Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Vincenzo Politino
personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Critica
IL VERDE DELL'ERBA
Marco Goldin
I
Fin da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un tortissimo desiderio di spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro la vastità inestinguibile dei confini. C'era, in quelle immagini, un senso di devozione alla terra, come riandare alla culla, alla sorgente, alla ragione prima dell'esistenza, al suo stesso motivo. Si poteva dire una pittura dell'anima, ma della storia dell'anima. Come se tutto quell'armamentario di natura fosse stato il culmine di una memoria prenatale, fiorita nel momento della nascita, e così forte da non aver più abbandonato gli occhi del pittore. Perché altro non era che un fiorire perenne di ulivi, nuvole sfrangiate e scheggiate, statue sul limitare di un giardino che non era un giardino gozzoniano, ma il rigoglioso verdeggiare senza malinconia del grande cortile dell'infanzia. Così è sembrato che tutto il lavoro di Politino, fino a questa metà di decennio, fosse in misura particolare lo struggimento per una terra abbandonata, e poi ricercarne i segni, i confini smarriti nell'aria, l'azzurro tonante sopra la campagna di Avola, il pietrisco, i muretti a segnare le distanze. Qualcosa di intoccabile dentro il ricordo, perché la Sicilia solo andandoci, solo percorrendola, solo vivendola si può capire cosa significhi. Dunque la pittura è stata per un lungo tratto di strada soprattutto nostalgia, eppure mai angosciata e invece musicale, piena di grazia, viva nei suoi colori.
II
Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quel suo quaderno - poteva essere più o meno la fine degli anni ottanta - nel quale avrebbe potuto scrivere : " Vivo qui da molto tempo, poco per volta il ritorno mi è sempre più difficile. La lontananza mi sembra accresca l'amore e l'amore capita si esprima meglio nella sofferenza degli spazi. No, non intendo qualcosa di doloroso, la mia pittura per il momento non ne è capace. E' solo il senso della distanza, di tutto questo cielo che c'è tra il mio io di adesso e quello di prima. Non voglio più vedere, ma solo ricordare. Vedere sarebbe oggi una contemporaneità col passato e il tempo sta invece avvolto in un diverso mantello, e da questo voglio farmi fasciare. Così, dipingo da questo studio la natura di Sicilia, più come un battito, un rintocco che come una visione. Oppure un vedere prolungato, che non è mai finito dal momento in cui è cominciato. Forse per questo non sento il bisogno di ritornare, di rimettermi in cammino per scendere al mare dalle strade del paese o inoltrarmi invece nella campagna arsa del principio dell'estate. Certo, non posso immaginare la bellezza senza sapere che quella terra esiste, che su quella terra sono passati gli dei, gli eroi.
Ho creduto talvolta che tutta quella bellezza mi mettesse perfino soggezione, e per questo avevo il bisogno di concepirla come un'assenza, o ancor meglio una distanza. Nello studio di una città lontana mi sentivo protetto, riparato, in qualche modo al sicuro. Ho scelto dunque si coltivare ancora e sempre il paesaggio di Sicilia come un'illusione, uno schianto attutito, la misura perfetta del ricordo".
IlI
Ma a un certo punto, proprio quando questa memoria siciliana poteva anche dare il senso di una certa stanchezza, nelle stanze dove Politino dipinge hanno cominciato a comparire quadri un po' eccentrici, sui quali pareva agire un sentimento nuovo della natura, come se un vento non prepotente, ma neppure lieve, fosse trascorso sui campi prima inzuccherati di quelle nuvole di cotone. Quadri che inizialmente si vedevano come un incidente nel percorso, magari nascosti sotto a molti altri perché non confondessero le idee. Ma poi era forte il desiderio di far loro risalire la china, per vederli non come irregolarità nel cammino e invece quale nuova strada maestra.
Si sa cosa succede in questi casi: il pittore è timoroso di far torto a collezionisti e gallerie, di fare improvvisamente apparire un volto nuovo, e chissà se ugualmente apprezzato. Allora, di solito, si percorre un doppio binario, finché non ci si senta così sicuri da imboccarne uno soltanto. Questo è accaduto a Politino, a partire dalla metà degli anni novanta. Dapprima in silenzio, quasi con un senso di fastidio per immagini che sorgevano diverse, forse non richieste, ma poi, certamente dal 1997, con la determinazione delle imprese che si sentono ormai definitivamente proprie. E allora il lavoro è fluito via senza più remore, nella consapevolezza che il paesaggio non era più coscienza dell'infanzia ma era diventato splendente, umidissimo risultato di una vera maturità.
Dunque sono cambiati gli angoli, la visuale s'è assottigliata, la natura ha perso la sua intonazione lievemente barocca che l'aveva fin qui caratterizzata. E' come se d'incanto il pittore avesse sentito il bisogno di una parola più secca, perché la bellezza potesse diventare, infine, inestinguibile. Come se egli avesse deciso di concentrarsi sulla durata di un tempo sorto non più dalla visione, ma anche, e forse soprattutto, dallo stringersi delle ragioni del cuore. La natura ha cessato di essere invenzione e si è fatta straziato pulsare degli occhi. Il vedere è diventato subito esperienza.
IV
Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quell'altro suo quaderno - dovrebbe essere più o meno di questi giorni - nel quale la conclusione potrebbe suonare circa così: " Chissà perché, giunto a questo momento della vita, non c'è stata più la possibilità di andare al passato come a una fonte benedetta, e ho dovuto rischiare ricominciando tutto dal principio, come non avessi mai dipinto niente prima. Che sensazione strana, essere senza storia, senza infanzia, senza un padre e una madre, senza le foto ricordo da potere, se non vedere, almeno, appunto, ricordare, e invece prendere in mano tutto questo verde spalmato sui fogli, spargerlo a piene mani senza paura e dipingere prati, declivi, colline, laghi cosparsi di bianche foglie sorgenti. E poi prendere un po' di giallo, metterlo sulla carta per dei girasoli contorti, straziati, che a me paiono dolcissimi, il segno stesso della vita. Ecco, se c'è una cosa che adesso mi sembra, è che ho incontrato la vita dal suo lato più vero, quello che se ti prende un colpo di vento non c'è nessuna finzione che ti può riparare. Ho pensato di dipingere la natura cosi, senza riposo, senza protezione, come un silenzio che crepita e gorgoglia".
IL VERDE DELL'ERBA
Marco Goldin
I
Fin da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un tortissimo desiderio di spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro la vastità inestinguibile dei confini. C'era, in quelle immagini, un senso di devozione alla terra, come riandare alla culla, alla sorgente, alla ragione prima dell'esistenza, al suo stesso motivo. Si poteva dire una pittura dell'anima, ma della storia dell'anima. Come se tutto quell'armamentario di natura fosse stato il culmine di una memoria prenatale, fiorita nel momento della nascita, e così forte da non aver più abbandonato gli occhi del pittore. Perché altro non era che un fiorire perenne di ulivi, nuvole sfrangiate e scheggiate, statue sul limitare di un giardino che non era un giardino gozzoniano, ma il rigoglioso verdeggiare senza malinconia del grande cortile dell'infanzia. Così è sembrato che tutto il lavoro di Politino, fino a questa metà di decennio, fosse in misura particolare lo struggimento per una terra abbandonata, e poi ricercarne i segni, i confini smarriti nell'aria, l'azzurro tonante sopra la campagna di Avola, il pietrisco, i muretti a segnare le distanze. Qualcosa di intoccabile dentro il ricordo, perché la Sicilia solo andandoci, solo percorrendola, solo vivendola si può capire cosa significhi. Dunque la pittura è stata per un lungo tratto di strada soprattutto nostalgia, eppure mai angosciata e invece musicale, piena di grazia, viva nei suoi colori.
II
Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quel suo quaderno - poteva essere più o meno la fine degli anni ottanta - nel quale avrebbe potuto scrivere : " Vivo qui da molto tempo, poco per volta il ritorno mi è sempre più difficile. La lontananza mi sembra accresca l'amore e l'amore capita si esprima meglio nella sofferenza degli spazi. No, non intendo qualcosa di doloroso, la mia pittura per il momento non ne è capace. E' solo il senso della distanza, di tutto questo cielo che c'è tra il mio io di adesso e quello di prima. Non voglio più vedere, ma solo ricordare. Vedere sarebbe oggi una contemporaneità col passato e il tempo sta invece avvolto in un diverso mantello, e da questo voglio farmi fasciare. Così, dipingo da questo studio la natura di Sicilia, più come un battito, un rintocco che come una visione. Oppure un vedere prolungato, che non è mai finito dal momento in cui è cominciato. Forse per questo non sento il bisogno di ritornare, di rimettermi in cammino per scendere al mare dalle strade del paese o inoltrarmi invece nella campagna arsa del principio dell'estate. Certo, non posso immaginare la bellezza senza sapere che quella terra esiste, che su quella terra sono passati gli dei, gli eroi.
Ho creduto talvolta che tutta quella bellezza mi mettesse perfino soggezione, e per questo avevo il bisogno di concepirla come un'assenza, o ancor meglio una distanza. Nello studio di una città lontana mi sentivo protetto, riparato, in qualche modo al sicuro. Ho scelto dunque si coltivare ancora e sempre il paesaggio di Sicilia come un'illusione, uno schianto attutito, la misura perfetta del ricordo".
IlI
Ma a un certo punto, proprio quando questa memoria siciliana poteva anche dare il senso di una certa stanchezza, nelle stanze dove Politino dipinge hanno cominciato a comparire quadri un po' eccentrici, sui quali pareva agire un sentimento nuovo della natura, come se un vento non prepotente, ma neppure lieve, fosse trascorso sui campi prima inzuccherati di quelle nuvole di cotone. Quadri che inizialmente si vedevano come un incidente nel percorso, magari nascosti sotto a molti altri perché non confondessero le idee. Ma poi era forte il desiderio di far loro risalire la china, per vederli non come irregolarità nel cammino e invece quale nuova strada maestra.
Si sa cosa succede in questi casi: il pittore è timoroso di far torto a collezionisti e gallerie, di fare improvvisamente apparire un volto nuovo, e chissà se ugualmente apprezzato. Allora, di solito, si percorre un doppio binario, finché non ci si senta così sicuri da imboccarne uno soltanto. Questo è accaduto a Politino, a partire dalla metà degli anni novanta. Dapprima in silenzio, quasi con un senso di fastidio per immagini che sorgevano diverse, forse non richieste, ma poi, certamente dal 1997, con la determinazione delle imprese che si sentono ormai definitivamente proprie. E allora il lavoro è fluito via senza più remore, nella consapevolezza che il paesaggio non era più coscienza dell'infanzia ma era diventato splendente, umidissimo risultato di una vera maturità.
Dunque sono cambiati gli angoli, la visuale s'è assottigliata, la natura ha perso la sua intonazione lievemente barocca che l'aveva fin qui caratterizzata. E' come se d'incanto il pittore avesse sentito il bisogno di una parola più secca, perché la bellezza potesse diventare, infine, inestinguibile. Come se egli avesse deciso di concentrarsi sulla durata di un tempo sorto non più dalla visione, ma anche, e forse soprattutto, dallo stringersi delle ragioni del cuore. La natura ha cessato di essere invenzione e si è fatta straziato pulsare degli occhi. Il vedere è diventato subito esperienza.
IV
Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quell'altro suo quaderno - dovrebbe essere più o meno di questi giorni - nel quale la conclusione potrebbe suonare circa così: " Chissà perché, giunto a questo momento della vita, non c'è stata più la possibilità di andare al passato come a una fonte benedetta, e ho dovuto rischiare ricominciando tutto dal principio, come non avessi mai dipinto niente prima. Che sensazione strana, essere senza storia, senza infanzia, senza un padre e una madre, senza le foto ricordo da potere, se non vedere, almeno, appunto, ricordare, e invece prendere in mano tutto questo verde spalmato sui fogli, spargerlo a piene mani senza paura e dipingere prati, declivi, colline, laghi cosparsi di bianche foglie sorgenti. E poi prendere un po' di giallo, metterlo sulla carta per dei girasoli contorti, straziati, che a me paiono dolcissimi, il segno stesso della vita. Ecco, se c'è una cosa che adesso mi sembra, è che ho incontrato la vita dal suo lato più vero, quello che se ti prende un colpo di vento non c'è nessuna finzione che ti può riparare. Ho pensato di dipingere la natura cosi, senza riposo, senza protezione, come un silenzio che crepita e gorgoglia".
02
dicembre 2006
Vincenzo Politino
Dal 02 al 15 dicembre 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE 18
Bologna, Via San Felice, 18, (Bologna)
Bologna, Via San Felice, 18, (Bologna)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 15.30-19.30
Vernissage
2 Dicembre 2006, ore 18.30
Autore