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Stefano Di Maulo – Formiche 2070
Gli insetti sociali dell’artista invadono il campo e tirano in porta, formano battaglioni sull’attenti pronti a battere il passo, disegnano i propri corpi su pedine per dama dalle misure abitabili e mai calpestabili
Comunicato stampa
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Da quando il risveglio diverso del Gregor Samsa kafkiano ha cominciato a farsi leggibile, l’adozione di un guardare nuovo originato dal basso e prima sempre tanto distante si è impadronito del nostro possibile vedere.
A incontrarle così, statuarie e solenni mentre sfoggiano tutta la potenza in dotazione, le formiche che Stefano Di Maulo ritrae/costruisce/compone non sembrano quelle dall’esistenza rassegnata che trasportano faticose zolle di pane tra i terremoti perpetui dei nostri passi giganti o il cadere che affoga di gocce piovane.
Gli insetti sociali dell’artista invadono il campo e tirano in porta, formano battaglioni sull’attenti pronti a battere il passo, disegnano i propri corpi su pedine per dama dalle misure abitabili e mai calpestabili.
Le guardiamo negli occhi e abbassiamo lo sguardo, impuniti responsabili di roghi infantili che intrattenevano le notti d’estate mentre le loro case bruciavano e le fiamme amplificavano urla che non sapevamo sentire.
Quando le misure aumentano o solo si allineano, le reazioni divergono per avvicinare un dialogo che sappia porre a confronto tra loro esistenze apparentemente lontane, il cui regime costitutivo è in verità tanto somigliante da illuminare le menti. Nell’arte di Di Maulo l’entomologia è in ferie: il senso d’essere delle figure proposte è più affine ad un procedimento allegorico che avvicina le sembianze dei corpi piccoli (divenuti grandi) fatti di capo, torace e addome a quelle dell’uomo in corso portato ad operare, riprodursi, costruire e mettere da parte.
La micro formica diventa macro, il suo corpo “segno e forma” determina l’idea di un emblema che decora mentre accorpa il proprio pasto o esibisce la brevità perfetta di un corpo autonomo senza fede.
I grovigli plastici di zampe nascostamente laboriose che rovistano tra ciò che di commestibile cade a terra, tra i resti mobili di alimenti creduti consumati fino in fondo, assumono ora l’importanza di un significato adattabile agli insegnamenti I Ching (“La perseveranza è favorevole”), chiedendosi sino a che punto la struttura del gruppo serva ad annullare la sensazione dell’identità privata.
Indubbiamente le form(ich)e di Di Maulo continueranno a vedersi sopraffare da suole di calibro misto e a frugare tra mille provviste cadute, ma quelle loro zampe di “…una sottigliezza desolante” avranno avvicinato e forse corretto la nostra percezione delle dimensioni comunicanti, portando a credere l’invito del marinista Bartolomeo Dotti (“Fissa l’occhio, mortal, qui dove impressa par di punti animati esser la terra”) un avvertimento decisivo legato all’inversione imprevista di ruoli e misure.
A incontrarle così, statuarie e solenni mentre sfoggiano tutta la potenza in dotazione, le formiche che Stefano Di Maulo ritrae/costruisce/compone non sembrano quelle dall’esistenza rassegnata che trasportano faticose zolle di pane tra i terremoti perpetui dei nostri passi giganti o il cadere che affoga di gocce piovane.
Gli insetti sociali dell’artista invadono il campo e tirano in porta, formano battaglioni sull’attenti pronti a battere il passo, disegnano i propri corpi su pedine per dama dalle misure abitabili e mai calpestabili.
Le guardiamo negli occhi e abbassiamo lo sguardo, impuniti responsabili di roghi infantili che intrattenevano le notti d’estate mentre le loro case bruciavano e le fiamme amplificavano urla che non sapevamo sentire.
Quando le misure aumentano o solo si allineano, le reazioni divergono per avvicinare un dialogo che sappia porre a confronto tra loro esistenze apparentemente lontane, il cui regime costitutivo è in verità tanto somigliante da illuminare le menti. Nell’arte di Di Maulo l’entomologia è in ferie: il senso d’essere delle figure proposte è più affine ad un procedimento allegorico che avvicina le sembianze dei corpi piccoli (divenuti grandi) fatti di capo, torace e addome a quelle dell’uomo in corso portato ad operare, riprodursi, costruire e mettere da parte.
La micro formica diventa macro, il suo corpo “segno e forma” determina l’idea di un emblema che decora mentre accorpa il proprio pasto o esibisce la brevità perfetta di un corpo autonomo senza fede.
I grovigli plastici di zampe nascostamente laboriose che rovistano tra ciò che di commestibile cade a terra, tra i resti mobili di alimenti creduti consumati fino in fondo, assumono ora l’importanza di un significato adattabile agli insegnamenti I Ching (“La perseveranza è favorevole”), chiedendosi sino a che punto la struttura del gruppo serva ad annullare la sensazione dell’identità privata.
Indubbiamente le form(ich)e di Di Maulo continueranno a vedersi sopraffare da suole di calibro misto e a frugare tra mille provviste cadute, ma quelle loro zampe di “…una sottigliezza desolante” avranno avvicinato e forse corretto la nostra percezione delle dimensioni comunicanti, portando a credere l’invito del marinista Bartolomeo Dotti (“Fissa l’occhio, mortal, qui dove impressa par di punti animati esser la terra”) un avvertimento decisivo legato all’inversione imprevista di ruoli e misure.
21
gennaio 2006
Stefano Di Maulo – Formiche 2070
Dal 21 gennaio al 10 febbraio 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTURARTE
Nepi, Via Settevene Palo, 1a, (Viterbo)
Nepi, Via Settevene Palo, 1a, (Viterbo)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì 9-18. Sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
21 Gennaio 2006, ore 13
Autore
Curatore