14 novembre 2023

Fotografia e nuove tecnologie, nessuna rivoluzione all’orizzonte: alcune considerazioni post Paris Photo

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La fiera parigina si conserva un importante osservatorio per scoprire il panorama internazionale e i nuovi talenti: alcune riflessioni dopo i giorni di kermesse

Photo by Roe Ethridge

Nella folla da stadio che blocca i corridoi di Paris Photo, importante manifestazione recentemente svoltasi a Parigi, mi colpisce una domanda fatta da una signora alle mie spalle nella calca: «ma è questa la nuova fotografia contemporanea?», chiede, evidentemente travolta dall’infinità diversità di immagini, la varietà dell’indagine sul mondo fatta attraverso un obiettivo che in questa edizione è stata davvero ricchissima. Rubo la domanda per renderla punto di partenza di una riflessione sui quattro giorni dedicati a girovagare tra gli stand interrogando galleristi e artisti.

Courtesy of Kristina Shook & The Estate of M. Melissa Shook, MIYAKO YOSHINAGA, New York, © Melissa Shook

La risposta che mi sono data è questa: sì, Paris Photo, considerata una delle più importante fiere di fotografia al mondo (per i francesi l’unica) è sicuramente un buon osservatorio per chi vuole capire cosa succede all’immagine fotografica oggi. Per compilare una mappa immaginaria su quali sono le tendenze (tante) e i confini abbattuti per dialogare con le altre arti e gli altri mezzi espressivi. E alla fine credo che si possa decretare che la fotografia, sia che riporti la realtà che un mondo immaginario, si sia ormai consacrata come uno dei medium più aperti sul mondo, tanto in presa diretta quanto mediata. E che, soprattutto, come sappiamo già da tempo, cammina a fianco dell’arte contemporanea, in alcuni casi abbattendo decisamente gli steccati. Con le sperimentazioni tecnologiche poi, la fotografia non rappresenta più il reale, ma si rende ricchissima nella qualità dell’ideazione: dai collage all’uso dell’AI. Non a caso, questa è la prima fiera ad avere una sezione dedicata al digitale per capire il dialogo o il conflitto tra la tecnologia e gli scatti di noi umani. La curatrice svizzera della sezione digitale Nina Roehrs ha riunito in nove stand le opere di circa 30 artisti che spaziano dai pionieri della computer art degli anni ’50 e ’60 a quelli che lavorano sull’intelligenza artificiale. La presenza della tecnologia si manifesta negli Nft, nell’uso di MidJourney, ma anche in casi che portano la fotografia fuori dai tracciati, come per Daminasky di Office Impact di Berlino, che si è inventato una applicazione con cui dalla fotografia con smartphone ottiene figure geometriche, immagini che lui riproduce in sculture in plexiglas. Il digitale interviene anche nei lavori che vediamo fuori dal settore dedicato, per esempio nel trasformare la natura e i fiori, altro soggetto molto frequentato in questa edizione. Come i lavori di 83 semi da una montagna che scompare (2023) di Sofia Crespo e Anna Ridler, una grande composizione di 25 cianotipi. Accanto, un iPad attraverso il quale si accede a questa composizione floreale colorata, generata dall’intelligenza artificiale, in altissima definizione. Per il loro secondo progetto comune, le artiste hanno raccolto le foto di 83 piante e fiori delle Alpi, minacciate dal riscaldamento globale.

Photo by Yelena Yemchuk

Diciamo che per ora non ci sono all’orizzonte grandi rivoluzioni dal punto di vista formale e concettuale nel settore digitale, ma è in corso un dialogo continuo che si sta instaurando tra artisti/fotografi e la tecnologia per continuare a ricercare. Anche la fotografia che dialoga con l’arte e il digitale fuori dai suoi confini tradizionali porta esempi molto interessanti come il lavoro, in mostra alla galleria milanese Red Lab con una performance, ideata e curata da Silvia Bigi A little poetic power to tell it to the world, che coinvolge sette donne che a turno leggono un testo composto da versi di poesie e romanzi di scrittrici e poetesse del XX secolo vittime di disturbi psichici. Un lavoro che porta in evidenza il tema dell’esclusione di ciò che non rientra in un’idea di “conformità” e che si lega alla storia di Irma, prozia dell’artista, tenuta nascosta per tutta la vita a causa di una malattia mentale non diagnosticata. L’opera è stata accolta all’interno della sezione Curiosa, per la prima volta diretta da Anna Planas, ex direttrice della mitica libreria Delpire & co, che aiuta la scoperta della scena dei più giovani contemporanea e ci regala una overview sullo sguardo delle nuove generazioni. C’è poi una parte di fotografia documentaria che però non usa i codici di rappresentazione classica, come quella di Yelena Yamchuck, ucraina che vive negli stati Uniti e raffigura donne: «Amo le mie protagoniste femminili, sia quelle che compaiono nei miei lavori più concettuali e di fantasia, sia quelle che vedo per strada. Credo di essere attratta da queste donne e voglio mostrarle come sono: potenti ma vulnerabili. Le immagini devono essere oneste ma non necessariamente di questo mondo, cerco sempre elementi onirici da aggiungere alle storie».

VIEW SCALE IRVING PENN Woman on the Beach, Smoking, (Mary Jane Russell), Long Island, N.Y., 1949

Un dato inequivocabile è la presenza delle fotografe, 300 su 800 artisti esposti, significativa anche nel progetto Elle x Paris Photo, che ormai da diversi anni riserva spazio alla creazione femminile. Fiona Rogers, che ne dirige il programma e sostiene le donne al V&A Museum di Londra, ha scelto circa 40 fotografe dal Novecento al contemporaneo con l’intenzione di colmare il divario di genere. Un lungo arco temporale che ha permesso di mostrare pratiche e temi differenti, dal paesaggio al collage, dalla conquista dei diritti al sogno della quotidianità senza discriminazioni. A partire da What’s ours, titolo della fotografia di Myriam Boulos (Libano, 1992) che ci mostra un bacio saffico, al lavoro di Laia Abril che usa foto, materiali di archivio e documenti per raccontare il calvario legato al tema dell’aborto con il titolo Les Filles du Calvaire. Nello stesso spazio sono presenti lavori che vanno oltre l’idea di genere: come quello di Arielle Bob Willis (1994) i cui corpi stretti in abbracci diventano volumi e geometrie colorate che ridisegnano lo spazio e lo trasformano in un luogo degli affetti. O quello di Katrien de Blawer, che prende delle foto di cui non è l’autrice e le lega ai propri stati d’animo attraverso diversi interventi. Nella sezione principale della fiera i temi predominanti sono il corpo e la natura raccontati con molteplici espedienti. Il corpo è un soggetto molto amato da sempre, ma qui assume risvolti interessanti e anche divertenti. Per esempio il lavoro di Melissa Hook del 1971 allo stand della galleria Miyako Yoshinaga di New York, che potrebbe essere interpretato come antesignano del selfie ma non lo è affatto per i tempi e per i modi. Qui l’artista si fotografa, poi sceglie le foto per creare il progetto. C’è un pensiero oltre l’istante di memoria che include l’ossessione di raccontarsi: la Hook subisce un’operazione che la blocca in casa e incomincia un’indagine sul proprio corpo, che diventa uno strumento di introspezione. «Melissa è stata una pioniera nell’esplorazione dell’identità, della maternità e delle famiglie interrazziali, incanalando lo spirito di libertà creativa e assistendo all’ascesa del femminismo negli anni ’60 e ’70», mi racconta la gallerista. Divertente il lavoro di Omar Vittorio Diop, senegalese che sovrappone la propria immagine in foto di vita quotidiana dagli anni ‘60 e ‘80 per fare un confronto tra le due società, quella bianca e quella nera. Un lavoro svolto in comune con il regista Lee Shulman, ideatore di The Anonymous Project, che gli ha chiesto di entrare nelle fotografie anonime della sua collezione di diapositive americane degli anni Cinquanta e Sessanta raffiguranti famiglie benestanti della classe media bianca a tavola per un compleanno, in spiaggia. Diop entra in una realtà in cui non è stato invitato, quella dell’America della segregazione razziale. Anche il reportage ha lasciato un segno importante, come nel lavoro di Antonio Ottomanelli su Gaza da Montrasio Arte; oppure nell’agghiacciante testimonianza della devastazione dei Talebani, centro di una monumentale installazione di Pascal Convert nella galleria parigina RX, che raffigura il grande panorama della falesia di Bâmiyân attraverso 15 elementi, per un totale di 17 metri: quasi a volere restituire lo spazio a quella bellezza che è stata distrutta.


Museum of contraception and Abortion, Vienna, Austria, August 2015. Laia Abril

Non sono mancate le star: i bellissimi ritratti di Richard Avedon da Hamiltons di Londra o le natura morte di Roe Etheridge da Gagosian, i Cartier Bresson a costi altissimi, Man Ray e Edward Steichen da scoprire ancora.

© Paul Graham

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