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Umberto Chiusi – Come non altri
La Galleria ab/arte presenta il ritorno alla poesia dello scrittore Umberto Chiusi con la sua terza raccolta dal titolo “Come non altri” dedicata al mondo dei diversamente abili e alla gioia di essere stato con loro per lungo tempo.
Comunicato stampa
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Una raccolta di poesie di Umberto Chiusi
Come non altri
Edizioni ab/arte
Nella vita ci sono momenti significativi pieni di gioia e semplicità da cui attingiamo forza, e il quotidiano assume questo valore quando lo scopo è quello di aiutare. E’ avvicinandomi ai diversamente abili che quei momenti sono diventati speciali nella capacità di avermi insegnato molte cose. Soprattutto il sussurrare ogni bene, cancellando il superfluo e dandomi la possibilità di intraprendere un viaggio dentro la vita e i suoi misteri.
La storia che vi sto per raccontare ricorda la mia presenza presso l’Istituto Tonini - Boninsegna, che ho frequentato dal 1992 al 2007, e dove ho conosciuto Livio e i suoi compagni cui dedico queste pagine e con loro a quanti “come non altri”.
Livio era in questo Centro per diversamente abili insieme ad altri compromessi da un ritardo mentale. Pochi sanno come vivono le loro giornate questi ragazzi. Giorni e notti che si susseguono nelle stagioni della vita come frammenti di un puzzle da comporre e mai finito, mai risolto, in un “fare” scandito da emozioni lungo le vie della sofferenza e della speranza, in quella casa dove il tempo si perde tra il verde della montagna che guarda Brescia.
Livio aveva all’incirca trenta anni, ma era come un bambino che passava ore accanto a un tavolo dove soleva colorare fogli di carta da lui stesso disegnati. Era il suo passatempo preferito. Disegnava e colorava case con alberi e fiori, paesaggi, e due figure: una donna ed un uomo, cui dava il nome di Simona e Patrizio. Seppi, in seguito, che Simona era una ragazza malata come lui che aveva conosciuto in un altro Centro, mentre Patrizio probabilmente un parente o forse …. chissà chi! La malattia lo limitava nei movimenti pur non privandolo nel disbrigo dei bisogni primari quali, vestirsi, svestirsi, lavarsi, mangiare, sempre comunque con la guida e/o la supervisione dell’educatore o dell’assistente. Aveva un viso tondo con la fronte spaziosa che lo faceva assomigliare al Sole, come quello rappresentato nei suoi disegni, a volte triste, a volte sorridente. Rimanevo seduto accanto a lui tra i colori, le matite e i fogli che usava e nessuno poteva toccare.
Livio era fatto cosi! Il suo mondo era rappresentato da piccole cose e poche esigenze. Nei tratti del suo disagio c’era anche l’epilessia che si manifestava come una tempesta a ciel sereno, a travolgere e a lasciare il corpo privo di sensi. Però non lo sentivo mai lamentarsi, anche quando la sofferenza fisica lo stancava.
Oggi ricordando quel tempo scopro che forse sono rimasto perché volevo capire quel mondo a me sconosciuto, dietro a quegli alberi e quelle siepi che per molti formano una barriera impenetrabile, per una società distratta che spesso non vuole vedere né sentire. Forse fu proprio la voce silenziosa di Livio, che mi aveva donato un suo disegno dove il Sole assumeva - a suo modo - un’espressione felice. Poi non solo Livio, anzi sicuramente Livio e gli altri ospiti: attraverso loro trovavo la mia serenità, tanto da poter affermare che ho ricevuto più di quanto ho dato.
Loro, sì, guardano alla vita, pur nella sopravvivenza condizionata dalla malattia, e tutto ciò mi ha colpito, tanto che ancora oggi faccio fatica ad accettarlo. Ma poi penso che la loro “casa”, la loro comunità, in certi momenti diventa l’universo e tutto il resto non ha importanza quand’anche le cose più semplici fanno la differenza, ad iniziare dalla libertà. Ma cos’è la libertà?
E’ quella di riuscire nonostante tutto a convivere ogni momento della giornata con la malattia, che ti condiziona e ti rode l’anima, che nel tempo raggiunge un modus vivendi ad appagare le domande esistenziali in un luogo che è tutto il tuo mondo, e vederlo come uno scrigno che accoglie le sensazioni più segrete, che non possiamo più scordarci, noi - figli di una civiltà convulsa - che non accetta ritardatari né di conoscere l’amore nella sua forma intera. Fino a quando non ti arriva una domanda, e fu lo stesso Livio a farmela: “E tu come ti trovi con noi?”.
Non avevo una risposta, o almeno non subito. Farfugliai un “… bene”, ma sapevo che dovevo soprattutto a me stesso una risposta. Per ora la rimandavo, ma fino a quando? Quando avrei dato un senso alle pagine di vita di questi ragazzi? Quando avrei dato una chiave di lettura a quelle esistenze negate? Così Livio, quasi a leggere i miei pensieri, mi sorrise e sembrava dirmi: “ Ci sono cose che non puoi sapere, che appartengono alla solitudine del tempo che passa. Sono cose da non confessare a nessuno, da tenere per sé e donare alla poesia”. Ed eccomi qui a riflettere su quanto il cuore di Livio mi aveva sussurrato mentre lo guardavo andare come una rondine che vola nel buio della notte, tornando sempre al suo tavolo come ad un nido mentre io sapevo che avrei aggiunto giorni nuovi a quella esperienza unica e irripetibile.
Pochi versi per raccogliere quei momenti d’affetto e vicinanza come energia vitale, per superare i momenti tristi di una mancanza che si stempera nella memoria dei loro sorrisi, nella semplicità di vivere per guardare l’alba. Di quei giorni mi rimane la dimensione di un abbraccio, l’ultimo, che continuerà a illuminare la mia via.
Umberto Chiusi
Come non altri
Edizioni ab/arte
Nella vita ci sono momenti significativi pieni di gioia e semplicità da cui attingiamo forza, e il quotidiano assume questo valore quando lo scopo è quello di aiutare. E’ avvicinandomi ai diversamente abili che quei momenti sono diventati speciali nella capacità di avermi insegnato molte cose. Soprattutto il sussurrare ogni bene, cancellando il superfluo e dandomi la possibilità di intraprendere un viaggio dentro la vita e i suoi misteri.
La storia che vi sto per raccontare ricorda la mia presenza presso l’Istituto Tonini - Boninsegna, che ho frequentato dal 1992 al 2007, e dove ho conosciuto Livio e i suoi compagni cui dedico queste pagine e con loro a quanti “come non altri”.
Livio era in questo Centro per diversamente abili insieme ad altri compromessi da un ritardo mentale. Pochi sanno come vivono le loro giornate questi ragazzi. Giorni e notti che si susseguono nelle stagioni della vita come frammenti di un puzzle da comporre e mai finito, mai risolto, in un “fare” scandito da emozioni lungo le vie della sofferenza e della speranza, in quella casa dove il tempo si perde tra il verde della montagna che guarda Brescia.
Livio aveva all’incirca trenta anni, ma era come un bambino che passava ore accanto a un tavolo dove soleva colorare fogli di carta da lui stesso disegnati. Era il suo passatempo preferito. Disegnava e colorava case con alberi e fiori, paesaggi, e due figure: una donna ed un uomo, cui dava il nome di Simona e Patrizio. Seppi, in seguito, che Simona era una ragazza malata come lui che aveva conosciuto in un altro Centro, mentre Patrizio probabilmente un parente o forse …. chissà chi! La malattia lo limitava nei movimenti pur non privandolo nel disbrigo dei bisogni primari quali, vestirsi, svestirsi, lavarsi, mangiare, sempre comunque con la guida e/o la supervisione dell’educatore o dell’assistente. Aveva un viso tondo con la fronte spaziosa che lo faceva assomigliare al Sole, come quello rappresentato nei suoi disegni, a volte triste, a volte sorridente. Rimanevo seduto accanto a lui tra i colori, le matite e i fogli che usava e nessuno poteva toccare.
Livio era fatto cosi! Il suo mondo era rappresentato da piccole cose e poche esigenze. Nei tratti del suo disagio c’era anche l’epilessia che si manifestava come una tempesta a ciel sereno, a travolgere e a lasciare il corpo privo di sensi. Però non lo sentivo mai lamentarsi, anche quando la sofferenza fisica lo stancava.
Oggi ricordando quel tempo scopro che forse sono rimasto perché volevo capire quel mondo a me sconosciuto, dietro a quegli alberi e quelle siepi che per molti formano una barriera impenetrabile, per una società distratta che spesso non vuole vedere né sentire. Forse fu proprio la voce silenziosa di Livio, che mi aveva donato un suo disegno dove il Sole assumeva - a suo modo - un’espressione felice. Poi non solo Livio, anzi sicuramente Livio e gli altri ospiti: attraverso loro trovavo la mia serenità, tanto da poter affermare che ho ricevuto più di quanto ho dato.
Loro, sì, guardano alla vita, pur nella sopravvivenza condizionata dalla malattia, e tutto ciò mi ha colpito, tanto che ancora oggi faccio fatica ad accettarlo. Ma poi penso che la loro “casa”, la loro comunità, in certi momenti diventa l’universo e tutto il resto non ha importanza quand’anche le cose più semplici fanno la differenza, ad iniziare dalla libertà. Ma cos’è la libertà?
E’ quella di riuscire nonostante tutto a convivere ogni momento della giornata con la malattia, che ti condiziona e ti rode l’anima, che nel tempo raggiunge un modus vivendi ad appagare le domande esistenziali in un luogo che è tutto il tuo mondo, e vederlo come uno scrigno che accoglie le sensazioni più segrete, che non possiamo più scordarci, noi - figli di una civiltà convulsa - che non accetta ritardatari né di conoscere l’amore nella sua forma intera. Fino a quando non ti arriva una domanda, e fu lo stesso Livio a farmela: “E tu come ti trovi con noi?”.
Non avevo una risposta, o almeno non subito. Farfugliai un “… bene”, ma sapevo che dovevo soprattutto a me stesso una risposta. Per ora la rimandavo, ma fino a quando? Quando avrei dato un senso alle pagine di vita di questi ragazzi? Quando avrei dato una chiave di lettura a quelle esistenze negate? Così Livio, quasi a leggere i miei pensieri, mi sorrise e sembrava dirmi: “ Ci sono cose che non puoi sapere, che appartengono alla solitudine del tempo che passa. Sono cose da non confessare a nessuno, da tenere per sé e donare alla poesia”. Ed eccomi qui a riflettere su quanto il cuore di Livio mi aveva sussurrato mentre lo guardavo andare come una rondine che vola nel buio della notte, tornando sempre al suo tavolo come ad un nido mentre io sapevo che avrei aggiunto giorni nuovi a quella esperienza unica e irripetibile.
Pochi versi per raccogliere quei momenti d’affetto e vicinanza come energia vitale, per superare i momenti tristi di una mancanza che si stempera nella memoria dei loro sorrisi, nella semplicità di vivere per guardare l’alba. Di quei giorni mi rimane la dimensione di un abbraccio, l’ultimo, che continuerà a illuminare la mia via.
Umberto Chiusi
19
novembre 2011
Umberto Chiusi – Come non altri
19 novembre 2011
serata - evento
Location
GALLERIA AB/ARTE
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Vernissage
19 Novembre 2011, ore 18
Autore