29 gennaio 2001

Gli scrittori e la fotografia

 
a cura di Raffaella Arena



Gli interessanti effetti prodotti dall’evoluzione del nuovo mezzo sulle menti del XIX° secolo, le riflessioni e le critiche di alcuni scrittori del nostro tempo...

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L’espandersi del fenomeno fotografico ha contaminato con la sua influenza tutto l’ambiente artistico del XIX° secolo; così come i pittori prima, anche gli scrittori ora si trovano coinvolti dall’affascinante possibilità di scrivere con la luce, e in questa situazione la notorietà della fotografia tocca i vertici. Non tutti però accolgono la novità con entusiasmo: proprio Baudelaire è autore de Il pubblico moderno e la fotografia, in cui definisce la “nuova industria” come una calamita per pittori mancati. La fotografia sarebbe un insulto verso la pittura e all’arte dell’attore; la gente ritratta, infatti, è costretta a simulare smorfie.
Balzac tocca invece un altro dei miti del procedimento fotografico: sostiene che ogni corpo sia composto da vari spettri in strati sovrapposti, che insieme creano la percezione ottica del fisico. Ogni scatto fotografico distacca e trattiene uno di questi strati, così che il corpo perde di volta in volta una parte della sua essenza.
La magia dello scatto scatena anche la fantasia del reverendo Charles Dodgson, più noto come Lewis Carroll, che nel suo racconto Fotografie straordinarie (1855) immagina uno strano esperimento di fotografia: un individuo, posto di fronte ad un apparecchio, assume la posa per lo scatto e dopo che la carta è stata esposta per il tempo necessario, si osserva che su di essa sono rimasti impressi i pensieri di quell’individuo.
Il nuovo fermento arriva presto nell’ambiente letterario italiano, suscitando reazioni e critiche.
Lewis_Carroll
Tra i tanti racconti di Italo Calvino spicca L’avventura di un fotografo (1958) che si apre proprio con una polemica antifotografica da parte del protagonista Antonino, stanco di vedere i suoi amici-fotografi scattare istantanee in ogni momento. Se lo scopo è documentare, tutto ciò che non è fotografato è perduto e quindi la selezione è memoria parziale. L’unico modo di agire con coerenza è scattare in ogni istante. La ricerca ossessiva di Antonino si chiude con un ideale scatto contenente tutte le foto della sua vita.
In questa nuova fase di ricerca si formulano interessanti riflessioni e prese di posizioni.
Per Moravia, la fotografia strappa un momento al passato riportandolo nel presente e quel rendendolo attuale. Il pregio della fotografia è creare quindi un rapporto non storico tra soggetto e passato: annullandosi la distanza del tempo, si crea una dimensione più affine, più “affettuosa”. La pittura ha fornito gli spunti, ma non ha visualizzato perfettamente la verità: il passato è immaginato, un’altra dimensione addirittura; probabilmente per questo così lontano.
Forse è lo stesso scarto tra immaginazione e realtà colto da Moravia che aveva spinto i veristi ad adottare il nuovo mezzo. Presumibilmente è così che Giovanni Verga si accosta alla fotografia: tra i suoi primi e maggiori interessi c’è il mare di Aci Trezza. In questa sua passione coinvolge anche gli amici Luigi Capuana e Federico De Roberto. I fotoreportages di De Roberto sono parte integrante della sua produzione letteraria; proprio il volume Randazzo e la valle di Alcantara è la sua consacrazione come fotografo, in cui crea un racconto fotografico parallelo al testo che rappresenta una novità nel panorama italiano.
Giunti a questo punto, sarebbe ovviamente possibile proseguire approfondendo il discorso e coinvolgendo anche altri scrittori, ma non potendoci qui dilungare, abbiamo in ogni caso voluto dare lo spunto per un’interessante ricerca.

Raffaella Arena


Foto in primo piano: Ritratto di Baudelaire
L’uomo che legge è Lewis Carroll




[exibart]

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