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Viviana Pascucci – EIKOON
Sei sono le tele di grandi dimensioni che l’artista ci propone, tutte incentrate sulle parti caratterizzanti del corpo femminile
Comunicato stampa
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Uteri e seni
L’eterno femminino nelle sue valenze ancestrali archetipiche non può che simbolicamente
innescare semplici e immediati riferimenti a una generale idea di fertilità, fecondità e di
conseguente continuità della specie e in questo senso, come ribadisce in più occasioni Culianu
nello straordinario Eros e magia nel Rinascimento, ha alimentato l’autentico valore pagano, ma
sempre sacro, della valenza creativa legata al fare arte. La ricerca di Viviana Pascucci verte da
tempo sull’anatomia del corpo femminile nudo che ancora oggi, nella cosiddetta contemporaneità
nella quale siamo quasi costretti a uniformarci e a omologarci con il rischio di cadere negli
inevitabili adeguamenti ai conseguenti slogan e luoghi comuni vari, corrisponde, soprattutto in
certi settori più trendy, come la moda, alla condivisione di un ruolo trainante, per molti
fondamentalmente finalizzato ad alimentare un’idea consumistica di una certa immagine
stereotipata della femminilità. E’ anche vero che per quanto concerne un’idea originaria, dalla
preistorica Venere di Willendorf a quelle rinascimentali riconducibili pure alla tradizione classica
greca che ne ha istituito l’imprescindibile mito, dalla Venere di Milo all’Afrodite Efesia dalle cento
mammelle, rimane sempre e comunque ricollegabile a un’idea della bellezza che ha alimentato di
linfa vitale la ricerca soprattutto nel settore artistico. Oggi nei settori della moda come anche della
medicina, forse si è troppo spinto verso una concezione artefatta debordando in una degenerazione
dei principi originari con considerevoli prese di distanza dai normali processi generativi in nome di
un fittizio ricorso alla chirurgia estetica per tentare di conservare e magari di migliorare a oltranza
un corpo che è comunque soggetto a un inarrestabile processo di deterioramento, stato che invece
può essere vissuto nel migliore dei modi solo accettando tale inesorabile condizione magari con il
sostegno di un sano supporto spirituale che può agire con effetti benefici pure a livello qualitativo.
Su tali lunghezze d’onda e vari tipi di riscontro si possono tentare alcune letture dei ricorrenti
riferimenti a certe ripetitive performance della Beecroft o, in presa diretta, della Orlan con
interventi sul suo stesso corpo, che sembrano dover implicare nel sociale un necessario ricorso alle
più accreditate teorie psicanalitiche che si rivelano, in ogni caso, terapeuticamente surrogati
inefficaci rispetto, per esempio, agli antichi riti pagani o legati ad altre religioni, più in sintonia,
anche a livello antropologico, con le semplici e normali decodificazioni delle effettive funzioni dei
vari apparati fisici umani. Su tali basi si muove per di più la ricerca sempre più affinata condotta
da Viviana Pascucci che, però, del corpo femminile evidenzia proprio le sue parti più caratterizzanti
dell’utero e dei seni, entrambi da lei riutilizzati come sineddoche metaforica di una condizione
femminile che proprio nell’arte dovrebbe ripartire per riappropriarsi di quella particolare forza
creatrice originaria e ispiratrice, naturalmente insita nell’artista e racchiusa nello stesso principio
dell’eterno femminino di goethiana memoria appunto. Su sfondi preparati accuratamente con
stesure di colori puri riemergono, nelle sue tele, seni turgidi e velati, incorniciati, in alcuni casi, da
una sottile garza medicamentosa, come se fossero appena usciti ex novo da una sala operatoria, ma
freddi ed eroticamente assopiti; lo stesso vale per gli uteri indagati freddamente come avviene nei
testi di medicina ma allo stesso tempo, all’interno delle sue opere, di non facile riconoscibilità,
studiati meticolosamente quasi per ridare loro quella forza energetica e propulsiva alla vita che
sembravano avere rimosso dalle loro funzioni non esiziali. Ne deriva uno studio su tali forme che
alla fine insiste a coniugare una visione formale, asettica ma variabile ed eterna nella sua classicità,
a un’adesione più emozionale legata quasi a un recupero di una dimensione sacra, e perciò
sentimentalmente romantica che da sempre accompagna l’artista di ogni tempo e che in questo
caso specifico, soprattutto nella rappresentazione degli uteri, rivela un omaggio, ovviamente risolto
in piena autonomia, alla grande lezione di Francis Bacon. E’ su tale ambivalenza tra classico e
romantico quindi, ancora necessaria alla genesi dell’arte seppur vissuta con un oscillante distacco,
che continua a muoversi la produzione sentitamente e volutamente pittorica di Viviana Pascucci che
in tal senso rivela tutta la sua naturale fede nei confronti dei basilari valori della vita ma anche
soprattutto dell’arte.
Saverio Simi de Burgis
L’eterno femminino nelle sue valenze ancestrali archetipiche non può che simbolicamente
innescare semplici e immediati riferimenti a una generale idea di fertilità, fecondità e di
conseguente continuità della specie e in questo senso, come ribadisce in più occasioni Culianu
nello straordinario Eros e magia nel Rinascimento, ha alimentato l’autentico valore pagano, ma
sempre sacro, della valenza creativa legata al fare arte. La ricerca di Viviana Pascucci verte da
tempo sull’anatomia del corpo femminile nudo che ancora oggi, nella cosiddetta contemporaneità
nella quale siamo quasi costretti a uniformarci e a omologarci con il rischio di cadere negli
inevitabili adeguamenti ai conseguenti slogan e luoghi comuni vari, corrisponde, soprattutto in
certi settori più trendy, come la moda, alla condivisione di un ruolo trainante, per molti
fondamentalmente finalizzato ad alimentare un’idea consumistica di una certa immagine
stereotipata della femminilità. E’ anche vero che per quanto concerne un’idea originaria, dalla
preistorica Venere di Willendorf a quelle rinascimentali riconducibili pure alla tradizione classica
greca che ne ha istituito l’imprescindibile mito, dalla Venere di Milo all’Afrodite Efesia dalle cento
mammelle, rimane sempre e comunque ricollegabile a un’idea della bellezza che ha alimentato di
linfa vitale la ricerca soprattutto nel settore artistico. Oggi nei settori della moda come anche della
medicina, forse si è troppo spinto verso una concezione artefatta debordando in una degenerazione
dei principi originari con considerevoli prese di distanza dai normali processi generativi in nome di
un fittizio ricorso alla chirurgia estetica per tentare di conservare e magari di migliorare a oltranza
un corpo che è comunque soggetto a un inarrestabile processo di deterioramento, stato che invece
può essere vissuto nel migliore dei modi solo accettando tale inesorabile condizione magari con il
sostegno di un sano supporto spirituale che può agire con effetti benefici pure a livello qualitativo.
Su tali lunghezze d’onda e vari tipi di riscontro si possono tentare alcune letture dei ricorrenti
riferimenti a certe ripetitive performance della Beecroft o, in presa diretta, della Orlan con
interventi sul suo stesso corpo, che sembrano dover implicare nel sociale un necessario ricorso alle
più accreditate teorie psicanalitiche che si rivelano, in ogni caso, terapeuticamente surrogati
inefficaci rispetto, per esempio, agli antichi riti pagani o legati ad altre religioni, più in sintonia,
anche a livello antropologico, con le semplici e normali decodificazioni delle effettive funzioni dei
vari apparati fisici umani. Su tali basi si muove per di più la ricerca sempre più affinata condotta
da Viviana Pascucci che, però, del corpo femminile evidenzia proprio le sue parti più caratterizzanti
dell’utero e dei seni, entrambi da lei riutilizzati come sineddoche metaforica di una condizione
femminile che proprio nell’arte dovrebbe ripartire per riappropriarsi di quella particolare forza
creatrice originaria e ispiratrice, naturalmente insita nell’artista e racchiusa nello stesso principio
dell’eterno femminino di goethiana memoria appunto. Su sfondi preparati accuratamente con
stesure di colori puri riemergono, nelle sue tele, seni turgidi e velati, incorniciati, in alcuni casi, da
una sottile garza medicamentosa, come se fossero appena usciti ex novo da una sala operatoria, ma
freddi ed eroticamente assopiti; lo stesso vale per gli uteri indagati freddamente come avviene nei
testi di medicina ma allo stesso tempo, all’interno delle sue opere, di non facile riconoscibilità,
studiati meticolosamente quasi per ridare loro quella forza energetica e propulsiva alla vita che
sembravano avere rimosso dalle loro funzioni non esiziali. Ne deriva uno studio su tali forme che
alla fine insiste a coniugare una visione formale, asettica ma variabile ed eterna nella sua classicità,
a un’adesione più emozionale legata quasi a un recupero di una dimensione sacra, e perciò
sentimentalmente romantica che da sempre accompagna l’artista di ogni tempo e che in questo
caso specifico, soprattutto nella rappresentazione degli uteri, rivela un omaggio, ovviamente risolto
in piena autonomia, alla grande lezione di Francis Bacon. E’ su tale ambivalenza tra classico e
romantico quindi, ancora necessaria alla genesi dell’arte seppur vissuta con un oscillante distacco,
che continua a muoversi la produzione sentitamente e volutamente pittorica di Viviana Pascucci che
in tal senso rivela tutta la sua naturale fede nei confronti dei basilari valori della vita ma anche
soprattutto dell’arte.
Saverio Simi de Burgis
10
settembre 2011
Viviana Pascucci – EIKOON
Dal 10 settembre all'undici ottobre 2011
arte contemporanea
Location
C.ETRA
Castel Bolognese, Via Sigla, 328, (Ravenna)
Castel Bolognese, Via Sigla, 328, (Ravenna)
Vernissage
10 Settembre 2011, ore 18. Nel corso dell’opening Giovanni Scardovi leggerà alcune sue poesie inedite
Autore
Curatore