12 marzo 2001

Fino al 24.III.2001 Luigi Carboni: lo zen e l’arte Verona, Galleria Studio la Città

 
L’arte di Luigi Carboni è strettamente connessa al viaggio: Grecia, Egitto, Tahilandia, Stati Uniti, sono alcuni dei luoghi che egli ha visitato e dai quali la sua memoria è stata fecondata e il suo genio ha tratto nutrimento...

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Il maniacale rapporto con la propria moto, l’approccio a questo mezzo di trasporto ispirato al fortunato volumetto dell’80 “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, hanno fatto il resto.
Carboni è pittore e scultore che ormai ha alle spalle una carriera di rilievo, fatta di esposizioni di prestigio in Italia e all’estero. La prima sua mostra in Italia la tenne nel ’79 alla San Fedele di Milano, la prima straniera nell’87 alla Jack Shainman di NY. Nel ’98 è stato presente anche alla famosa collettiva curata da Danilo Eccher “Arte Italiana, ultimi quarant’anni”, alla G.A.M. di Bologna.
Acrilici ed oli su tela e trasparenti sculture a tutto tondo in resina crystal sono esposti alla Galleria Studio la Città di Verona nella personale odierna. L’analisi delle tele si rivela particolarmente interessante: Carboni lavora per ottenere delle superfici monocrome che hanno i colori naturali della terra e dell’acqua, ma le campiture sono popolate di tracce ed impronte di elementi vegetali, spesso raccordati da sequenze di cerchi concentrici impressi a stampo.

La sintesi dell’artista permette di preservare l’intento concettuale delle opere perché, come dice ottimamente Luca Beatrice nelle pagine del catalogo, “nonostante il progressivo stratificarsi della materia queste opere tendono al minimalismo, capaci come sono di fermarsi un istante prima di diventare decorative, semplicemente attendono il dato naturale da trasfigurare nella memoria senza indugiare in particolarismi”.
Questi sfondi monocromi rimandano ad un approccio liturgico e sacro con l’arte e la pittura, rimandano ai fondi oro medievali, ma ciò che più importa è notare come questa sacralità che permea i dipinti sia il risultato di una sublimazione del ricordo dei viaggi compiuti dall’artista. Ecco che allora tale ricordo risulta quasi cristallizzato, conservato per sempre nella pittura. Vengono in mente i fossili, quando anche i più delicati organi e parti molli di animali e vegetali restano imprigionati nella dura roccia. E’ evidente il processo mentale che sottende a questo operare: Carboni ferma nella propria memoria l’immagine e la suggestione che ricava dall’osservazione della natura e la riproduce sulla tela per riconsegnarla nuovamente alla realtà concreta sotto forma di pittura.
Detto ciò si fa più facile l’interpretazione delle sculture di resina, totalmente figurative, riconoscibili, eppure anch’esse pietrificate in un materiale solo in apparenza durissimo, di fatto delicatissimo, che rischia di infrangersi e polverizzarsi al primo urto. La luce attraversa gli oggetti e le forme trasparenti e diafane che sembrano acquistare autonome luminescenze. L’eclettismo di Carboni si dimostra nella continua sperimentazione sia nel campo della pittura che in quello della scultura.

Negli anni ’80 il Nostro costruiva griglie che raccordavano oggetti naturali e forme geometriche, oggi il suo approccio sembra più impostato sul caos e sullo piazzamento (i grovigli monocromi nascondono forme precise, le sculture appaiono durissime ed invece sono delicatissime, e tendono a dissolversi nella trasparenza: ciò che resta immutato è l’approccio mistico con la natura, quella razionale interpretazione in senso ascetico delle cose, e anche quell’apparente, odierno disordine, d’un tratto si svela improvvisamente ordinato, in equilibrio. E che altro è questo se non il riconoscimento e il tributo ad un supremo ordine della Natura? Semmai la fragilità delle sculture e l’impossibilità di isolare le singole forme sulle tele risultano anche un monito all’uomo, a guardarsi bene dallo spezzare tale sublime equilibrio, pena la distruzione e l’annullamento della vita stessa. Perché non resti solo polvere e oscurità.


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Alfredo Sigolo



“Luigi Carboni. Nel segreto degli occhi e delle mani”. Mostra n° 211. Verona, galleria Studio la Città, via Dietro Filippini 2. Dal 10/II/2001 al 24/III/2001. Orari: 9.00-13.00 e 15.00-19.30. Informazioni: tel. 045/597549; fax 045/597028; e-mail: lacitta@sis.it; web: www.artnet.com/citta.html . Chiuso domenica e lunedì. Catalogo con testi di Luca Beatrice e Michael David Haggerty £ 15.000.



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4 Commenti

  1. Gli artisti che tiene la Gelleria Studio la Città si caratterizzano per essere difficilmente documentabili con le foto. Trattando spesso arte minimale ciò è piuttosto logico. L’invito caloroso resta perciò quello di recarsi di persona in galleria: non ve ne pentirete. Hamak, Mangold, David Simpson e tutti gli altri, Carboni stesso, dal vivo sono artisti che tendono a dimostrare quanto inconsistenti fossero le affermazioni di Benjamin sulla riproducibilità dell’opera d’arte. Queste sono opere che richiedono di essere viste da vicino, da lontano, con prospettive diverse, chiedono che si giri loro intorno, perché cambiano e si traformano. Sono artisti che studiano gli effetti della variazione della luce: una foto è solo una delle possibilità di visione.

  2. No, semplicemente ho citato (non esattamente, per la verità) un concetto espresso nell’ultimo catalogo della galleria che mi è capitato tra le mani. Se poi questo concetto avevo già avuto modo di esprimerlo per conto mio, meglio per me. Vuol dire che quello che pensavo non era poi così strampalato. E comunque tengo a precisare che mi riferisco ad una corrente dell’arte contemporanea, chiamiamola neo-minimalismo e minimalismo intimista, e non indiscriminatamente a tutta l’arte.

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