03 marzo 2024

L’occhio di Parigi: a Milano la grande mostra dedicata al fotografo Brassaï

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Brassaï tinge Palazzo Reale di un bianco e nero dal sapore francese. Tra bar, sale da ballo, ritratti di artisti e scorci alla luce della luna

Soirée Haute Couture, Paris 1935. © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Dal 23 febbraio al 2 giugno 2024 Palazzo Reale presenta la mostra Brassaï. L’occhio di Parigi, promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, realizzata in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession. La retrospettiva, curata dal nipote del fotografo Philippe Ribeyrolles, propone oltre duecento opere dell’artista, offrendo uno sguardo a tutto tondo sulla carriera del fotografo e immergendo le sale di Palazzo Reale in una nostalgica atmosfera parigina. A corredo delle stampe fotografiche si trovano anche diversi documenti, dipinti, sculture e oggetti personali appartenuti al fotografo.

Di origine ungherese e naturalizzato francese, Brassaï – al secolo Gyula Halász – deve il suo pseudonimo alla città natale Brassó, per sempre custodita all’interno del nome d’arte. È tuttavia Parigi, città a lui già nota dopo averci trascorso un anno in tenera età, ad accoglierlo nel 1924 dopo gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Budapest e un periodo a Berlino dedicato al giornalismo e alla ripresa degli studi in Accademia. Brassaï stabilisce con la capitale parigina un legame indissolubile, ritraendone la frenesia a cavallo tra le due guerre mondiali attraverso uno spaccato architettonico e della società. Parigi gli restituisce in cambio il fiorire della sua carriera, consegnandolo ai posteri come «l’occhio vivo della fotografia», così era solito definirlo l’amico e scrittore Henry Miller. Il fotografo si allontanerà dalla capitale solo nel 1940 a causa dell’occupazione nazista, per spostarsi nella Riviera Francese e dedicarsi a forme d’arte come pittura e scultura, in attesa di riprendere in mano la fotografia una volta terminata la guerra.

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Autoportrait, Boulevard Saint-Jacques, Paris, 1930-1932. © Estate Brassaï Succession – Philippe Ribeyrolles

La prolifica attività di Brassaï viene documentata fin dai primi anni parigini attraverso il suo incarico come fotografo per la rivista surrealista Minotaure. Grazie a questa collaborazione incontra diversi esponenti del movimento artistico come Dalì, Breton, Giacometti e Picasso, che diventano protagonisti dei suoi ritratti. È invece del 1933 la raccolta Paris de Nuit, che racchiude i primi periodi a Parigi, seguita da altri frangenti iconici come la collaborazione con la rivista Harper’s Bazaar o l’esposizione al Museum of Modern Art (MoMA) di New York del 1956.

Parigi di notte, Parigi di giorno

A catturare l’occhio di Brassaï è potenzialmente ogni cosa. L’obiettivo della sua Voigtländer Bergheil incontra e immortala paesaggi urbani inanimati tanto quanto artisti, vita quotidiana, classi sociali più emarginate e alta società, restituendo fotografie dai contesti e ambienti più disparati. Il racconto espositivo comincia con una Parigi diurna che trasporta il visitatore nelle cosiddette «immagini perse nella memoria», come Brassaï stesso definisce le sue prime fotografie, ricordi di infanzia che riaffiorano ad esempio tra le piccole barche del laghetto nel Jardin du Luxembourg.

Alla Parigi di giorno si contrappongono scenari notturni, che raccontano altre storie con altri protagonisti. Ad essere compagni di Brassaï in queste sessioni notturne sono i fari delle auto, la nebbia, i fasci di luce che attraversano l’oscurità, i lampionai. Ne scaturiscono immagini che interpretano forme e volumi, geometrie che alla luce del sole avrebbero un disegno diverso, soggetti inconsapevoli dello scatto o altamente coscienti, come nel caso dell’iconica fotografia I “cattivi ragazzi” della banda del “Grand Albert”.

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Couple d’amoureux dans un café parisien, Place Clichy. © Estate Brassaï Succession – Philippe Ribeyrolles

Nella composizione parigina non possono certo mancare gli innumerevoli bar e le sale da ballo, dove quasi pare siano gli specchi la voce narrante di quanto fotografato. In questi luoghi Brassaï fa un uso sapiente del riflesso, senza mai inquadrarsi, per poter restituire due realtà ad un tempo solo. Il fotografo riesce così a creare un dinamismo magico tra la scena principale e quello che lo specchio restituisce, non visibile nemmeno ai soggetti raffigurati, che restano persi nei loro baci, nelle loro conversazioni. In numerose occasioni viene anche ritratta l’alta società, che si fa documento dello stile di vita della classe benestante, contrapposta all’esuberanza della Parigi segreta.

Che si tratti di scatti diurni o notturni, di interni o di esterni, quello che per il fotografo resta fondamentale è la composizione, che va ripulita dal superfluo per poter, come afferma egli stesso, «ubbidire alla dittatura dell’occhio». Scalinata a Montmartre con cagnolino bianco è un esempio di come Brassaï riesca a coniugare geometrie e tagli di luce in modo bilanciato, dando una struttura all’immagine che guida l’occhio verso il soggetto. In una conferenza a Boston del 1977 affermerà egli stesso che «solo le immagini rigorosamente costruite possono entrare nella memoria e diventare indimenticabili».

Così come lo studio della composizione è un elemento fotografico imprescindibile, lo diventa anche la relazione con il soggetto nei casi di ritrattistica. Nelle fotografie degli artisti ritratti da Brassaï emerge infatti una chiara consapevolezza del soggetto di fronte alla fotocamera, sì in posa ma con tutta la sua soggettività in mostra ad indicare il legame con la persona dietro l’obiettivo. Questo non accade nel momento in cui il fotografo sceglie invece di immortalare dei bambini. A loro è concesso non essere in posa, ed è affidato il compito di interpretare il fotografo in tutta la loro spontaneità. L’osservatore non può che rimanere ammaliato dalla vastità degli scenari descritti, travolto dalla bellezza di un tempo andato che in quelle sale nuovamente si rianima e vive.

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