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Viola Yesiltac – Monouniverso
Il progetto MONOUNIVERSO, che la Yesiltac ha appositamente ideato per lo spazio de l’Union, consiste in una sorta di narrazione visuale suddivisa in due atti: la performance e l’esposizione dei lavori fotografici
Comunicato stampa
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L’Union è lieta di presentare la prima mostra personale italiana di Viola Yesiltac (Hannover, 1975), artista formatasi presso l’Accademia di Belle Arti di Braunschweig in Germania e attualmente residente a Londra in seguito all’assegnazione della borsa di studio presso il Royal College of Art, dipartimento di fotografia.
Il lavoro della Yesiltac (performance, fotografia, video) è fondamentalmente mirato a creare immagini di notevole impatto emotivo attraverso rappresentazioni o interpretazioni intrise di una grazia misurata e, al contempo, di una spiazzante forza espressiva. La sua ricerca è guidata da una poetica votata all’apertura di fratture temporali che permettono allo sguardo di focalizzarsi sul microcosmo dell’individualità e di portare alla luce non tanto caratteristiche e peculiarità del personaggio interpretato o di luogo, quanto semmai la loro anonimia e la loro universalità, sollecitando nello spettatore un coinvolgimento graduale ma imprescindibile.
Il progetto MONOUNIVERSO, che la Yesiltac ha appositamente ideato per lo spazio de l’Union, consiste in una sorta di narrazione visuale suddivisa in due atti: la performance e l’esposizione dei lavori fotografici, entrambi collegati al più ampio progetto Blue Box World in cui l’artista è impegnata dal 2003 e che, attraverso differenti esercizi di composizione tra la propria figura (il suo farsi essere anonimo) e differenti livelli di realtà (naturale, sintetica, virtuale), è volto a creare una galleria di tableaux vivants capaci di dare vita a cortocircuiti visivi tra mondo reale e mondi immaginari, presentando in modo sempre diverso il confronto tra individuo e società, tra sfera personale e universo pubblico.
Il bianco, questa volta, è il colore non-colore predominante assunto come rappresentazione dello zero-point, come simbolo di rassegnazione, in modo particolare, dell’arte, metafora dell’ignoto e del non manifesto, ma anche ideale punto di partenza (se il bianco polare nell' opera di H. Melville simbolizza l'indefinito, nelle arti il foglio bianco, la tela candida o il white noise alludono al momento di impasse della creazione). Nella performance di Viola Yesiltac l’ambientazione nautica (la presenza dell’acqua e della campana da barca) intende riportare all’idea del viaggio intrapreso dall’uomo per tentare di rispondere all'enigma della realtà, manifesta ed interiore. Riprendere il sentiero e attraversare simbolicamente il mare per lasciare nel mondo nuova traccia di sé e del suo pensiero. Il suono, come lo squillo della campana restituiscono il valore del tempo, il qui e ora dell’azione che si perpetua restituendo allo spettatore la coscienza del presente.
Scandita da minime variazioni di espressione e di posa, la performance, il cui set invaderà l’intero spazio espositivo, presenta l’artista stante di fronte ad un fondale costituito da una carta da parati e contornata da oggetti simbolici, personali, disegni. La semi-immobilità del suo corpo, lo scorrere lento del tempo che intercorre tra un’azione e un’altra e il forte contrasto tra la figura reale e lo sfondo, suscitano nell’osservatore l’impressione di assistere ad una ipnotica serie di non-eventi estremamente narrativi. I timidi accenni di movimento producono posture che, susseguendosi, liberano progressivamente un’energia vitale ma silenziosa, la stessa che anima l’universo nascosto dell’interiorità e che solitamente emerge nei momenti di solitudine, di non-azione. L’anonimato che l’artista si auto conferisce (vestendo nel modo meno appariscente possibile e presentandosi preferibilmente di spalle) contribuisce ad accrescere l’idea di universalità del ruolo che interpreta, il microcosmo privato, l’individualità di ognuno che, messa a confronto con il macrocosmo della realtà, si rivela in tutta la sua vulnerabilità. Nelle immagini fotografiche questi attimi di poetica interazione tra la figura femminile anonima e il mondo si svolgono outdoor: il background non è più quindi il paesaggio statico e immutato di un poster, quello monocromo del croma-key o una carta da parati vintage ma i dinamici e mutevoli scorci di una foresta, del mare, della campagna. Come finestre aperte sul mondo, le fotografie mostrano la totale fusione tra due universi paralleli e il loro coesistere in un’unica, dilatata sospensione dello spazio e del tempo. In mostra sarà presentata anche un’installazione fotografica progettata dall’artista come un album di scatti che come flashes mnemonici appaiono casualmente aggregati e ripercorsi. Anche in questo ciclo di immagini (50 scatti di piccolo formato realizzati dall’artista in diverse città: Roma, New York, Berlino, ecc.) la presenza umana opta per l’anonimato: si sovrappone al paesaggio quasi per default, o si esprime attraverso tracce, indizi labili che involontariamente consegna al territorio e alla realtà quotidiana e che rivelano una sua congenita appartenenza al sistema fenomenico universale.
Il lavoro della Yesiltac (performance, fotografia, video) è fondamentalmente mirato a creare immagini di notevole impatto emotivo attraverso rappresentazioni o interpretazioni intrise di una grazia misurata e, al contempo, di una spiazzante forza espressiva. La sua ricerca è guidata da una poetica votata all’apertura di fratture temporali che permettono allo sguardo di focalizzarsi sul microcosmo dell’individualità e di portare alla luce non tanto caratteristiche e peculiarità del personaggio interpretato o di luogo, quanto semmai la loro anonimia e la loro universalità, sollecitando nello spettatore un coinvolgimento graduale ma imprescindibile.
Il progetto MONOUNIVERSO, che la Yesiltac ha appositamente ideato per lo spazio de l’Union, consiste in una sorta di narrazione visuale suddivisa in due atti: la performance e l’esposizione dei lavori fotografici, entrambi collegati al più ampio progetto Blue Box World in cui l’artista è impegnata dal 2003 e che, attraverso differenti esercizi di composizione tra la propria figura (il suo farsi essere anonimo) e differenti livelli di realtà (naturale, sintetica, virtuale), è volto a creare una galleria di tableaux vivants capaci di dare vita a cortocircuiti visivi tra mondo reale e mondi immaginari, presentando in modo sempre diverso il confronto tra individuo e società, tra sfera personale e universo pubblico.
Il bianco, questa volta, è il colore non-colore predominante assunto come rappresentazione dello zero-point, come simbolo di rassegnazione, in modo particolare, dell’arte, metafora dell’ignoto e del non manifesto, ma anche ideale punto di partenza (se il bianco polare nell' opera di H. Melville simbolizza l'indefinito, nelle arti il foglio bianco, la tela candida o il white noise alludono al momento di impasse della creazione). Nella performance di Viola Yesiltac l’ambientazione nautica (la presenza dell’acqua e della campana da barca) intende riportare all’idea del viaggio intrapreso dall’uomo per tentare di rispondere all'enigma della realtà, manifesta ed interiore. Riprendere il sentiero e attraversare simbolicamente il mare per lasciare nel mondo nuova traccia di sé e del suo pensiero. Il suono, come lo squillo della campana restituiscono il valore del tempo, il qui e ora dell’azione che si perpetua restituendo allo spettatore la coscienza del presente.
Scandita da minime variazioni di espressione e di posa, la performance, il cui set invaderà l’intero spazio espositivo, presenta l’artista stante di fronte ad un fondale costituito da una carta da parati e contornata da oggetti simbolici, personali, disegni. La semi-immobilità del suo corpo, lo scorrere lento del tempo che intercorre tra un’azione e un’altra e il forte contrasto tra la figura reale e lo sfondo, suscitano nell’osservatore l’impressione di assistere ad una ipnotica serie di non-eventi estremamente narrativi. I timidi accenni di movimento producono posture che, susseguendosi, liberano progressivamente un’energia vitale ma silenziosa, la stessa che anima l’universo nascosto dell’interiorità e che solitamente emerge nei momenti di solitudine, di non-azione. L’anonimato che l’artista si auto conferisce (vestendo nel modo meno appariscente possibile e presentandosi preferibilmente di spalle) contribuisce ad accrescere l’idea di universalità del ruolo che interpreta, il microcosmo privato, l’individualità di ognuno che, messa a confronto con il macrocosmo della realtà, si rivela in tutta la sua vulnerabilità. Nelle immagini fotografiche questi attimi di poetica interazione tra la figura femminile anonima e il mondo si svolgono outdoor: il background non è più quindi il paesaggio statico e immutato di un poster, quello monocromo del croma-key o una carta da parati vintage ma i dinamici e mutevoli scorci di una foresta, del mare, della campagna. Come finestre aperte sul mondo, le fotografie mostrano la totale fusione tra due universi paralleli e il loro coesistere in un’unica, dilatata sospensione dello spazio e del tempo. In mostra sarà presentata anche un’installazione fotografica progettata dall’artista come un album di scatti che come flashes mnemonici appaiono casualmente aggregati e ripercorsi. Anche in questo ciclo di immagini (50 scatti di piccolo formato realizzati dall’artista in diverse città: Roma, New York, Berlino, ecc.) la presenza umana opta per l’anonimato: si sovrappone al paesaggio quasi per default, o si esprime attraverso tracce, indizi labili che involontariamente consegna al territorio e alla realtà quotidiana e che rivelano una sua congenita appartenenza al sistema fenomenico universale.
16
dicembre 2005
Viola Yesiltac – Monouniverso
Dal 16 dicembre 2005 al 31 gennaio 2006
arte contemporanea
performance - happening
performance - happening
Location
L’UNION ARTE CONTEMPORANEA
Roma, Via Reggio Emilia, 32a, (Roma)
Roma, Via Reggio Emilia, 32a, (Roma)
Orario di apertura
da martedi a sabato 11-13 e 16:30-20
Vernissage
16 Dicembre 2005, ore 19-21 con performance
Autore
Curatore