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Uberto Gasche – Zenana
L’Associazione Culturale Valentina Moncada è lieta di presentare una selezione di dodici fotografie di Uberto Gasche. L’artista vive e lavora a Villa Savoia a Roma, magico luogo fuori dal tempo che ha ereditato per discendenza, e dove ambienta molta parte dei suoi lavori.
Comunicato stampa
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Ciò che più affascina alla visita del suo studio è la compresenza delle numerose opere d'arte antica di cui è appassionato collezionista, e di grossi scatoloni contenenti un importante archivio fotografico: vecchie foto che sono tracce documentarie della storia passata della sua prestigiosa famiglia e, insieme, del passato storico del nostro paese, ma soprattutto rappresentano per Gasche saggi di studio della fotografia ai suoi albori; eredità ed esperienza alle quali è intimamente legato, ragione prima della natura del suo percorso.
Protagonista indiscussa della ricerca fotografica di Uberto Gasche è la vocazione "alla riscoperta delle atmosfere rarefatte e pur persistenti che l'avventura dell'esistenza sparge inevitabilmente intorno a sé" (S. Pandolfi). I segni del tempo sono rappresentati, nel personalissimo déjà-vu delle sue fotografie, dalle cose appartenute, dalla natura e dai suoi protagonisti - gli animali, in particolare gli amatissimi cani, da bellissime donne sognate - misteriose presenze senza tempo, ora divinità colte nella spontaneità di un gesto quotidiano, ora nobildonne affiancate da eleganti levrieri, ora vivide statue per i prospetti di classicheggianti residenze nobiliari o ermetici emblemi da decifrare. Un lirismo quasi onirico avvolge le magiche creature dello Zenana (così l'autore ama definire la sua particolarissima famiglia "acquisita") inscenato alla Galleria Moncada, lirismo che maschera appena il desiderio di tornare a possederle, a sognarle, in un ritorno alle origini che si perde alle soglie della coscienza.
Quanto queste immagini, contraddistinte da una straordinaria qualità estetica, siano debitrici all'attento e devoto studio condotto da Gasche sulle vecchie foto sbiadite, lo dicono la scelta delle pose, vicine alla ritrattistica ufficiale della tradizione pittorica ottocentesca (da cui inevitabilmente derivano i primi esperimenti fotografici); e l'utilizzo irrinunciabile di un color seppia che, aiutato da un supporto materico volutamente invecchiato, sortisce sulla fotografia lo stesso effetto del tempo trascorso. Proprio con il mito del colore, che concepisce come realtà luminosa che si coagula attorno alla forma, l'artista intrattiene un dialogo ambizioso ed affascinante. Abilmente, senza scendere a compromessi con il mezzo fotografico, anzi riducendolo a semplice utensile allo scopo di raccontarsi in libertà, usa improbabili azzurri, strani rossi pompeiani, verdi ingialliti come chiave interpretativa di misteriosi enigmi temporali. L'intuizione felice nelle soluzioni fotografiche adottate, lo stesso abbandonarsi appena percettibile al didascalico in alcuni casi, danno la misura dello sforzo di immedesimazione del fotografo nell'ordinata follia della "memoria".
Uberto Gasche (Alessandria d'Egitto, 1951) inizia la sua attività di fotografo nel 1979, collaborando con il Giornale "Lei" ed altre riviste. Tra le mostre in Italia e all'estero ricordiamo la prima personale alla galleria romana "Il Fotogramma" (1981), una mostra di foto dedicate alle creazioni di moda di Roberto Capucci; la partecipazione in Giappone alla collettiva curata dalla Calcografia Nazionale "La moda italiana dal 1920-1980" (1983); e l'esposizione "Figure" presentata da Sandro Pandolfi presso la Galleria Futura del Borgo di Calcata (1984). Ancora al suo attivo le recenti esposizioni al Palazzo Ruspoli di Roma, a Genova e a Napoli.
Assiduo viaggiatore che ha eletto a sue mete predilette l'Egitto e il Rajastan, tra i più noti allevatori di cani Mastiff, vive con intensità e passione ogni attimo della sua vita, in cui nessuna attività (l'arte, gli incontri o la cura dei cani…) è a sé stante bensì parte di un tutt'uno.
Protagonista indiscussa della ricerca fotografica di Uberto Gasche è la vocazione "alla riscoperta delle atmosfere rarefatte e pur persistenti che l'avventura dell'esistenza sparge inevitabilmente intorno a sé" (S. Pandolfi). I segni del tempo sono rappresentati, nel personalissimo déjà-vu delle sue fotografie, dalle cose appartenute, dalla natura e dai suoi protagonisti - gli animali, in particolare gli amatissimi cani, da bellissime donne sognate - misteriose presenze senza tempo, ora divinità colte nella spontaneità di un gesto quotidiano, ora nobildonne affiancate da eleganti levrieri, ora vivide statue per i prospetti di classicheggianti residenze nobiliari o ermetici emblemi da decifrare. Un lirismo quasi onirico avvolge le magiche creature dello Zenana (così l'autore ama definire la sua particolarissima famiglia "acquisita") inscenato alla Galleria Moncada, lirismo che maschera appena il desiderio di tornare a possederle, a sognarle, in un ritorno alle origini che si perde alle soglie della coscienza.
Quanto queste immagini, contraddistinte da una straordinaria qualità estetica, siano debitrici all'attento e devoto studio condotto da Gasche sulle vecchie foto sbiadite, lo dicono la scelta delle pose, vicine alla ritrattistica ufficiale della tradizione pittorica ottocentesca (da cui inevitabilmente derivano i primi esperimenti fotografici); e l'utilizzo irrinunciabile di un color seppia che, aiutato da un supporto materico volutamente invecchiato, sortisce sulla fotografia lo stesso effetto del tempo trascorso. Proprio con il mito del colore, che concepisce come realtà luminosa che si coagula attorno alla forma, l'artista intrattiene un dialogo ambizioso ed affascinante. Abilmente, senza scendere a compromessi con il mezzo fotografico, anzi riducendolo a semplice utensile allo scopo di raccontarsi in libertà, usa improbabili azzurri, strani rossi pompeiani, verdi ingialliti come chiave interpretativa di misteriosi enigmi temporali. L'intuizione felice nelle soluzioni fotografiche adottate, lo stesso abbandonarsi appena percettibile al didascalico in alcuni casi, danno la misura dello sforzo di immedesimazione del fotografo nell'ordinata follia della "memoria".
Uberto Gasche (Alessandria d'Egitto, 1951) inizia la sua attività di fotografo nel 1979, collaborando con il Giornale "Lei" ed altre riviste. Tra le mostre in Italia e all'estero ricordiamo la prima personale alla galleria romana "Il Fotogramma" (1981), una mostra di foto dedicate alle creazioni di moda di Roberto Capucci; la partecipazione in Giappone alla collettiva curata dalla Calcografia Nazionale "La moda italiana dal 1920-1980" (1983); e l'esposizione "Figure" presentata da Sandro Pandolfi presso la Galleria Futura del Borgo di Calcata (1984). Ancora al suo attivo le recenti esposizioni al Palazzo Ruspoli di Roma, a Genova e a Napoli.
Assiduo viaggiatore che ha eletto a sue mete predilette l'Egitto e il Rajastan, tra i più noti allevatori di cani Mastiff, vive con intensità e passione ogni attimo della sua vita, in cui nessuna attività (l'arte, gli incontri o la cura dei cani…) è a sé stante bensì parte di un tutt'uno.
06
ottobre 2004
Uberto Gasche – Zenana
Dal 06 ottobre al 04 novembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA VALENTINA MONCADA
Roma, Via Margutta, 54, (Roma)
Roma, Via Margutta, 54, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 20. La mattina solo su appuntamento
Vernissage
6 Ottobre 2004, ore 19.00