08 aprile 2005

fino al 24.IV.2005 Zec. Il segno e il silenzio Pordenone, Galleria Sagittaria

 
Un tavolo. Un vaso. Una finestra. Del pane su una tovaglia. Semplici oggetti della nostra vita quotidiana, inseriti in una dimensione metafisica, silenziosa e vuota. L’artista bosniaco racconta con l’incisione la sofferenza del vuoto e della mancanza. Ma anche la poesia della materia…

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La fuga dalla pazzia della guerra, dalla morte che si può incontrare lungo le strade o al mercato. L’esilio dalla propria terra, dalla Sarajevo in preda alle bombe e ai cecchini. Tutto questo pesa come un macigno nell’opera di Safet Zec (1943), artista bosniaco che da quindici anni vive tra Venezia e Udine. Il silenzio delle cose è, come recita il titolo della mostra, il protagonista indiscusso delle sue opere, di matrice figurativa, portate ad un’intima metafisica del vuoto e della mancanza.
La scelta dell’incisione, anche con più lastre, e l’uso combinato di acquaforte, acquatinta e ceramolle per la realizzazione di vari gradi di grigio, assieme alla più asciutta puntasecca, testimonia una visione del mondo tagliente e lacerata. I temi sono quelli della quotidianità, degli oggetti talvolta privi di senso, che ci circondano. Ecco quindi Lo specchio, di grandi dimensioni, in cui la superficie del muro è resa con i grigi più morbidi, mentre una trama di disegni dal tratto infantile sembra percorrere la lastra. Oppure la serie dedicata ai Tavoli rossi, su cui sono disposti gli strumenti del lavoro del pittore: i pennelli, la colla, gli occhiali. L’uso del collage con giornali sembra rinvigorire le opere, soprattutto per la creazione di trame che si intersecano e sovrappongono al disegno.
Safet Zec, Bent
Talvolta, è possibile scorgere tra i grigi degli oggetti nascosti o dei segni abbozzati con un tratto più lieve, puerili o più spesso onirici, appena delineati o incompiuti. E, anche nel cortile di casa, escono da dietro le tende vasi con i fiori colorati, come nella serie delle Finestre. Ma se da un lato la presenza di tracce evanescenti sembra riempire e sostanziare il sentimento di rimpianto verso la terra perduta, dall’altro la concretezza di Pane, realizzato con più lastre, o la sensuale serie degli Abbracci, sembrano suggerire un attaccamento alla carnalità della materia e della vita, rifugio sicuro dall’invadenza del dolore.
Notevoli anche le Case di pietra e Grande casa, stampate su giornali, da cui spicca il colore rosa a formare un sottoinsieme di trame cromatiche. Ma l’amore per la propria patria prepotentemente riemerge, confuso con la nostalgia ed il mesto rimpianto per ciò che è ormai passato: lo si può vedere nel Ponte e in Bentbaša, la collina con vegetazione sfregiata dai segni obliqui che rompono la bellezza classica del paesaggio. Ma, come ebbe a dire Dario Cecchi, “se l’arte è solitudine, l’arte dell’incidere è solitudine due volte”.

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daniele capra
mostra visitata il 15 marzo 2005


Zec. Il segno e il silenzio. Incisioni italiane 1992-2005
a cura di Corrado Albicocco e Giancarlo Pauletto. Pordenone, Galleria Sagittaria, Centro Iniziative Culturali Pordenone, Via Concordia 7. Orari: da lunedì a sabato 16.00-19.30; festivi 10.30-12.30 e 16.00-19.30 – ingresso gratuito- visite guidate e laboratori per le scuole, per informazioni tel. 0434 553205; fax 0434 364584 – cicp@culturacdspn.ithttp://www.culturacdspn.it


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