19 marzo 2001

Fino al 10.IV.2001 Chiamami Peroni sarò la tua… arte Mantova, Bonelli Arte Contemporanea

 
Mantova chiama a raccolta tredici artisti che lavorano in Italia per confrontarsi sul tema della pubblicità...

di

La galleria Bonelli Arte Contemporanea, fino a qualche tempo fa nota per l’arte storica italiana (da Sironi a Licini, a Birolli), ha recentemente iniziato ad occuparsi della giovane arte attuale, in particolar modo italiana. Dopo “Racconti d’estate”, mostra che ha proposto un connubio tra arte e letteratura e alla quale hanno partecipato, tra gli altri, Karin Andersen, Marco Cingolani, Omar Galliani, Luca Pignatelli e Max Rohr, oggi è la volta di “Chiamami Peroni sarò la tua…arte”, che prende il nome da un ben noto slogan pubblicitario che ci accompagna oramai da qualche decina d’anni.
A conti fatti la galleria Bonelli par aver fatto le sue scelte, decidendo di dedicarsi espressamente alla nuova figurazione italiana. Cinque degli artisti della presente esposizione provengono dalla nota e discussa mostra “Sui generis.
Caterina Notte, Senza titolo, 2001, stampa lambda, cm 70x66
Dal Ritratto alla fantascienza”, tenutasi al P.a.c. di Milano lo scorso anno. Paul Beel, con Michelangelo Galliani, fa parte della scuderia della galleria (che annovera anche Giulio Durini e Omar Galliani, non presenti in questa collettiva), gli altri sono giovani artisti che stanno riscotendo consensi sul panorama nazionale e, fra essi, almeno Matteo Basilé è considerato unanimemente una delle punte di diamante del nostro paese.
Ogni artista ha scelto uno spot con cui confrontarsi per creare un’opera originale; ne sono uscite 13 lavori che da un lato descrivono la sperimentazione e la ricerca condotta da ogni singolo artista e dall’altro costituiscono delle sorte di divagazioni intimiste sul tema proposto dallo spot stesso. In altri termini l’immagine pubblicitaria si spoglia dei contenuti (parole ed immagini) che rimandano all’oggetto pubblicizzato e, con essi, di tutte le illusorie icone che la società massificata ha imposto all’immaginario collettivo.
Scomposto lo spot nei suoi elementi primari, immagini e parole diventano i pezzi di un puzzle che il genio dell’artista rielabora, ricompone e carica di un nuovo valore che risiede esclusivamente nell’opera d’arte autoreferenziale.
Matteo Basilé, a partire dalla nota pubblicità patinata di un profumo (Davidoff, Cool Water), giunge ad una riedizione fascinosa del tema della maternità: la ragazza sensuale diviene madre, l’acqua marina, non più un gretto rimando alle vacanze ai Carabi, torna ad essere fonte di vita e si trasforma in liquido amniotico che alimenta (dal verbo latino alo, “nutro”) la vita; ma l’opera rimanda anche alle problematiche relative alle tecniche di inseminazione artificiale, sostituendo all’illusorio oggetto del desiderio un interrogativo morale scomodo, obbligando l’osservatore a mettersi in discussione e a schierarsi.
Fasoli m&m (sta per “marito e moglie”) presentano uno dei loro “Spazi interattivi” (n. 73/2, dove 73 sta per il progetto e il 2 per lo scatto), immagini digitali che raccolgono sinteticamente frames del mondo reale e le ricompongono in un mondo nuovo dove regole prospettiche, luci ed ombre, non servono a riprodurre fedelmente la realtà quanto piuttosto a stabilire delle priorità nella visione, che servano ad una corretta lettura iconografica di genere narrativo. Di nuovo la madre e il fascino erotico fasullo della pubblicità sono in contrasto.
Matteo Basilè, Inliquido, 2001, plotter painting su alluminio, cm 120x120
All’attesa della metropolitana, dietro una panchina, campeggia un manifesto con una ragazza che si compiace degli sguardi di un passante. Una sedia vuota mostra la sua assenza dal mondo reale, la sua falsa esistenza. Al sedile estremo della panca sta seduto un uomo assorto nella lettura, indifferente a ciò che gli accade d’intorno. Nel sedile accanto una ragazza vestita solo di un’ampia gonna floreale allatta un bimbo. E’ l’unica immagine definita, non sfumata nei contorni, e talmente illuminata da far pensare che brilli di luce propria. E’ l’unica verità, la vita stessa (i fiori della gonna rimandano, iconograficamente, alla fertilità).
Scusandomi per la selezione dovuta a problemi di spazio, mi soffermo dettagliatamente almeno sull’opera di Caterina Notte, giovane artista che lavora a Roma: anch’essa utilizza immagini acquisite con lo scanner, modificate con software di fotoritocco. Il tema con il quale si confronta l’artista è il suo corpo; anche in questa occasione, a partire dalle fumettistiche sinuosità del disegno di una ragazza che pubblicizza Leocrema, Caterina ritorna su stessa. Il suo corpo si dilata e si distorce nello spazio di un mondo buio. Il filtro monocromo che separa quel mondo da quello esterno e reale non impedisce la vista di quel corpo che si contorce, comprimendo il diaframma, per respirare ed assorbire una fascinosa energia cosmica fatta di luce bianca e lunare: da quella energia lattiginosa il corpo trae vita e nutrimento. E’ un grido disperato di vita quello di Caterina, che trova nella propria mente la porta per accedere ad una nuova dimensione senza confini né orizzonti, senza tempo né leggi fisiche, nella quale l’inerzia causerebbe la morte, l’abbandono l’annullamento nel buio; un mondo pericoloso, dove il rischio è di precipitare nel vuoto, ma nel quale l’artista ha scelto di lottare quotidianamente per affermare il proprio io, catalizzando in sé l’energia cosmica fonte unica di vita. La tensione emotiva, lo spasimo fisico sono esasperati nelle opere di Caterina: è l’esperienza di una nuova dimensione che si manifesta in questo corpo che all’osservatore pare galleggiare in una sorta di bottiglia. [“Ma la notte sperde le lontananze./ Oceanici silenzi, Astrali nidi d’illusione,/ O notte.” (G. Ungaretti).]

Descritte le opere che allo scrivente sono parse maggiormente significative diremo solo che Debora Hirsh e Alberto Castelli propongono lavori che si interrogano sui canoni estetici bellezza con una pittura che troppo si avvicina a quella fredda e bidimensionale di Alex Katz; sullo stesso tema si cimenta Paolo Cassarà con una scultura in bronzo che non convince nel suo tributo alle icone del fumetto e dei manga giapponesi.
Luca Giovagnoli propone una lettura infantile ed intima del rito domestico in opposizione alle asettiche astrazioni della pubblicità; Ciriaca Erre sintetizza nel bagno di latte di un volto femminile la sensualità femminile.
La testa bianca stretta in un forcipe di Michelangelo Galliani si oppone alla rosa vincolata ed imprigionata da una fascia di metallo nella pubblicità della Lancome.
Paul Beel (presto gli toccherà la copertina su Arte) copia e riproduce un volto pubblicitario riaffermando, se mai ce ne fosse stato bisogno, la capacità introspettiva della pittura.
Forse un po’ troppo memore dei lavori e delle suggestioni di Omar Galliani, la figura di spalle di Federico Guida è marchiata irrimediabilmente con i tatuaggi delle icone pubblicitarie.
Barbara Nahmad sintetizza l’immaginario delle pubblicità a luci rosse in una visione ravvicinata di un seno nudo e di un paio di labbra carnose (troppo facile).
Deborah Hirsch Replica 3 Olio su tela cm 130x100 2001Luca Zampetti esplora i canoni imposti dal cinema americano: nello scenario in b/n della più nota piazza di Manhattan la pubblicità costituisce elemento integrante dello spazio architettonico e urbano; il rossore del cielo richiama quello surreale di Botto & Bruno ultima maniera.

Articoli correlati:
“Sui generis” al P.a.c. di Milano
Caterina Notte a Intercity
Approfondimenti:
Il sito di Fasoli m&m
Caterina Notte


Alfredo Sigolo




Fasoli m&m, Spazio interattivo n. 73-72 gare Robespierre, 2001, pittura digitale su carta fotografica, cm 100×132
“Chiamami Peroni sarà la tua… arte” Tredici artisti si confrontano con la pubblicità. A cura di Maurizio Sciaccaluga. Dal 3.III.2001 al 10.IV.2001. Mantova, Galleria Bonelli Arte Contemporanea, via Corrado 42. Orari: 16.00-19.30 (lunedì chiuso). Informazioni: tel. 0376/224565; fax 0376/318091. Catalogo gratuito in galleria.



[exibart]


12 Commenti

  1. Già! Ma anche l’opera non è male. Comunque mi sembra che la sua ricerca non sia molto vicina a Man Ray. Qui c’è tutto un Universo digitale, mi sembra, è tutto più tecnologico. Ciao

  2. La tecnologia oggi sta permettendo di sperimentare nuovi modi di fare arte. Il rischio concreto che si corre è che la tecnologia diventi il vero pretesto per fare arte, l’alibi per nascondere poetiche inconsistenti o sterili messaggi. A costo di attirarmi le ire di Caterina Notte, dirò che fermarsi al discorso tecnologico può essere non solo fuorviante e insufficiente, ma anche inconsistente. Credo che in giro si possano trovare artisti che usano la tecnologia in modi più complessi e sofisticati rispetto a Caterina; il punto non è questo. Semmai della Notte è da considerare come il suo utilizzo della tecnologia sia strumentale a rappresentare il proprio discorso poetico. Insomma esiste innanzitutto il messaggio, esiste l’ispirazione, esiste qualcosa che presinde dalla tecnica. Alla mostra una mia amica mi diceva: “bello, ma non credo che il fatto di mettere la faccia in uno scanner e poi di virere l’immagine ottenuta con qualche colore strano possa essere considerata arte d’avanguardia”. Capito l’errore? Non si può giudicare l’arte con criteri così limitanti. Il fascino della tecnologia, mai come in questo periodo, è pericoloso, e ciò che si limita ad essere all’avanguardia a tutti i costi rischia di avere vita breve, nel momento in cui la tecnologia impiegata per realizzarlo sarà superata dalla nuova.

  3. questa concezione di tecnologia è vecchia. Se si vogliono occupare di tecnologia lo facciano nel web non con lo scanner che è degli anni ottanta!

  4. Sono d’accordo con te Alf! Non sono una fan della tecnologia e lo si vede infatti dall’uso che ne faccio.Ognuno usa gli strumenti che ritiene più idonei a rappresentare meglio il suo discorso e nel modo migliore. Credo che non si possa parlare comunque mai di avanguardia. E’ un concetto per me così insensato!
    A me piace dialogare con la tecnologia! Usarla e basta è naturalmente alquanto riduttivo. Ciò che veramente conta è la ricerca che può essere poi supportata dalla poesia/pazzia dell’ispirazione. La vera arte è quella che è in grado di portare conoscenza e aggiungere un gradino alla storia dell’uomo.E questo non è facile e non sempre può essere capito immediatamente.Il mondo è popolato da milioni di persone che vivono la loro piccola realtà e non immaginano nemmeno lontanamente quanto l'”uomo” stia tentando di “sopravvivere”. Quanti sforzi stia facendo per rimanere e poter andare oltre. Il mio obiettivo è di avvicinare la persona comune all’anima della tecnologia.

  5. secondo me il concetto di avanguardia non va abbandonato con così incauta leggerezza. L’arte migliore è sempre d’avanguardia, la sua forza sta nella capacità di intuire, anticipare, insinuare dubbi, aprire nuovi scenari… e questo non vuol dire che debba necessariamente essere un’arte ribelle, contestataria o tantomeno iper-tecnologica!
    Quindi si può fare arte d’avanguardia anche in estremo low-tech, è la forza dell’idea che c’è sotto che conta, insieme alla capacità di dargli forma. Ciao a tutti

  6. Per Franca: mi sembra che siamo perfettamente d’accordo. L’artista all’avanguardia dal punto di vista tecnologico non è detto che faccia arte d’avanguardia (mi rendo conto che il termine “avanguardia” è pericoloso perché rimanda ad un preciso momento storico, ma ci intendiamo, no?)

  7. Peccato la scelta di alcuni artisti che ha limitato forse un pò la collettiva. Comunque sono d’accordo con Sigolo per la recensione.

  8. da quando sento dire a tanta gente, il termino tecnologia viene mal interpretado perche esiste una mala informazione riguardo a i termini tecnologia-tecnica vanguardia, spero che cualcuno mi dia la vera definizione de le parole prima scrite. Grazie

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui