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Tiziana Cera Rosco – Holocene
SATURA art gallery presenta i lavori più recenti di Tiziana Cera Rosco, in cui il corpo dell’artista, la natura selvatica, i tre diversi piani temporali e la poesia si fondono in un unicum personale eppure universale.
Comunicato stampa
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Con “Holocene” Tiziana Cera Rosco presenta i suoi nuovi lavori legandoli alla ricerca dello spirito dei luoghi e del corpo. Ed è infatti proprio con quest’ultimo che riusciamo a leggere il percorso che l’artista sembrerebbe volerci far compiere. A differenza che nella produzione precedente, in cui si affaccendava una serie numerosissima di calchi di viso e busto, a volte lacerati, passati per il fuoco, preda di una ferita inguaribile e sempre aperta, ricchi di questa apertura che si innestava con corna e alberi e che duplicava visi come in una composizione di movimento (si contano all’attivo circa 450 calchi), i corpi di questa produzione paiono reperti, resti rinvenuti da un passato remotissimo, che hanno subito metamorfosi non si comprende se durante la loro vita o in seguito ad essa. Si rimane così nell’ambiguità del capire se sono forme che ci hanno preceduto o resti di noi, come ci ritroveranno nel futuro, primitivi come siamo. I materiali usati sono il gesso, la canapa e il bitume, a cui si uniscono reperti animali e vegetali. Sembrano corpi che declinano una preghiera, l’emersione di quello che è resistito al tempo ed è per questo divenuto eterno a se stesso, il rintracciamento di qualcosa di sacro a cui l’artista non smette di lavorare.
A questi corpi femminili, che sono sempre un rimodellamento del proprio, si unisce l’esposizione di diversi altri reperti di lavoro: guanti necessari alla loro cura, radici, alberi sotto vetro, una figura femminile protettiva che sembra unire la coraggiosa Giuditta alla ferita Medusa (due forme diverse - e due destini diversi - della decapitazione), tracce di performance iniziate nel bosco. Anche in questo caso i luoghi suggeriscono l’anima del lavoro. Su uno schermo, senza distinzione di didascalia, scorrono le immagini dei luoghi che l’artista sente propri: l’Abruzzo, dove l’artista è cresciuta, soprattutto il lago e il bosco, in cui ha iniziato la sua ricerca di una preghiera muta e deformante che l’ha vista trasformarsi in un totem selvatico, e l’Islanda, terra che tra ghiacciai e zolfi, ha dato una svolta al suo lavoro anche nei riguardi della scrittura. Infatti, ogni frammento di corpo porta come titolo un frammento di versi che l’artista stessa, che è anche poetessa, rinviene dalla sua memoria. Ne sono un esempio “il mio fondo inumano sarà manifesto”, “vedremo il nostro linguaggio scoperchiarsi”, “sono l’animale a cui non ho più bisogno di credere”, “my hearth is not here”, versi che sembrano suggerirci quello che la poesia ci impedisce di dimenticare ossia l’enigma che riguarda la vita per quel che è e che non recuperiamo mai in forma narrativa, ma solo per illuminazioni.
L’Holocene di questo lavoro risiede in questo tipo di civiltà rinvenuta per frammenti. La Cera Rosco ha sempre lavorato esclusivamente con l’immagine del proprio corpo e con la propria sembianza, usandola così tanto, dagli autoscatti ai calchi sempre originali (data la sua ossessione per l’opera non riproducibile), da far “scomparire” la sua figura, superandola in un universale.
“C’è una sorta di disgelo da qualche parte in questi nuovi lavori, che mette calore in zone che poi riabito da grandi lontananze. La scomparsa di se stessi è un ritrovamento continuo. Come dal futuro. Un futuro remoto del quale, come dissotterrando, rinvengo le tracce”. Potremmo concludere così, con le sue parole, il senso dell’Holocene.
A questi corpi femminili, che sono sempre un rimodellamento del proprio, si unisce l’esposizione di diversi altri reperti di lavoro: guanti necessari alla loro cura, radici, alberi sotto vetro, una figura femminile protettiva che sembra unire la coraggiosa Giuditta alla ferita Medusa (due forme diverse - e due destini diversi - della decapitazione), tracce di performance iniziate nel bosco. Anche in questo caso i luoghi suggeriscono l’anima del lavoro. Su uno schermo, senza distinzione di didascalia, scorrono le immagini dei luoghi che l’artista sente propri: l’Abruzzo, dove l’artista è cresciuta, soprattutto il lago e il bosco, in cui ha iniziato la sua ricerca di una preghiera muta e deformante che l’ha vista trasformarsi in un totem selvatico, e l’Islanda, terra che tra ghiacciai e zolfi, ha dato una svolta al suo lavoro anche nei riguardi della scrittura. Infatti, ogni frammento di corpo porta come titolo un frammento di versi che l’artista stessa, che è anche poetessa, rinviene dalla sua memoria. Ne sono un esempio “il mio fondo inumano sarà manifesto”, “vedremo il nostro linguaggio scoperchiarsi”, “sono l’animale a cui non ho più bisogno di credere”, “my hearth is not here”, versi che sembrano suggerirci quello che la poesia ci impedisce di dimenticare ossia l’enigma che riguarda la vita per quel che è e che non recuperiamo mai in forma narrativa, ma solo per illuminazioni.
L’Holocene di questo lavoro risiede in questo tipo di civiltà rinvenuta per frammenti. La Cera Rosco ha sempre lavorato esclusivamente con l’immagine del proprio corpo e con la propria sembianza, usandola così tanto, dagli autoscatti ai calchi sempre originali (data la sua ossessione per l’opera non riproducibile), da far “scomparire” la sua figura, superandola in un universale.
“C’è una sorta di disgelo da qualche parte in questi nuovi lavori, che mette calore in zone che poi riabito da grandi lontananze. La scomparsa di se stessi è un ritrovamento continuo. Come dal futuro. Un futuro remoto del quale, come dissotterrando, rinvengo le tracce”. Potremmo concludere così, con le sue parole, il senso dell’Holocene.
13
gennaio 2018
Tiziana Cera Rosco – Holocene
Dal 13 al 27 gennaio 2018
arte contemporanea
Location
SATURA – PALAZZO STELLA
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15:00 – 19:00
Vernissage
13 Gennaio 2018, h 17.00
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