05 novembre 2021

Artissima 2021: tour non convenzionale della fiera

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Com'è la fiera di Torino quest'anno? Viaggio tra gallerie dove si scoprono le tendenze di un'edizione in presenza, con le parole della Direttrice

Il lavoro di Daniela Comani per Studio G7, Artissima 2021. Foto MB

Artissima è frizzante: una nuova disposizione per l’area talk e gli editori, i piccoli labirinti delle sezioni XYZ, ovvero “Disegni”, “Present Future” e “Back to the future” e, in generale, molto colore tra gli stand. Che siano pitture, installazioni o esempi di textile art (ebbene sì, il trend alla fiera di Torino è proprio il tessuto che si fa opera, in molteplici forme), rendono questa ritrovata edizione in presenza all’Oval una piacevole passeggiata tra il contemporaneo internazionale. 

Di queste abbiamo deciso di raccontarvi un assaggio generale, diviso per tematiche e “tecniche di esposizione”. Prima un commento “a caldo” da parte di Ilaria Bonacossa (qui la nostra intervista prima dell’apertura della fiera).

Le parole di Ilaria Bonacossa

Che impressione hai dell’edizione in corso?

«Delle persone, non necessariamente addette ai lavori, mi hanno detto che Artissima 2021 è più facile da seguire. Penso sia vero perchè dopo tutto il digitale legato alla pandemia gli artisti hanno lavorato da soli, non con producer etc, ma con le proprie mani, creando opere che per loro stessa natura permettono una lettura più diretta. In questa edizioni sono presenti, fisicamente, inoltre, molti artisti (tra cui molti giovani): è un aspetto non scontato, è bello che abbiano voglia di venire, perché le fiera non sono tra i posti più ospitali, significa che è un’Artissima più accogliente».

Che testimone trametti al prossimo direttore?

«Al di là della pandemia, è un’Artissima che sta bene, che ha molto chiara la propria identità, il fatto di essere una fiera di ricerca, diversa dalle altre, e che non ambisce ad affermarsi come evento blockbuster e vuole, invece, fare ricerca sulle gallerie e lavorare con i talenti. Quest’anno abbiamo 154 stand, è una misura bellissima: sono un po’ meno rispetto ad altre edizioni, ma questo numero permette alla gente di godersi davvero la fiera. Spingere su questo tipo di identità secondo me paga, perchè le gallerie vengono sollecitate da tutte le parti e rispetto ad Artissima possono scegliere di venire in fiera o meno con maggior consapevolezza». 

Un aspetto di cui sei orgogliosa e uno particolarmente complesso da gestire in questa edizione?

«La sezione XYZ è la parte di cui sono più soddisfatta, con gli spazi disposti come se fossero – a grandi linee – le tre lettere x, y e z (lo si percepisce più chiaramente dall’altro), diventa un labirinto e volevamo proprio fosse chiaro che non sono degli stand, creare qualcosa di diverso, ma all’interno della fiera.
Una grande rilevanza, inoltre, ha assunto anche la modalità figital, questa idea che tutto viva metà nella realtà fisica e metà in quella digitale. Penso sia la direzione in cui andranno tutte le fiere, un segno ne è, ad esempio, la diffusione dei QR code nelle gallerie per gli approfondimenti e vari tipi di informazioni. Le gallerie hanno molto lavoro, per affrontare questo aspetto avrebbero necessità di una figura che lavorasse esclusivamente sui loro contenuti digitali.
Un aspetto che è stato complesso da gestire è il fatto che il mondo dell’arte è “digitalmente analfabeta”, bisogna investire molto su questo aspetto: ad esempio abbiamo avuto inviti digitali mai attivati, ingressi digitali mai effettuati, persone che chiamavano dicendo di non aver ricevuto nulla non immaginando che le credenziali per l’accesso fossero arrivate via mail. È un lavoro in questo momento faticoso, ma sul lungo periodo pagherà e indietro non si torna, sono cambiamenti che resteranno».

Il lavoro di Claudia Comte nello stand della König Gallery, Berlino. Foto MB

Il tour tra gli stand

Apprezzata anche da Achille Bonito Oliva, che abbiamo incontrato tra i corridoi della fiera, è l’installazione di Daniela Comani per la Galleria Studio G7 di Bologna: un tromp l’oeil di una libreria a tutta parete dove sono disposte le Nuove pubblicazioni dell’artista bolognese (vive e lavora a Berlino), ovvero le elaborazioni di una serie di indimenticabili romanzi e novelle a cui Comani cambia genere nel titolo, conduce a una stanza delle meraviglie, dove scoprire gli artisti rappresentati dalla galleria: una scatola cinese espositiva che colpisce per originalità. 

Di carattere museale lo stand di Magazzino (Roma) che ha scelto di condividere il both con DVIR, galleria con basi a Tel Aviv e Bruxelles, e di alternare le nere fusioni di Namsal Siedlecki con le rarefatte carte di Yudith Levin. Vuoto/pieno, esterno/interno si coniugano in questo spazio, seguendo la processualità di Siedlecki che in questa serie, intitolata Mvah Chā, riprende il processo nepalese della realizzazione di statue votive, che ricordano le forme di molti autori europei come Brancusi, Harp o Moore. 

Dicevamo del colore. Tra gli stand più curiosi, pittoricamente parlando, c’è quello della portoghese Duarte Sequeira (Braga) che porta un solo show di Vanessa da Silva: “Mamão com açúcar”. Le serigrafie tagliate e riassemblate a creare veri e propri quadri sono quelle di loghi di prodotti importati in Inghilterra da Paesi come la Colombia, il Ghana e il Brasile. Così, dietro le favolose tinte dei tropici si nascondo – quasi le si osservasse oltre il retino della pellicola – le agende politiche, lo sfruttamento delle popolazioni e la compiacenza delle multinazionali, senza dimenticare tutto il denaro che movimentano scambi a doppio taglio: ben proficui per alcuni, orribilmente distruttivi per ben altre maggioranze. 

Opere di Cristian Avram e Andrea Fontanari nello stand della galleria Boccanera, Trento e Milano

Due bravi pittori, Cristian Avram e Andrea Fontanari, sono invece in scena da Boccanera (Trento/Milano). Il primo ci racconta di interni domestici, sotto la luce quasi misteriosa e inquieta della “famigliarità” e delle azioni comuni, il secondo esasperando nelle dimensioni la rappresentazione di oggetti iconici degli anni ’60, in questo caso un vecchio telefono a disco grigio: la rivelazione di quello che era uno status symbol, e che oggi assume invece lo stato di un ingombrante oggetto della memoria, che trascina con sé i ricordi di “una vita fa”. 

Arazzi e tappeti di Loredana Longo e le fotografie di Letizia Battaglia insieme, nello stand di Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Napoli. Foto MB

Per la serie “donne necessarie”, invece, indichiamo la galleria Francesco Pantaleone (Palermo/ Milano) con il bello stand che mette in dialogo le opere di Loredana Longo (gli arazzi e i tappeti che riportano frasi di libertà, speranze e desideri pronunciati da grandi leader) e le fotografie di Letizia Battaglia, svelando anche un lavoro a quattro mani realizzato delle artiste. Ma c’è anche GALLLERIAPIÙ di Bologna che, tra le pitture di impronta “femminista” e la ricerca antropologica dedicata ai simboli delle società matrilineari di Gaia Fugazza e Ivana Spinelli, inserisce la serie Vulv’are di Concetto Pozzatti, tutto dedicato all’organo femminile e rimasto inedito fino a pochissimo tempo fa. 

Lo stand di GALLLERIAPIÙ con opere di Gaia Fugazza, Concetto Pozzati e Ivana Spinelli. Foto Renato Ghiazza

Claudia Comte è invece la regina dello stand di König (Berlino) con una pittura murale infuocata realizzata site specific, che denota – in alcuni casi – il coraggio di alcune gallerie di osare e uscire un po’ dai ranghi del quadro, che del resto anche qui abbonda. Altro caso da segnalare è quello di NOME (Berlino), che porta in scena le ricerche del duo Goldin+Senneby, con una carta da parati che riporta le parole Acid, Money e il nome di Malin Nillson e le opere Secrets of trade e Banca Rotta, composte dai simboli dell’economia e della matematica. 

Il lavoro del duo Goldin+Senneby per NOME Gallery, Berlino. Foto MB

Assolutamente da segnalare, anche per consumare un “refresco”, l’installazione caraibica di Radamés Juni Figueroa, Nunca encontramos a Satoshi, vincitore del Premio Illy Present Future nell’edizione 2020 della fiera, e che porta all’Oval un vero e proprio chiringuito cubano che mette al centro – come si legge nell’intervista all’artista di Carlo Bach (Direttore artistico di illycaffè), nel piccolo catalogo che accompagna l’installazione – la relazione con l’altro. «Un luogo vivo e condiviso, in cui riconnettersi con l’altro, festeggiare, riposare e ballare». 

Per “frizzare”, appunto, come ne abbiamo ancora bisogno! 

Radamés Juni Figueroa, Nunca encontramos a Satoshi, vincitore del Premio Illy Present Future. Foto MB

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