unheimlichkeit
“ Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”
(S. Freud, Il perturbante)
“La mostra di quest’anno (…) aveva un segno inquietante: tutti i quadri insistevano sul tema della catastrofe (…), come se questi pazienti, cosi a lungo segregati,
avessero avvertito nelle menti dei dottori e delle infermiere una specie di sconvolgimento sismico”.
( J. Ballard, La mostra delle atrocità)
Spaventoso.
Come il buio nell’armadio di sera. Come il sangue versato inaspettatamente. Come uno scambio di identità nelle fiabe. Come una casa stregata.
Come le ombre che si allungano silenziosamente. Come bisbigli nel silenzio.
Come le attese, i confini, gli smarrimenti, le perdite.
“Il tempo previsto per oggi è inquietudine crescente seguita da terrore conclamato”
(C. PalahnuK, Diary)
Decadente.
Come un corpo che porti la putrefazione viva addosso come un gioiello regale.
Come la metastasi che corrompe.
Come il parassita che divora l’ospite dall’interno.
“Ci stiamo tutti autodecomponendo”
(C. Palahnuk, Invisibles monsters)
Il caos della carne, l’estasi della carne, brandelli di natura e di corpi in corto circuito; poi l’assemblaggio, lo spostamento alchemico, chimico.
Dentro la folle arte nordica, la corruzione di Bacon, le visionarietà di tutti i tempi.
La crudeltà innocente dei bambini.
Certe irrisioni sarcastiche, certe stupefazioni artificiali.
Silvia e Silvia.
Con la pazienza bramosa e asfissiante dell’enigmista, la spietatezza dell’untore,
Silvia Argiolas lavora con il perverso e bukoskiano piacere della nausea per l’odore di carne cruda,
di marcio e liquidi organici. Fuori le interiora, corpi senza pelle. Contaminati e contaminanti.
Il lavoro artistico ha il segno inesorabile, clinico della vivisezione, la virulenza crudele degli artisti nordici di ogni tempo;
il colore liquido degli umori interni; ha pelle di crisalide, i blu dell’anima in esilio, l’oscurità dell’umor nero, il rosso vivo delle ferite aperte.
Sembra fiorire, questa appartenenza ai sottosuoli, alle viscere, alla terra bruna, alla dissoluzione.
Incongruente come un geranio su una tomba.
La sperimentazione del disegno è di chi fabbrica ibridi, di chi vede attraverso, di chi fa incubi svegli.
La natura matrigna, corrotta, si fa estensione di un marcescente stato interiore, presagio arboreo, siderale indifferenza, solitudine di pietra.
La figura, ha l’ inconsistenza esile ed infetta di un taglio di pugnale.
È ciò che resta dei corpi, delle preghiere, dei santi, dei paradisi e degli inferni, delle apparenze e delle favole.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d'oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.
Cenere, cenere
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate
Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale”
( Silvia Plath, Lady Lazarus)
Insano, deforme, a brandelli. Non salva le apparenze il lavoro artistico caustico di Silvia Mei.
L’organico sembra perdersi nell’inorganico, la realtà nell’incubo, i volti picassianamente scomposti ma imperturbabili, le identità ibridate, i generi aboliti. Senza separazioni. Il monstrum è il luogo delle possibilità, la prova d’esistenza, del sacro della contaminazione.
Il disegno ha la sintassi del possibile dei folli, dei bambini piccoli; l’immaginario onirico dei medioevi visionari di tutte le epoche, dei baracconi di mirabilia e di orrori, di tutte le wunderkammern; il colore sintetico, straniante senza mezze misure come l’innocenza, come la vita. Sembra un espediente, la formula per un mondo estraneo eppure speculare. Di purulenze, di inversioni, di minuscole mutilazioni, di sottrazioni, di sostituzioni, di scarabocchi come tributi ad impassibili dei deformi, come sacrifici all’osceno dio del buio e delle mosche che spaventa i bambini ne “Il Signore delle Mosche” di W. Golding.
Come un piccolo cadavre exquis. Condensazione e spostamento: è la creazione di un simbolismo intimo, oscuro, di una piccola religione delle ombre.
“Forse un giorno avrò una rivelazione improvvisa e potrò vedere l’altra faccia di questo enorme, grottesco scherzo. E allora riderò. E saprò cos’è la vita. (…) Dio, possibile che sia tutto qui?
Rimbalzare lungo un corridoio riecheggiante di singhiozzi e risate? Di autovenerazione e autoripugnanza? Di gloria e disgusto?”
( Silvia Plath, Diari)
Simonetta AngelinI
“ Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”
(S. Freud, Il perturbante)
“La mostra di quest’anno (…) aveva un segno inquietante: tutti i quadri insistevano sul tema della catastrofe (…), come se questi pazienti, cosi a lungo segregati,
avessero avvertito nelle menti dei dottori e delle infermiere una specie di sconvolgimento sismico”.
( J. Ballard, La mostra delle atrocità)
Spaventoso.
Come il buio nell’armadio di sera. Come il sangue versato inaspettatamente. Come uno scambio di identità nelle fiabe. Come una casa stregata.
Come le ombre che si allungano silenziosamente. Come bisbigli nel silenzio.
Come le attese, i confini, gli smarrimenti, le perdite.
“Il tempo previsto per oggi è inquietudine crescente seguita da terrore conclamato”
(C. PalahnuK, Diary)
Decadente.
Come un corpo che porti la putrefazione viva addosso come un gioiello regale.
Come la metastasi che corrompe.
Come il parassita che divora l’ospite dall’interno.
“Ci stiamo tutti autodecomponendo”
(C. Palahnuk, Invisibles monsters)
Il caos della carne, l’estasi della carne, brandelli di natura e di corpi in corto circuito; poi l’assemblaggio, lo spostamento alchemico, chimico.
Dentro la folle arte nordica, la corruzione di Bacon, le visionarietà di tutti i tempi.
La crudeltà innocente dei bambini.
Certe irrisioni sarcastiche, certe stupefazioni artificiali.
Silvia e Silvia.
Con la pazienza bramosa e asfissiante dell’enigmista, la spietatezza dell’untore,
Silvia Argiolas lavora con il perverso e bukoskiano piacere della nausea per l’odore di carne cruda,
di marcio e liquidi organici. Fuori le interiora, corpi senza pelle. Contaminati e contaminanti.
Il lavoro artistico ha il segno inesorabile, clinico della vivisezione, la virulenza crudele degli artisti nordici di ogni tempo;
il colore liquido degli umori interni; ha pelle di crisalide, i blu dell’anima in esilio, l’oscurità dell’umor nero, il rosso vivo delle ferite aperte.
Sembra fiorire, questa appartenenza ai sottosuoli, alle viscere, alla terra bruna, alla dissoluzione.
Incongruente come un geranio su una tomba.
La sperimentazione del disegno è di chi fabbrica ibridi, di chi vede attraverso, di chi fa incubi svegli.
La natura matrigna, corrotta, si fa estensione di un marcescente stato interiore, presagio arboreo, siderale indifferenza, solitudine di pietra.
La figura, ha l’ inconsistenza esile ed infetta di un taglio di pugnale.
È ciò che resta dei corpi, delle preghiere, dei santi, dei paradisi e degli inferni, delle apparenze e delle favole.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d'oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.
Cenere, cenere
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate
Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale”
( Silvia Plath, Lady Lazarus)
Insano, deforme, a brandelli. Non salva le apparenze il lavoro artistico caustico di Silvia Mei.
L’organico sembra perdersi nell’inorganico, la realtà nell’incubo, i volti picassianamente scomposti ma imperturbabili, le identità ibridate, i generi aboliti. Senza separazioni. Il monstrum è il luogo delle possibilità, la prova d’esistenza, del sacro della contaminazione.
Il disegno ha la sintassi del possibile dei folli, dei bambini piccoli; l’immaginario onirico dei medioevi visionari di tutte le epoche, dei baracconi di mirabilia e di orrori, di tutte le wunderkammern; il colore sintetico, straniante senza mezze misure come l’innocenza, come la vita. Sembra un espediente, la formula per un mondo estraneo eppure speculare. Di purulenze, di inversioni, di minuscole mutilazioni, di sottrazioni, di sostituzioni, di scarabocchi come tributi ad impassibili dei deformi, come sacrifici all’osceno dio del buio e delle mosche che spaventa i bambini ne “Il Signore delle Mosche” di W. Golding.
Come un piccolo cadavre exquis. Condensazione e spostamento: è la creazione di un simbolismo intimo, oscuro, di una piccola religione delle ombre.
“Forse un giorno avrò una rivelazione improvvisa e potrò vedere l’altra faccia di questo enorme, grottesco scherzo. E allora riderò. E saprò cos’è la vita. (…) Dio, possibile che sia tutto qui?
Rimbalzare lungo un corridoio riecheggiante di singhiozzi e risate? Di autovenerazione e autoripugnanza? Di gloria e disgusto?”
( Silvia Plath, Diari)
Simonetta AngelinI
09
ottobre 2010
Sivia Argiolas / Silvia Mei – Ssiillvviiaa
Dal 09 ottobre al 09 novembre 2010
arte contemporanea
Location
L.E.M. LABORATORIO ESTETICA MODERNA
Sassari, Via Napoli, 8, (Sassari)
Sassari, Via Napoli, 8, (Sassari)
Orario di apertura
da Martedì a Sabato 18.30-20.00
Vernissage
9 Ottobre 2010, ore 18
Autore
Curatore