Valerio Giuffrè, medico, ha scritto otto libri di filosofia; l’ultimo è uscito due mesi fa. Quando parla di filosofia è un fiume in piena, inarrestabile; non lo riesco a seguire, cerco di riportarlo allora sulla pittura: la sua seconda passione. Ha esposto in questa galleria più volte, la prima volta nel 2004: in una parete venti facce con connotati completamente differenti tracciati con segno veloce con qualche reminiscenza picassiana; nelle altre pareti grandi quadri di personaggi vicini alla filosofia. Mi ricordo di due grandi tele (1,30 x 1) ispirate alla Repubblica di Platone, disegnate con la penna a biro, con segni strettissimi e continui, per ottenere i chiaroscuri, e qualche chiazza di colore. In ultimo, un quadro di media grandezza (90x60), con una grossa cornice in noce, rappresenta una donna - un mezzo busto - pensosa, con la testa reclinata su un lato, enigmatica, una specie di Gioconda cubista: l’autore sembra completamente innamorato dal suo personaggio. Da questa breve descrizione s’intuisce la personalità poliedrica di Valerio Giuffrè. Oggi ha abbandonato la figura. Nella sua ricerca dell’assoluto pittorico è approdato ad un astrattismo geometrico, coloristico, in cui è fondamentale un equilibrio delle varie parti in un sistema fatto di pesi e contrappesi: linee, superfici, colori, ognuno ha un suo peso secondo grandezza, ritmo, spessori, tonalità, timbro. Nella mostra l’artista porrà a confronto alcuni quadri del precedente periodo pittorico con quello attuale.