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Stefano Pizzetti – Santi&Santis / Donatella Pollini – Vodoun: la danza degli dei
Stefano Pizzetti racconta il mondo delle feste religiose napoletane, celebrate con lo stesso entusiasmo tanto nella terra d’origine quanto oltreoceano.
Donatella Pollini esplora la cultura Vodoun del Benin: riti, persone, villaggi, simbologie e movimenti vengono descritti minuziosamente.
Comunicato stampa
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Stefano Pizzetti
Stefano Pizzetti nei confronti della fotografia (o meglio, del fare fotografia) ha l’approccio giusto. Quello che gli deriva dalla consapevolezza che un lavoro di reportage non si basa solo sulla parte finale degli scatti realizzati ma deve avere a monte un’idea, un progetto che tenga conto delle diverse realtà coinvolte e dell’approccio che con esse si deve avere.
Nel suo lavoro “Santi & Santis” Pizzetti ci offre un esempio di tutto questo.
Percorrendo distanze notevoli e confrontandosi con mondi diversi, riesce a documentarci un comun denominatore di sacro e profano in modo ineccepibile, con la capacità tecnica e culturale di chi la materia l’ha studiata, approfondita e vissuta.
Ne escono immagini di grande emotività nelle quali il momento religioso si mescola alle tradizioni di paesi apparentemente diversi, ma fondamentalmente simili. Come simili appaiono i personaggi coinvolti e le situazioni di sagra paesana con gli annessi riti di consumismo profano. Stefano non si limita a fotografarli; pur cercando di rimanere testimone oggettivo degli avvenimenti, diventa lui stesso attore di quella grande rappresentazione che si impone di vivere dall’interno, riuscendo così a farsi credibile agli occhi dei “devoti” o presunti tali.
Nei suoi scatti non c’è accanimento, presunzione di giudizio o ricerca del mostro da sbattere in prima pagina, ma desiderio di documento, di scelta personale delle situazioni da fotografare e voglia far partecipi anche gli altri.
Un lavoro, quello di Pizzetti, molto vicino a quel fare giornalismo che purtroppo pare non appartenere più all’editoria contemporanea, più attenta allo scoop che all’informazione.
Renato Corsini
Donatella Pollini
Lo sguardo che si posa sul particolare di un albero, mentre dolcemente affonda le sue radici nella terra, è l’incipit visivo di un racconto che si svolge nel Benin, in Africa, nel contesto di un intimo e profondo rapporto tra uomo e natura. Gli occhi della narrazione sono quelli di Donatella Pollini, che per un anno ha osservato e vissuto questo Paese e le sue tradizioni. Il linguaggio è quello della fotografia istantanea, del reportage, dello storytelling capace di riportare emozioni, senza rinunciare al compito della documentazione.
La successione delle immagini, che permettono il nostro accesso nel cuore della cultura Vodoun è, costruita e articolata sulle orme di quel lento e rispettoso avvicinamento già compiuto dall’autrice circa un anno fa. Tutto ha inizio lungo un sentiero intricato che attraverso la foresta conduce a una terra misteriosa, ai suoi villaggi e ai suoi abitanti. Sin dalle prime immagini, i dettagli naturali appaiono come la soglia simbolica dei luoghi in cui Donatella Pollini ci conduce, svelandoli con grande esitazione e senza colpi di scena, ma con la discrezione di chi intende osservare e comprendere dall’interno, nel segno dell’empatia e della condivisione con i soggetti. Il risultato è un percorso di conoscenza che si sviluppa su momenti di suspance e di stupore. Di attesa e di distensione. Comunque attimi di vita scaturiti, probabilmente, da una percezione personale, fortemente partecipata e sempre priva di pregiudizi culturali.
La religione “Vodoun” raccoglie nelle sue tradizioni riti e credenze analoghe alle religioni politeistiche e animistiche dell'antichità, […] il suo fondamento è la Natura e il suo fine l'armonia con essa, e in senso più esteso, la Pace. Oltre ai templi, altri luoghi sono considerati sacri: le bandiere bianche, o rosse, o nere, indicano la presenza di un tempio o di un luogo sacro, la raffigurazione di uno Zanghbeto (sorta di spirito guardiano) indica la proibizione assoluta di toccare quanto è messo sotto la sua tutela, la Foresta Sacra è un luogo che cela siti riservati solo agli iniziati per compiere i propri riti.
Nelle parole di introduzione a “Vodoun: la danza degli dei”, Donatella Pollini esplicita ciò che nelle immagini è reso con l’arte della simbologia, che a sua volta rappresenta ed esprime la sacralità di valori e credenze della comunità africana. Su questo doppio livello di lettura, antropico e visivo, dunque, è possibile considerare la “natura” al centro dell’interesse dell’autrice, in quanto fuoco attorno al quale, da sempre, ruota la cultura del Paese, dalla religione, alla politica e alle pratiche sociali. L’atmosfera del magico e dell’incanto che la natura porta con sé aleggia allora nelle sfumature di luci ed ombre delle fotografie, lasciando intravedere segni e presenze che diventano via via, nello scorrere della sequenza, più vivide e luminose.
In questo crescendo descrittivo, lo sguardo di Donatella entra nelle strade, prende parte ai riti e alle cerimonie pubbliche. All’interno di un complesso sistema di autorappresentazione cerimoniale, politico e religioso, il suo punto di vista si avvicina così tanto ai soggetti da descriverne i movimenti e le posture con minuzia e precisione. Pian piano, l’interesse verso simbologie, ambienti e divinità naturali, lascia il passo alla vita quotidiana che si svolge nelle case private e negli spazi pubblici. Il magico assume finalmente una dimensione umana, e diventa espressione di una condizione esistenziale che investe i popoli di tutto il mondo, seppur nelle variabili forme della religione o dell’ideologia sia politica che sociale.
Queste immagini lasciano pensare che la magia come forma protettiva, che De Martino teorizzava nei primi ed esemplari studi etnografici sull’Italia meridionale, riviva in ogni ritratto, in ogni racconto o appunto descrittivo di mondi e luoghi lontani. In “Vodoun: la danza degli dei”, il volto umano di quella stessa magia passa attraverso la prospettiva di uno sguardo fresco e intuitivo, che travalica il rigore scientifico e documentario per aprirsi alla suggestione della scoperta e dell’interpretazione, complice e silenziosa, della fotografia.
Denis Curti
Stefano Pizzetti nei confronti della fotografia (o meglio, del fare fotografia) ha l’approccio giusto. Quello che gli deriva dalla consapevolezza che un lavoro di reportage non si basa solo sulla parte finale degli scatti realizzati ma deve avere a monte un’idea, un progetto che tenga conto delle diverse realtà coinvolte e dell’approccio che con esse si deve avere.
Nel suo lavoro “Santi & Santis” Pizzetti ci offre un esempio di tutto questo.
Percorrendo distanze notevoli e confrontandosi con mondi diversi, riesce a documentarci un comun denominatore di sacro e profano in modo ineccepibile, con la capacità tecnica e culturale di chi la materia l’ha studiata, approfondita e vissuta.
Ne escono immagini di grande emotività nelle quali il momento religioso si mescola alle tradizioni di paesi apparentemente diversi, ma fondamentalmente simili. Come simili appaiono i personaggi coinvolti e le situazioni di sagra paesana con gli annessi riti di consumismo profano. Stefano non si limita a fotografarli; pur cercando di rimanere testimone oggettivo degli avvenimenti, diventa lui stesso attore di quella grande rappresentazione che si impone di vivere dall’interno, riuscendo così a farsi credibile agli occhi dei “devoti” o presunti tali.
Nei suoi scatti non c’è accanimento, presunzione di giudizio o ricerca del mostro da sbattere in prima pagina, ma desiderio di documento, di scelta personale delle situazioni da fotografare e voglia far partecipi anche gli altri.
Un lavoro, quello di Pizzetti, molto vicino a quel fare giornalismo che purtroppo pare non appartenere più all’editoria contemporanea, più attenta allo scoop che all’informazione.
Renato Corsini
Donatella Pollini
Lo sguardo che si posa sul particolare di un albero, mentre dolcemente affonda le sue radici nella terra, è l’incipit visivo di un racconto che si svolge nel Benin, in Africa, nel contesto di un intimo e profondo rapporto tra uomo e natura. Gli occhi della narrazione sono quelli di Donatella Pollini, che per un anno ha osservato e vissuto questo Paese e le sue tradizioni. Il linguaggio è quello della fotografia istantanea, del reportage, dello storytelling capace di riportare emozioni, senza rinunciare al compito della documentazione.
La successione delle immagini, che permettono il nostro accesso nel cuore della cultura Vodoun è, costruita e articolata sulle orme di quel lento e rispettoso avvicinamento già compiuto dall’autrice circa un anno fa. Tutto ha inizio lungo un sentiero intricato che attraverso la foresta conduce a una terra misteriosa, ai suoi villaggi e ai suoi abitanti. Sin dalle prime immagini, i dettagli naturali appaiono come la soglia simbolica dei luoghi in cui Donatella Pollini ci conduce, svelandoli con grande esitazione e senza colpi di scena, ma con la discrezione di chi intende osservare e comprendere dall’interno, nel segno dell’empatia e della condivisione con i soggetti. Il risultato è un percorso di conoscenza che si sviluppa su momenti di suspance e di stupore. Di attesa e di distensione. Comunque attimi di vita scaturiti, probabilmente, da una percezione personale, fortemente partecipata e sempre priva di pregiudizi culturali.
La religione “Vodoun” raccoglie nelle sue tradizioni riti e credenze analoghe alle religioni politeistiche e animistiche dell'antichità, […] il suo fondamento è la Natura e il suo fine l'armonia con essa, e in senso più esteso, la Pace. Oltre ai templi, altri luoghi sono considerati sacri: le bandiere bianche, o rosse, o nere, indicano la presenza di un tempio o di un luogo sacro, la raffigurazione di uno Zanghbeto (sorta di spirito guardiano) indica la proibizione assoluta di toccare quanto è messo sotto la sua tutela, la Foresta Sacra è un luogo che cela siti riservati solo agli iniziati per compiere i propri riti.
Nelle parole di introduzione a “Vodoun: la danza degli dei”, Donatella Pollini esplicita ciò che nelle immagini è reso con l’arte della simbologia, che a sua volta rappresenta ed esprime la sacralità di valori e credenze della comunità africana. Su questo doppio livello di lettura, antropico e visivo, dunque, è possibile considerare la “natura” al centro dell’interesse dell’autrice, in quanto fuoco attorno al quale, da sempre, ruota la cultura del Paese, dalla religione, alla politica e alle pratiche sociali. L’atmosfera del magico e dell’incanto che la natura porta con sé aleggia allora nelle sfumature di luci ed ombre delle fotografie, lasciando intravedere segni e presenze che diventano via via, nello scorrere della sequenza, più vivide e luminose.
In questo crescendo descrittivo, lo sguardo di Donatella entra nelle strade, prende parte ai riti e alle cerimonie pubbliche. All’interno di un complesso sistema di autorappresentazione cerimoniale, politico e religioso, il suo punto di vista si avvicina così tanto ai soggetti da descriverne i movimenti e le posture con minuzia e precisione. Pian piano, l’interesse verso simbologie, ambienti e divinità naturali, lascia il passo alla vita quotidiana che si svolge nelle case private e negli spazi pubblici. Il magico assume finalmente una dimensione umana, e diventa espressione di una condizione esistenziale che investe i popoli di tutto il mondo, seppur nelle variabili forme della religione o dell’ideologia sia politica che sociale.
Queste immagini lasciano pensare che la magia come forma protettiva, che De Martino teorizzava nei primi ed esemplari studi etnografici sull’Italia meridionale, riviva in ogni ritratto, in ogni racconto o appunto descrittivo di mondi e luoghi lontani. In “Vodoun: la danza degli dei”, il volto umano di quella stessa magia passa attraverso la prospettiva di uno sguardo fresco e intuitivo, che travalica il rigore scientifico e documentario per aprirsi alla suggestione della scoperta e dell’interpretazione, complice e silenziosa, della fotografia.
Denis Curti
20
gennaio 2014
Stefano Pizzetti – Santi&Santis / Donatella Pollini – Vodoun: la danza degli dei
Dal 20 gennaio al 20 febbraio 2014
fotografia
Location
WAVE PHOTOGALLERY
Brescia, Via Trieste, 32/a, (Brescia)
Brescia, Via Trieste, 32/a, (Brescia)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15-19.30
Vernissage
20 Gennaio 2014, h 19.00
Autore