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Tavole Barocche
La mostra espone dipinti raffiguranti nature morte, paesaggi e scene conviviali tra XVII e XVIII secolo, provenienti dalla Collezione Corsi di Firenze conservata presso il Museo Bardini, una delle istituzioni museali più importanti del capoluogo toscano
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nell’anno dell’Expo di Milano, dedicato alle tematiche dell’alimentazione, le suggestive sale del
Castello Svevo di Gioia del Colle (Ba) ospitano dall’11 aprile al 28 giugno 2015 la mostra “Tavole
Barocche”, promossa dalla Regione Puglia e dal Comune di Gioia del Colle.
La mostra, a cura di Francesco Di Ciaula ed organizzata dalla società Sistema Museo, espone
dipinti raffiguranti nature morte, paesaggi e scene conviviali tra XVII e XVIII secolo, provenienti dalla
Collezione Corsi di Firenze conservata presso il Museo Bardini, una delle istituzioni museali più
importanti del capoluogo toscano.
L’esposizione è allestita nel Castello di Gioia del Colle, tra i più affascinanti manieri realizzati dalle
maestranze dell’Imperatore Federico II Hohenstaufen, il Sovrano tedesco che fece della Puglia del
XIII secolo la sua terra d’elezione.
Tra la magnifica Sala del Trono, così nominata per la presenza dell’imponente seggio reale, la Sala
del Camino, la Torre de’ Rossi e il Gineceo, si sviluppa armoniosamente la mostra, ricca di opere
importanti per la storia dell’arte del Seicento e del Settecento italiano e fiammingo, come quelle del
Gobbo dei Carracci, lo Spadino, Giovan Battista Ruoppolo, Jacopo da Empoli, Gian Domenico
Ferretti, della bottega dell’Arcimboldo e del seguito di Pieter Brueghel il Giovane.
Due le sezioni di mostra, incentrate sulla cultura del cibo e della tavola: la prima espone la
rappresentazione degli alimenti nel genere della natura morta, che si impone in maniera decisiva
nel Seicento. I dipinti sono dominati dalla variegata presenza di carni, selvaggina, pesci, frutti e
ortaggi realizzati da artisti soprattutto di ambito toscano e romano-napoletano. La seconda sezione,
arricchita dalle opere di autori fiamminghi, presenta i piaceri conviviali: prevalgono scene di
banchetto e di festa, riscontrabili sia nei rituali opulenti e fastosi delle classi aristocratiche sia nelle
immagini di contesti umili e popolari, nei quali l’alimentazione più che piacere della tavola diviene
ricerca di appagamento della fame.
LE SEZIONI
Il tema delle quaranta opere esposte, il cibo e la tavola, si rifà al mondo fisico puramente
rappresentato, in un contesto di pittura profana dell’epoca barocca, il cui chiaro richiamo alle
esperienze dei sensi conduce l’osservatore verso una visione seducente delle cose naturali.
La nascita della natura morta, al centro della prima sezione della mostra, è paradigmatica di un
interesse, presente già negli ultimi decenni del XVI secolo tra Fiandre e Italia settentrionale, della
possibilità di indagare il reale negli aspetti più dettagliati e “microscopici”, considerati “laterali” nella
pittura di storia. L’illusionismo, tutto teatrale, di credere di poter toccare, annusare, assaggiare i cibi
sul piano della tela, accentua questa visione di una riproduzione della realtà riconoscibile come vita
e vissuto quotidiano dove gli stessi alimenti, fuori da ogni intendimento retorico, suscitano desideri e
ricordi sensoriali.
Il processo di crescita e decadenza della frutta e dei vegetali, in connessione con l’idea del tempo
che scorre, pone la natura morta come specchio della vita della materia, le cui forme assumono più
o meno colore e spessore dall’impatto con la luce, l’unico elemento in grado di interagire con lo
spazio della scena.
Nella seconda sezione della mostra, illustrante i piaceri conviviali, i dipinti di ambito fiammingo e
francese, raffiguranti feste aristocratiche tra parchi e boschi, fanno riferimento alla fusione del
momento della tavola con l’intrattenimento di danze e musiche. Sempre fiamminghe le scene
campestri illustranti i pasti del mondo contadino e le colazioni borghesi, mentre nelle vedute urbane
del Settecento fiorentino si osserva la vita brulicante delle città, tra fiere e mercati.
Le dispense e le cucine, come luoghi della conservazione e della cottura dei cibi, assumono
anch’esse una rilevanza artistica, espressione di una concezione fortemente naturalistica e
verosimile della realtà, priva ormai del puro idealismo del Rinascimento.
LE OPERE
Come incipit del percorso di visita, accanto al trono di Federico, sono collocate la Primavera, l’Estate
e l’Inverno eseguiti dalla bottega dell’Arcimboldo, l’enigmatico pittore lombardo cinquecentesco, il
quale inventò la conversione del corpo umano in figura vegetale, facendo delle sue opere una
prefigurazione della nascita della natura “in posa”. Nell’insieme delle nature morte qui presenti
spiccano i dipinti, la Frutta e la Natura morta con cacciagione e frutta, legati a due tra gli esponenti
più rappresentativi del genere in Italia, come Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci e il
Maestro S.B., noto come lo Pseudo Salini, i quali riflettono le innovazioni caravaggesche dei primi
capolavori romani del Merisi, connotate da un intenso e “contemplativo” naturalismo.
Nel caso del secondo pittore si nota la ripresa di modelli nordici, nell’iconografia degli animali da
selvaggina, e una carica cromatica tipica della scuola napoletana del Seicento alla quale egli era
legato, che in mostra è splendidamente rappresentata dalla tela attribuita a Giovan Battista
Ruoppolo, la Natura morta di cucina.
La natura morta fiorentina è presente nelle opere della cerchia di Jacopo da Empoli, il pittore che,
formatosi sulla pittura manierista fiorentina, “importa” a Firenze nei primi decenni del XVII secolo il
nuovo genere proveniente dalle botteghe romane, tramite la presenza nelle collezioni Medicee di
varie tele raffiguranti “pose” di animali e vegetali.
I fasti del Barocco romano sono evocati dalla Natura morta di frutta e zucche di Giovanni Paolo
Castelli detto lo Spadino, e la grande tela di Michelangelo Pace detto da Campidoglio, Natura
morta di fiori e frutta con papere che si abbeverano ad una fontana.
La seconda parte della mostra è aperta dai convivi immersi liberamente nel contesto naturale di
parchi, boschetti e giardini, con l’allusione all’imprescindibile legame tra cibo ed Eros.
La cornice fiabesca delle tele fiamminghe qui esposte, Festa nel parco del Castello e Convivio, con i
meravigliosi sfondi di castelli dall’aspetto ancora medievale, dona alla scena un’atmosfera sognante
e ovattata, tipica della vita di corte.
Ancora di scuola fiamminga, della prima metà del Seicento, sono le due tele che illustrano la
piacevolezza del mangiare immersi nella natura, il Banchetto all’aperto e il Paesaggio estivo, nei
quali gli atteggiamenti dei personaggi richiamano una disinvoltura borghese nell’atto della
consumazione dei pasti e dello stare a tavola.
La presenza in mostra di un’opera come Interno di osteria con contadini, attribuibile a un artista del
seguito di Pieter Brueghel il Giovane, ci permette di cogliere l’elemento grottesco di una scena di
festa contadina, dove l’aspetto di preparazione e consumazione del pasto assume una grandissima
forza espressiva, tipica dell’arte bruegheliana.
La descrizione della vita umile degli ultimi, in una chiave legata ai costumi alimentari, viene espressa
dalla presenza di una tela del pittore del Settecento bolognese, Stefano Gherardini, Interno di
osteria con personaggi, formatosi sulla scia del Crespi, e da Il Pulcinella malato, eseguito da un
seguace di Pier Leone Ghezzi, il grande caricaturista romano attivo nella Roma della prima metà
del XVIII secolo.
In posizione dominante, nella bellissima Sala del Camino, svetta il Bacco e Arianna del pittore
Rococò fiorentino Gian Domenico Ferretti, il cui dipinto celebra il Dio del vino, dell’ebbrezza, della
trasformazione e della rigenerazione della vegetazione.
Seguendo un suadente percorso tra dipinti ricolmi di frutta, selvaggina, pesci, tavole imbandite e
paesaggi animati da feste aristocratiche, colazioni campestri e fiere cittadine, si assiste alla
rivelazione di una cultura artistica dominata dal trionfo della Natura mater, la procreatrice dei
prodotti della terra, raffigurata nei paesaggi come luogo di bucolico abbandono, dove Eros e le Dee
della fertilità e dell’abbondanza giacciono felici sul verde rigoglioso di un prato primaverile.
IL CASTELLO
Tra le opere fortificate di epoca federiciana presenti in Puglia, il castello di Gioia del Colle è una di
quelle che conservano più integro l’impianto architettonico, definito dall’ampio cortile quadrangolare,
le poderose torri angolari e le cortine con paramento a conci bugnati.
L'originaria struttura di epoca bizantina fu ampliata in epoca normanna. Fin dal 1500 storici,
viaggiatori e studiosi hanno attribuito a Federico II la sistemazione definitiva del castello così come
appare attualmente.
Parte integrante della visita al monumentale Castello di Gioia del Colle sono le sale del Museo
Archeologico, dove è presente una sistematica esposizione dei numerosi corredi delle necropoli di
Monte Sannace e Santo Mola che coprono un ampio arco cronologico, dall’inizio del VI al III/II secolo
a.C. Vasi geometrici e figurati, armi in bronzo, fibule e statuine fittili definiscono la consueta
composizione dei corredi funerari del glorioso centro indigeno, ma anche delle più ampie comunità
peucete.
Castello Svevo di Gioia del Colle (Ba) ospitano dall’11 aprile al 28 giugno 2015 la mostra “Tavole
Barocche”, promossa dalla Regione Puglia e dal Comune di Gioia del Colle.
La mostra, a cura di Francesco Di Ciaula ed organizzata dalla società Sistema Museo, espone
dipinti raffiguranti nature morte, paesaggi e scene conviviali tra XVII e XVIII secolo, provenienti dalla
Collezione Corsi di Firenze conservata presso il Museo Bardini, una delle istituzioni museali più
importanti del capoluogo toscano.
L’esposizione è allestita nel Castello di Gioia del Colle, tra i più affascinanti manieri realizzati dalle
maestranze dell’Imperatore Federico II Hohenstaufen, il Sovrano tedesco che fece della Puglia del
XIII secolo la sua terra d’elezione.
Tra la magnifica Sala del Trono, così nominata per la presenza dell’imponente seggio reale, la Sala
del Camino, la Torre de’ Rossi e il Gineceo, si sviluppa armoniosamente la mostra, ricca di opere
importanti per la storia dell’arte del Seicento e del Settecento italiano e fiammingo, come quelle del
Gobbo dei Carracci, lo Spadino, Giovan Battista Ruoppolo, Jacopo da Empoli, Gian Domenico
Ferretti, della bottega dell’Arcimboldo e del seguito di Pieter Brueghel il Giovane.
Due le sezioni di mostra, incentrate sulla cultura del cibo e della tavola: la prima espone la
rappresentazione degli alimenti nel genere della natura morta, che si impone in maniera decisiva
nel Seicento. I dipinti sono dominati dalla variegata presenza di carni, selvaggina, pesci, frutti e
ortaggi realizzati da artisti soprattutto di ambito toscano e romano-napoletano. La seconda sezione,
arricchita dalle opere di autori fiamminghi, presenta i piaceri conviviali: prevalgono scene di
banchetto e di festa, riscontrabili sia nei rituali opulenti e fastosi delle classi aristocratiche sia nelle
immagini di contesti umili e popolari, nei quali l’alimentazione più che piacere della tavola diviene
ricerca di appagamento della fame.
LE SEZIONI
Il tema delle quaranta opere esposte, il cibo e la tavola, si rifà al mondo fisico puramente
rappresentato, in un contesto di pittura profana dell’epoca barocca, il cui chiaro richiamo alle
esperienze dei sensi conduce l’osservatore verso una visione seducente delle cose naturali.
La nascita della natura morta, al centro della prima sezione della mostra, è paradigmatica di un
interesse, presente già negli ultimi decenni del XVI secolo tra Fiandre e Italia settentrionale, della
possibilità di indagare il reale negli aspetti più dettagliati e “microscopici”, considerati “laterali” nella
pittura di storia. L’illusionismo, tutto teatrale, di credere di poter toccare, annusare, assaggiare i cibi
sul piano della tela, accentua questa visione di una riproduzione della realtà riconoscibile come vita
e vissuto quotidiano dove gli stessi alimenti, fuori da ogni intendimento retorico, suscitano desideri e
ricordi sensoriali.
Il processo di crescita e decadenza della frutta e dei vegetali, in connessione con l’idea del tempo
che scorre, pone la natura morta come specchio della vita della materia, le cui forme assumono più
o meno colore e spessore dall’impatto con la luce, l’unico elemento in grado di interagire con lo
spazio della scena.
Nella seconda sezione della mostra, illustrante i piaceri conviviali, i dipinti di ambito fiammingo e
francese, raffiguranti feste aristocratiche tra parchi e boschi, fanno riferimento alla fusione del
momento della tavola con l’intrattenimento di danze e musiche. Sempre fiamminghe le scene
campestri illustranti i pasti del mondo contadino e le colazioni borghesi, mentre nelle vedute urbane
del Settecento fiorentino si osserva la vita brulicante delle città, tra fiere e mercati.
Le dispense e le cucine, come luoghi della conservazione e della cottura dei cibi, assumono
anch’esse una rilevanza artistica, espressione di una concezione fortemente naturalistica e
verosimile della realtà, priva ormai del puro idealismo del Rinascimento.
LE OPERE
Come incipit del percorso di visita, accanto al trono di Federico, sono collocate la Primavera, l’Estate
e l’Inverno eseguiti dalla bottega dell’Arcimboldo, l’enigmatico pittore lombardo cinquecentesco, il
quale inventò la conversione del corpo umano in figura vegetale, facendo delle sue opere una
prefigurazione della nascita della natura “in posa”. Nell’insieme delle nature morte qui presenti
spiccano i dipinti, la Frutta e la Natura morta con cacciagione e frutta, legati a due tra gli esponenti
più rappresentativi del genere in Italia, come Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci e il
Maestro S.B., noto come lo Pseudo Salini, i quali riflettono le innovazioni caravaggesche dei primi
capolavori romani del Merisi, connotate da un intenso e “contemplativo” naturalismo.
Nel caso del secondo pittore si nota la ripresa di modelli nordici, nell’iconografia degli animali da
selvaggina, e una carica cromatica tipica della scuola napoletana del Seicento alla quale egli era
legato, che in mostra è splendidamente rappresentata dalla tela attribuita a Giovan Battista
Ruoppolo, la Natura morta di cucina.
La natura morta fiorentina è presente nelle opere della cerchia di Jacopo da Empoli, il pittore che,
formatosi sulla pittura manierista fiorentina, “importa” a Firenze nei primi decenni del XVII secolo il
nuovo genere proveniente dalle botteghe romane, tramite la presenza nelle collezioni Medicee di
varie tele raffiguranti “pose” di animali e vegetali.
I fasti del Barocco romano sono evocati dalla Natura morta di frutta e zucche di Giovanni Paolo
Castelli detto lo Spadino, e la grande tela di Michelangelo Pace detto da Campidoglio, Natura
morta di fiori e frutta con papere che si abbeverano ad una fontana.
La seconda parte della mostra è aperta dai convivi immersi liberamente nel contesto naturale di
parchi, boschetti e giardini, con l’allusione all’imprescindibile legame tra cibo ed Eros.
La cornice fiabesca delle tele fiamminghe qui esposte, Festa nel parco del Castello e Convivio, con i
meravigliosi sfondi di castelli dall’aspetto ancora medievale, dona alla scena un’atmosfera sognante
e ovattata, tipica della vita di corte.
Ancora di scuola fiamminga, della prima metà del Seicento, sono le due tele che illustrano la
piacevolezza del mangiare immersi nella natura, il Banchetto all’aperto e il Paesaggio estivo, nei
quali gli atteggiamenti dei personaggi richiamano una disinvoltura borghese nell’atto della
consumazione dei pasti e dello stare a tavola.
La presenza in mostra di un’opera come Interno di osteria con contadini, attribuibile a un artista del
seguito di Pieter Brueghel il Giovane, ci permette di cogliere l’elemento grottesco di una scena di
festa contadina, dove l’aspetto di preparazione e consumazione del pasto assume una grandissima
forza espressiva, tipica dell’arte bruegheliana.
La descrizione della vita umile degli ultimi, in una chiave legata ai costumi alimentari, viene espressa
dalla presenza di una tela del pittore del Settecento bolognese, Stefano Gherardini, Interno di
osteria con personaggi, formatosi sulla scia del Crespi, e da Il Pulcinella malato, eseguito da un
seguace di Pier Leone Ghezzi, il grande caricaturista romano attivo nella Roma della prima metà
del XVIII secolo.
In posizione dominante, nella bellissima Sala del Camino, svetta il Bacco e Arianna del pittore
Rococò fiorentino Gian Domenico Ferretti, il cui dipinto celebra il Dio del vino, dell’ebbrezza, della
trasformazione e della rigenerazione della vegetazione.
Seguendo un suadente percorso tra dipinti ricolmi di frutta, selvaggina, pesci, tavole imbandite e
paesaggi animati da feste aristocratiche, colazioni campestri e fiere cittadine, si assiste alla
rivelazione di una cultura artistica dominata dal trionfo della Natura mater, la procreatrice dei
prodotti della terra, raffigurata nei paesaggi come luogo di bucolico abbandono, dove Eros e le Dee
della fertilità e dell’abbondanza giacciono felici sul verde rigoglioso di un prato primaverile.
IL CASTELLO
Tra le opere fortificate di epoca federiciana presenti in Puglia, il castello di Gioia del Colle è una di
quelle che conservano più integro l’impianto architettonico, definito dall’ampio cortile quadrangolare,
le poderose torri angolari e le cortine con paramento a conci bugnati.
L'originaria struttura di epoca bizantina fu ampliata in epoca normanna. Fin dal 1500 storici,
viaggiatori e studiosi hanno attribuito a Federico II la sistemazione definitiva del castello così come
appare attualmente.
Parte integrante della visita al monumentale Castello di Gioia del Colle sono le sale del Museo
Archeologico, dove è presente una sistematica esposizione dei numerosi corredi delle necropoli di
Monte Sannace e Santo Mola che coprono un ampio arco cronologico, dall’inizio del VI al III/II secolo
a.C. Vasi geometrici e figurati, armi in bronzo, fibule e statuine fittili definiscono la consueta
composizione dei corredi funerari del glorioso centro indigeno, ma anche delle più ampie comunità
peucete.
11
aprile 2015
Tavole Barocche
Dall'undici aprile al 28 giugno 2015
arte antica
Location
CASTELLO NORMANNO SVEVO
Gioia Del Colle, Corso Vittorio Emanuele, (Bari)
Gioia Del Colle, Corso Vittorio Emanuele, (Bari)
Biglietti
intero 2,50 euro / ridotto 1,25 euro ai cittadini dell’Unione Europea da 18 a 25 anni / omaggio sotto i 18 anni
Orario di apertura
tutti i giorni 8.30 - 19.30
Curatore