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Stefano Baldinelli – Tra la quiete e il moto
Il nuovo spazio multigenere Combo art cafè prosegue la sua serie di mostre, di differenti stili e generi, con l’esposizione di Stefano Baldinelli. La mostra raccoglie e unisce una serie di lavori creati dall’artista negli ultimi quattro anni. Sono essenzialmente otto opere esposte; tutti dittici e polittici di svariate fantasie cromatiche che giocano con le forme ridisegnando anche lo spazio stesso che le contiene.
Comunicato stampa
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Testo critico di presentazione di Antonio Senatore:
Anonima purezza
di Antonio Senatore
Il movimento e la stasi sono stati oggetto di ogni forma di sperimentazione artistica. Già nel Duecento, in quella pittura piana e bidimensionale – tutt'altro che piana e bidimensionale – che caratterizzava l'arte del secolo, si suggeriva il movimento ritraendo i cavalli con una zampa sollevata, a metà di un passo, mentre gli uomini in cammino erano ritratti di profilo, con le braccia sfalsate rispetto alle gambe, a suggerire il passaggio da un passo al successivo. L'introduzione dell'elemento spaziale, all'alba del Quattrocento, tramite l'inganno prospettico, ha indotto gli artisti a interpretare il movimento in modo più complesso. Da la battaglia di san Romano di Paolo Uccello, in cui l'elemento spaziale, definito dalle traiettorie delle lance imbracciate dai cavalieri, è animato da un movimento teso, sempre sull'orlo del movimento successivo e intrappolato in un'eterna stasi trasudante tensione alla Camera degli sposi di Andrea Mantegna, nella quale il movimento è tessuto di spasmodica vertigine.
I corpi dipinti e scolpiti da Michelangelo, ritratti in continua tensione, sembrano potersi muovere da un momento all'altro. Il grande limite dell'arte sembra quello di poter descrivere il movimento ma non poterlo realmente ritrarre. Questo limite viene valicato con forza da Giulio Romano, ne la sala dei Giganti, quando l'artista riesce a imprimere nella pittura quell'impeto dinamico che costringe i giganti in un moto continuo ed esasperato. Essi sembrano accerchiare, inseguire e braccare lo spettatore, lasciandolo immoto, stupefatto e atterrito.
Compiendo un ampio salto temporale, ci troviamo ad ammirare gli studi di nuvole di Constable e Turner. I due artisti inglesi trovano, nell'imponderabile quiete dei nembi, una nuovo artificio stilistico che ripropone con vigore la mai sopita lotta tra l'artista e il moto. Inquadrandosi agli albori di un'epoca che ha scardinato e ristrutturato l'etica artistica fino a ridefinirne i parametri ontologici, gli studi di nuvole di Turner e Constable rappresentano le colonne d'Ercole dalle quali è partito il viaggio che ha portato il movimento stesso a essere ritratto, prima ancora del corpo che lo genera. Nel 1844 William Turner dipinge Pioggia, vapore e velocità, in cui il soggetto sembra essere non il treno che taglia l'indistinto paesaggio ma la velocità stessa, che prende forma grazie alla velatura di pioggia e vapore.
In contrasto con i tentativi di dipingere il movimento, vi è l'estetica della stasi. Da sempre legata al concetto di morte, essa si è evoluta grazie al culto voyeuristico della morte di Cristo. Anche nell'immobilità dei ritratti – si pensi a I coniugi Arnolfini di van Eyck come al Monsieur Bertin di Ingres – gli artisti hanno sempre cercato di distinguere il personaggio ritratto da una salma. Hanno introdotto nella pittura artifici che inducessero l'occhio dello spettatore a trasmettere al cervello una sensazione di movimento. Giochi di luce, panneggi elaborati, espressioni sempre meno vitree e curate. Su tutti si pensi al Fanciullo morso da un ramarro di Caravaggio.
A un tratto però, tra la metà dell'Ottocento e i primi del Novecento, oltre a essere scardinato e ristrutturato il ruolo ontologico dell'opera d'arte, l'artista stesso ha cambiato prospettiva di lavoro. Si è fatto, in un certo senso, spettatore egli stesso. Emancipandosi nel frattempo dal concetto di committenza, si è trovato nella condizione di descrivere, con la propria arte, ciò che vedeva. Esattamente. Così, il tentativo di trasferire il dato oggettivo nel quadro è diventato il desiderio di trasferire il dato oggettivo percepito, nell'opera.
Il passaggio successivo, in termini di quiete e moto, è dato dal Nudo che scende le scale di Marcel Duchamp (1912) e dal coevo (1913) Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni. In queste opere viene ritratto il concetto stesso di moto. Si esamina l'impatto che il moto ha sul corpo, sulla realtà circostante il movimento.
Negli anni successivi, la dialettica artistica relativa alla figurazione di stasi e moto è trascesa, prima investendo i caratteri accessori alla questione principale, poi concentrandosi su tutt'altro. Persiste, tuttavia, la sensazione che l'arte continui ad arrovellarsi intorno ai concetti di moto e quiete e alle loro possibili figurazioni.
In tal senso Stefano Baldinelli va oltre. I suoi dipinti si svelano allo spettatore come ritratti di un silenzioso, quasi interiore, passaggio tra la quiete e il moto. Passaggio che trascende i termini utilizzati per descriverlo e risuona come un diapason in corrispondenza dell'indescrivibile tremito di fondo che ogni battito del cuore imprime al corpo. Si ha l'impressione che lo spazio e il tempo che si trovano tra la quiete e il moto si trovino proprio in questo tremito, questa pausa dal sapore astratto che intercorre tra una diastole e una sistole. In tal senso la pittura si emancipa dall'intento meramente narrativo e si fa strumento obiettivo, capace di catturare e incatenare un momento situato oltre lo spazio descrittivo e descrivibile, in un'enigmatica dimensione spirituale che, tra soluzioni spaziali e cromatiche, esamina e disseziona spietatamente il confine tra figurativo e astratto.
Attraverso la ricerca di un equilibrio cromo-spaziale l'artista lascia il quadro, ritraendovi la purezza, anonima e definitiva: la Purezza.
La tecnica di Stefano Baldinelli va oltre la ricerca del movimento o della stasi. Le sue opere sono dittici e polittici dal sapore antico, sulle cui superfici gli effetti di luce e di colore trascinano chi le osserva in un moto profondo che ha l'aspetto di una geometrica dissezione della luce. Proprio nella luce sembra cogliersi il ritratto della stasi che, come una tensione all'assoluto, imprime al moto che le gravita intorno la spinta alla redenzione dal narrato che ne liberà la serenità.
Le opere di Baldinelli ritraggono, trasfigurano e restituiscono lo spazio, ideale e non, tra la stasi e il moto e, mostrandone la trama, lo mutano in quiete.
Invisibile nell'abbraccio della quiete giace il moto, e nel moto la quiete si nasconde.
Anonima purezza
di Antonio Senatore
Il movimento e la stasi sono stati oggetto di ogni forma di sperimentazione artistica. Già nel Duecento, in quella pittura piana e bidimensionale – tutt'altro che piana e bidimensionale – che caratterizzava l'arte del secolo, si suggeriva il movimento ritraendo i cavalli con una zampa sollevata, a metà di un passo, mentre gli uomini in cammino erano ritratti di profilo, con le braccia sfalsate rispetto alle gambe, a suggerire il passaggio da un passo al successivo. L'introduzione dell'elemento spaziale, all'alba del Quattrocento, tramite l'inganno prospettico, ha indotto gli artisti a interpretare il movimento in modo più complesso. Da la battaglia di san Romano di Paolo Uccello, in cui l'elemento spaziale, definito dalle traiettorie delle lance imbracciate dai cavalieri, è animato da un movimento teso, sempre sull'orlo del movimento successivo e intrappolato in un'eterna stasi trasudante tensione alla Camera degli sposi di Andrea Mantegna, nella quale il movimento è tessuto di spasmodica vertigine.
I corpi dipinti e scolpiti da Michelangelo, ritratti in continua tensione, sembrano potersi muovere da un momento all'altro. Il grande limite dell'arte sembra quello di poter descrivere il movimento ma non poterlo realmente ritrarre. Questo limite viene valicato con forza da Giulio Romano, ne la sala dei Giganti, quando l'artista riesce a imprimere nella pittura quell'impeto dinamico che costringe i giganti in un moto continuo ed esasperato. Essi sembrano accerchiare, inseguire e braccare lo spettatore, lasciandolo immoto, stupefatto e atterrito.
Compiendo un ampio salto temporale, ci troviamo ad ammirare gli studi di nuvole di Constable e Turner. I due artisti inglesi trovano, nell'imponderabile quiete dei nembi, una nuovo artificio stilistico che ripropone con vigore la mai sopita lotta tra l'artista e il moto. Inquadrandosi agli albori di un'epoca che ha scardinato e ristrutturato l'etica artistica fino a ridefinirne i parametri ontologici, gli studi di nuvole di Turner e Constable rappresentano le colonne d'Ercole dalle quali è partito il viaggio che ha portato il movimento stesso a essere ritratto, prima ancora del corpo che lo genera. Nel 1844 William Turner dipinge Pioggia, vapore e velocità, in cui il soggetto sembra essere non il treno che taglia l'indistinto paesaggio ma la velocità stessa, che prende forma grazie alla velatura di pioggia e vapore.
In contrasto con i tentativi di dipingere il movimento, vi è l'estetica della stasi. Da sempre legata al concetto di morte, essa si è evoluta grazie al culto voyeuristico della morte di Cristo. Anche nell'immobilità dei ritratti – si pensi a I coniugi Arnolfini di van Eyck come al Monsieur Bertin di Ingres – gli artisti hanno sempre cercato di distinguere il personaggio ritratto da una salma. Hanno introdotto nella pittura artifici che inducessero l'occhio dello spettatore a trasmettere al cervello una sensazione di movimento. Giochi di luce, panneggi elaborati, espressioni sempre meno vitree e curate. Su tutti si pensi al Fanciullo morso da un ramarro di Caravaggio.
A un tratto però, tra la metà dell'Ottocento e i primi del Novecento, oltre a essere scardinato e ristrutturato il ruolo ontologico dell'opera d'arte, l'artista stesso ha cambiato prospettiva di lavoro. Si è fatto, in un certo senso, spettatore egli stesso. Emancipandosi nel frattempo dal concetto di committenza, si è trovato nella condizione di descrivere, con la propria arte, ciò che vedeva. Esattamente. Così, il tentativo di trasferire il dato oggettivo nel quadro è diventato il desiderio di trasferire il dato oggettivo percepito, nell'opera.
Il passaggio successivo, in termini di quiete e moto, è dato dal Nudo che scende le scale di Marcel Duchamp (1912) e dal coevo (1913) Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni. In queste opere viene ritratto il concetto stesso di moto. Si esamina l'impatto che il moto ha sul corpo, sulla realtà circostante il movimento.
Negli anni successivi, la dialettica artistica relativa alla figurazione di stasi e moto è trascesa, prima investendo i caratteri accessori alla questione principale, poi concentrandosi su tutt'altro. Persiste, tuttavia, la sensazione che l'arte continui ad arrovellarsi intorno ai concetti di moto e quiete e alle loro possibili figurazioni.
In tal senso Stefano Baldinelli va oltre. I suoi dipinti si svelano allo spettatore come ritratti di un silenzioso, quasi interiore, passaggio tra la quiete e il moto. Passaggio che trascende i termini utilizzati per descriverlo e risuona come un diapason in corrispondenza dell'indescrivibile tremito di fondo che ogni battito del cuore imprime al corpo. Si ha l'impressione che lo spazio e il tempo che si trovano tra la quiete e il moto si trovino proprio in questo tremito, questa pausa dal sapore astratto che intercorre tra una diastole e una sistole. In tal senso la pittura si emancipa dall'intento meramente narrativo e si fa strumento obiettivo, capace di catturare e incatenare un momento situato oltre lo spazio descrittivo e descrivibile, in un'enigmatica dimensione spirituale che, tra soluzioni spaziali e cromatiche, esamina e disseziona spietatamente il confine tra figurativo e astratto.
Attraverso la ricerca di un equilibrio cromo-spaziale l'artista lascia il quadro, ritraendovi la purezza, anonima e definitiva: la Purezza.
La tecnica di Stefano Baldinelli va oltre la ricerca del movimento o della stasi. Le sue opere sono dittici e polittici dal sapore antico, sulle cui superfici gli effetti di luce e di colore trascinano chi le osserva in un moto profondo che ha l'aspetto di una geometrica dissezione della luce. Proprio nella luce sembra cogliersi il ritratto della stasi che, come una tensione all'assoluto, imprime al moto che le gravita intorno la spinta alla redenzione dal narrato che ne liberà la serenità.
Le opere di Baldinelli ritraggono, trasfigurano e restituiscono lo spazio, ideale e non, tra la stasi e il moto e, mostrandone la trama, lo mutano in quiete.
Invisibile nell'abbraccio della quiete giace il moto, e nel moto la quiete si nasconde.
12
febbraio 2011
Stefano Baldinelli – Tra la quiete e il moto
Dal 12 febbraio al 06 marzo 2011
arte contemporanea
Location
COMBO
Perugia, Via Cartolari, 1/a, (Perugia)
Perugia, Via Cartolari, 1/a, (Perugia)
Orario di apertura
Dal martedì alla domenica. Dalle ore 17,00 alle ore 2,00
Vernissage
12 Febbraio 2011, ore 18
Autore