25 febbraio 2023

In mostra a Parigi le fotografie dell’artista Zanele Muholi sul tema del non-binary

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In mostra alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, le fotografie radicali di Zanele Muholi, che raccontano la storia e il presente della comunità nera LGBTQIA+

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

A Parigi, la Maison Européenne de la Photographie – MEP presenta la prima retrospettiva in Francia dedicata a Zanele Muholi, una delle fotografe più acclamate d’oggi, con oltre 200 creazioni tra fotografie, video, installazioni e numerosi documenti d’archivio degli ultimi 20 anni. Classe 1972, attivista e non binaria, Zanele Muholi provoca, disorienta, sbalordisce e ci parla di tutto ciò che non va, documentando la vita della comunità nera LGBTQIA+ e degli individui che la costituiscono.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio
MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Rigorosamente in lingua inclusiva, la mostra parigina racchiude diversi progetti emblematici dell’artista sudafricana come Faces and Phases (2006 – in corso) o Somnyama Ngonyama (2012 – in corso). Una sezione ripercorre la storia politica del suo paese, ciò che permette di contestualizzare il lavoro dell’artista nata in piena segregazione razziale. Inoltre, la comunità LGBTQIA+ è tuttora bersaglio di violenze nella Repubblica del Sudafrica, nonostante sia stato il primo stato al mondo a vietare la discriminazione basata sull’orientamento sessuale; ossia nel 1996, due anni dopo l’abolizione dell’apartheid e l’instaurazione della democrazia.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio
MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Muholi rivendica la propria cittadinanza, milita con i movimenti di protesta antirazzisti, e per la visibilizzazione e l’ascesa dei diritti delle persone queer e razzializzate. «La mia missione è riscrivere una storia visiva queer e trans nera del Sudafrica, per sensibilizzare il mondo sulla nostra resistenza e esistenza, al culmine dei crimini d’odio nel nostro paese come altrove», asserisce l’artista.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Archiviare e raccontare le esperienze di vita delle persone LGBTQIA+ è una delle linee guida di Muholi, che ha creato fra l’altro una piattaforma che riunisce testimonianze diverse e che offre anche un luogo di assistenza per lesbiche. Un contesto politico che rimanda alla serie Only half the picture (2002-2006), in cui documenta il quotidiano di vittime di crimini d’odio come lo stupro correttivo. Se i corpi qui svelano la loro intimità i volti rimangono nascosti per proteggere le identità. Mentre in Brave Beauties (2014 – in corso) ritraendo concorrenti a concorsi di bellezza queer rimette in discussione i tradizionali modelli estetici.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Il percorso espositivo? Miriade di volti colti frontalmente e con fondi dalle texture molteplici si affacciano da cornici regolari di diversi formati. Vite spezzate, ricostruite e certo coraggiose, individuali o collettive, queste sono documentate senza fronzoli attraverso foto in bianco e nero, talvolta a colori, e per lo più stampate alla gelatina d’argento. Muholi interroga l’inclusività, la storia del colonialismo e le discriminazioni derivanti, ci parla di amicizia e d’amore come nella serie Being (2006 in corso). Puntando l’obiettivo contro le ingiustizie restituisce con dignità le persone che immortala e che lei definisce “partecipanti attivi all’opera”.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

«Dalla schiavitù e il colonialismo, le immagini delle donne africane sono state manipolate per diffondere l’eterosessualità e il patriarcato bianco. Questi sistemi di potere hanno talmente organizzato il nostro quotidiano, che è diventato difficile rappresentarci così come siamo realmente nelle nostre comunità rispettive», sostiene l’artista.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Fotografie esteticamente belle e profondamente umane tracciano l’esposizione, come la serie Somnyama Ngonyama, tradotto dalla lingua zulu con “Ciao a te”, leonessa nera, che include degli autoritratti dedicati a Bester, sua madre. In Bester 1 (Mayotte, 2015), l’artista si ricopre la testa con mollette dei panni – simbolo del lavoro domestico – disponendole mirabilmente a corona. Per quale ragione? La madre era al servizio di una famiglia afrikaner e si occupava dei loro figli e della loro casa, a scapito della sua famiglia. Di riflesso l’artista celebra le tante lavoratrici domestiche il cui contributo è troppo spesso sottovalutato.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Sono tanti gli autoritratti, in cui amplifica l’oscurità della sua pelle spingendo al massimo i contrasti, come in Thulani II (Parktown, 2015) che significa “stai zitto” in zulu. Qui si ritrae con un casco da minatore e a petto nudo, per commemorare il massacro avvenuto a Marikana Vine, in una provincia sudafricana. È il primo agosto 2012 quando la polizia spara e uccide a sangue freddo 34 minatori e ne ferisce più di 70, poiché questi protestavano contro le pericolose condizioni di lavoro e i salari troppo bassi.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Una foto considerevole? Qiniso (Les Sails, Durban, 2019), cioè “verità” in zulu, è un autoritratto in cui si adorna la chioma con pettini afro. Se i capelli crespi sono simbolo della controcultura e della resistenza dei popoli dell’Africa e delle sue diaspore, per secoli il pettine afro è stato uno status symbol in diverse società di questo continente.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

Le sue foto smuovono a oltranza le frontiere delle società e rappresentano un atto di condivisione con la persona ritratta, che si dà appieno all’obiettivo, che imparziale ne rivela la bellezza a ogni scatto. La fotografia di Muholi è radicale, libera, incisiva, flou, nitida, contrastata, e soprattutto etica, perché nasce dalla volontà di portare alla luce realtà scomode e spesso occultate.

MEP, veduta della mostra, Zanele Muholi, 2023, @ Tadzio

La mostra, aperta fino al 21 maggio, è curata da Laurie Hurwitz e Victoria Aresheva per la MEP, mentre per la Tate Modern di Londra, all’origine di questo progetto espositivo, troviamo Yasufumi Nakamori, capo curatore di arte internazionale (fotografia) e Sarah Allen, ex assistente curatrice. Ricordiamo che Zanele Muholi è rappresentata dalla Stevenson di Cape Town e dalla Yancey Richardson di New York. Nel 2021 è poi uscita in libreria “Somnyama Ngonyama“, una monografia fotografica con 90 autoritratti fotografici e contributi firmati da poetesse e autrici.

Parallelamente la MEP accoglie due talentuose giovani fotografe, quali Cedrine Scheidig, vincitrice del Premio Dior per la fotografia e le arti visive 2021, e Diane Severin Nguyen, regista riconosciuta negli Stati Uniti.

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