06 novembre 2020

Neorealismo in Tanzania: la storia di Amos e Zawadi nel docufilm di Yari Saccotelli

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Importanti riconoscimenti per Amos è Zawadi: il docufilm del giovane regista Yari Saccotelli, girato in Tanzania, selezionato agli Sweden Film Awards

Un progetto nato nelle aule dell’Accademia, per poi aprirsi al mondo: Amos è Zawadi, docufilm di Yari Saccotelli, sta ottenendo importanti riconoscimenti, dall’Islanda agli Stati Uniti. Diplomato della Scuola di Cinema RUFA, Yari Saccotelli è un’artista poliedrico, capace di cimentarsi nei diversi campi della espressività contemporanea.

Dopo alcuni anni di studio dedicati all’approfondimento del proprio progetto di tesi, per il giovane regista di Trani è arrivato il momento di raccogliere frutti quanto mai significativi. Amos è Zawadi, il docufilm che Yari Saccotelli ha immaginato e realizzato prima di portare a compimento il proprio percorso formativo, continua a mietere successi: dopo il primo posto come miglior film europeo al Reykjavík International Film Festival e la conquista del titolo come miglior film emergente al The Sabira Cole Film Festival di Pittsburgh, la pellicola è stata è stata adesso selezionata nell’ambito degli Sweden Film Awards.

Il docufilm racconta del viaggio dell’autore in Tanzania, luogo in cui ha conosciuto la storia dei due protagonisti, Amos e Zawadi: una “e” che intende unire i nomi dei due protagonisti, per spiegarne il profondo legame di interdipendenza che coinvolge due semplici ragazzi, amici oltre che cugini. Zawadi è un ragazzo Tanzaniano di 19 anni, nato con una grave disabilità motoria che non gli permette di essere indipendente. Con lui c’è suo cugino Amos che se ne prende cura giorno dopo giorno.

Nel dicembre del 2017, Yari Saccotelli parte alla volta della Tanzania per trascorrere un mese in quella che è la realtà di un piccolo villaggio nella città di Iringa. È la realtà di Zawadi, ragazzo di 17 anni che nella sua vita non ha mai conosciuto il concetto di autonomia. L’unico arto che riesce a controllare è il suo piede destro, proprio quello con cui è stato capace di scrivere un libro di cinquanta pagine dal titolo “Io sono Zawadi” che racconta della sua situazione e della sua terra. Alla sua indipendenza provvede Amos, cugino e compagno imprescindibile. Giunto in Africa, dopo un faticoso viaggio durato ben 17 ore, il regista si è subito accorto che non erano i tipici luoghi comuni di questa terra ad attirare la sua attenzione, quanto lo speciale legame fra i due giovani ragazzi tanzaniani: affascinato dalla storia dei protagonisti, ha deciso di comprimerla in un documentario per rappresentarne le differenti complessità. Su tutte la comunicazione: l’unico a parlare inglese era Zawadi, mentre Amos conosce l’idioma del luogo, la lingua Swaili.

Ponte tra le diverse esperienze messe in campo è stata la Nyumba Ali, un’associazione nata nel 2006 dall’idea dei bolognesi Bruna e Lucio che si occupa di sostenere e curare bambini con disabilità, in considerazione anche del contesto: a queste latitudini i diversamente abili particolarmente gravi vengono abbandonati, lasciati al loro destino e spesso “soppressi all’origine”. Il docufilm, il cui montaggio è stato realizzato oltre che da Yari Saccotelli anche da Daniele Monetti, è definito dal regista come neo-realista. Tutto è infatti lasciato nella sua naturalezza, senza artificialità di post-produzione come colonne sonore coinvolgenti o riprese particolari. I 64 minuti di questa pellicola indipendente lasciano allo spettatore la libertà di percepirne qualsiasi emozione, senza condizionamenti di una regia rimasta grezza.

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