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Pino Musi traduce in immagini i ritmi polifonici delle città: la mostra a Lecce
Fotografia
Alcuni sguardi non si limitano a registrare la realtà e quello di Pino Musi, artista visivo e fotografo tra i più lucidi interpreti del paesaggio urbano contemporaneo, appartiene a questa rara categoria: la sua fotografia non descrive la città, la decifra. Fino al 6 gennaio 2026, la sua arte fotografica si fa spazio a Lecce tra le mura della Fondazione Biscozzi Rimbaud con la mostra Pino Musi. Polyphōnia, curata da Stefania Zuliani, che presenta 56 opere e un film di 25 minuti appositamente prodotto per l’occasione, componendo un corpus che agisce come un atlante di simmetrie e pieni/vuoti che scandiscono le metropoli in espansione.

Con le sue immagini, le architetture cessano di essere fondali anonimi per divenire volumi che respirano tra luce e silenzio. È come se lo spazio urbano, abitualmente attraversato in fretta, si concedesse qui in una forma di sospensione, contemplando geometrie che si aprono a una grammatica intima.

Il colpo d’occhio che Musi costruisce è immediato ma mai superficiale: quello che appare dinanzi agli occhi del visitatore, non è semplice documentazione architettonica ma una riflessione radicale sull’immagine. Lo sguardo, calibrato su linee, diagonali e volumi, produce una sospensione che sottrae l’architettura al suo ruolo funzionale per restituirla alla pura percezione.

Ed è proprio qui che risiede la forza di queste opere, nella capacità di tradurre il linguaggio della città in un ritmo visivo: ripetizione e variazione, pieni e vuoti, ombre e superfici luminose che si articolano come partiture minime e rigorose. Qui, l’uso del bianco e nero, nucleo narrativo dell’arte di Musi, è una scelta necessaria per ridurre il campo percettivo all’essenziale, eliminando il rumore del colore e portando in primo piano l’ossatura della forma.

In questo senso, Pino Musi lavora su una sorta di “archeologia del presente”: forse è proprio questo il motivo per cui la sua fotografia colpisce in modo così schietto e limpido, rende evidente ciò che normalmente rimane inavvertito, quell’ordine nascosto che governa lo spazio urbano. L’opera filmica, parte integrante della mostra, amplifica questo processo: attraverso il movimento e la durata, la città si trasforma in flusso visivo, riaffermando la centralità dello sguardo come strumento di pensiero.

La mostra alla Fondazione Biscozzi Rimbaud non è dunque soltanto un’esposizione fotografica, ma un’esplorazione che interroga lo spettatore sulla propria posizione nello spazio urbano e sul ruolo stesso della fotografia come forma di conoscenza. Ancora una volta, la Fondazione diventa così spazio trasparente di alte forme artistiche, offrendo nuovi sguardi ed esercizi critici sulla percezione e sul pensiero.


















