20 luglio 2000

A tu per tu con Pier Luigi Pizzi, ideatore dell’allestimento della mostra “El Siglo de Los Genoveses”

 
A pochi giorni dalla chiusura della mostra "El Siglo de Los Genoveses", Francesco Dufour ha intervistato Pier Luigi Pizzi, architetto, scenografo, regista teatrale di fama internazionale e ideatore dell'evento culturale

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“El Siglo de Los Genoveses” si è appena concluso; già prorogata al 2 luglio, a fronte di un termine previsto inizialmente per il 28 maggio, la mostra ha effettivamente abbracciato, con la sua lunga presenza tra gli avvenimenti genovesi, un arco cronologico assai vasto, guidando idealmente la programmazione delle attività culturali di Palazzo Ducale nel nuovo millennio.
Inaugurata nell’ormai lontano dicembre 1999 l’esposizione ha sorpreso per il forte impatto visivo datole da un allestimento estremamente scenografico che, con il passare dei mesi, è diventato un vero e proprio tratto distintivo della mostra genovese, contribuendo non poco al successo dell’esibizione.
Nell’attesa che siano pubblicati i risultati di un dettagliato studio delle ricadute economiche dell’importante evento culturale sulla città abbiamo raggiunto a Venezia il protagonista della metamorfosi degli spazi espositivi di Palazzo Ducale: Pier Luigi Pizzi, architetto, scenografo e regista teatrale di fama internazionale.

Maestro Pizzi, la mostra “El Siglo de Los Genoveses” sta volgendo al termine: volendone tracciare un bilancio dal punto di vista artistico quali aspetti le sembrano particolarmente riusciti?

Il successo d’una mostra si valuta prima di tutto sull’affluenza di visitatori, sul riscontro della stampa, sulla curiosità e l’entusiasmo che l’evento è riuscito a creare. In sei mesi di programmazione la presenza e il consenso generale sono stati tali da convincere gli organizzatori a prolungarne di un mese la durata.
Questi dati si commentano da soli. Il progetto, fin dal primo incontro con i curatori Piero Boccardo e Clario Di Fabio, è parso a tutti pieno di difficoltà: una mostra storica, dunque ingrata, con tantissimo materiale, ma pochi veri capolavori da usare come richiamo irresistibile e un titolo intrigante ma oscuro.
È stato subito chiaro che bisognava creare lungo tutto il percorso una serie di immagini forti, senza cedimenti, possibilmente in crescendo e che si doveva intervenire in modo drastico sul contenitore, quel Palazzo Ducale, che, mettendosi a sua volta in mostra, doveva cambiare pelle, ritrovare una dignità, acquistare un carattere.
Se devo fare un bilancio, come lei mi chiede, credo che non abbiamo fallito il bersaglio.

Allestire una mostra ed allestire uno spettacolo teatrale sono due attività che hanno molti aspetti in comune; lei che ha fatto esperienza di entrambe, come le definirebbe?

Mettere in scena uno spettacolo o una mostra richiede più o meno la stessa energia, la stessa metodologia di lavoro, lo stesso impegno.
Entrambi hanno bisogno di uno spazio organizzato, di un’idea drammaturgica, di un percorso narrativo di estrema chiarezza e di interpreti. I personaggi d’una mostra d’arte sono muti ma non per questo sono inespressivi o privi di anima, al contrario sono quasi sempre bellissimi, inquietanti, capaci di scatenare passioni o di suscitare emozione, come autentiche carismatiche vedettes.

Come amatore e collezionista d’arte ha provato interesse per qualche personaggio della storia genovese che si è impegnato in questi due settori?

Basta visitare le splendide dimore delle grandi famiglie genovesi per capire che la storia di questa città è stata scritta da protagonisti che hanno saputo, attraverso imprese eroiche e geniali operazioni finanziarie, raccogliere e tesaurizzare quanto di meglio la cultura europea offriva.

Durante l’allestimento della mostra le è capitato di provare interesse collezionistico per qualche oggetto esposto?

Se si entra in rapporto diretto con l’oggetto d’arte è difficile sottrarsi al desiderio, alla tentazione di possederlo.
Questa mostra mi è servita anche ad approfondire la mia conoscenza dell’arte genovese, soprattutto del ‘600 che è il secolo che più mi intriga.

Quando è cominciato il suo rapporto, lavorativo e non, con la città di Genova?

Nel 1951 ho debuttato ventenne al Teatro Stabile di Genova disegnando scene e costumi per “Leocadia” di Jean Anouilh. L’anno successivo si aprivano per me le porte del Carlo Felice per una grande produzione di “Don Giovanni” di Mozart. Da allora il mio rapporto professionale con la città è stato sempre molto attivo fino a quest’ultima stagione, che mi ha visto impegnato con la mostra “El Siglo de los Genoveses” a Palazzo Ducale e a teatro con “Death in Venice” di Britten, “Attila” di Verdi e “Le Comte Ory” di Rossini.

Quali saranno i suoi prossimi impegni in città?

L’anno prossimo sarò al Carlo Felice per una nuova produzione de “I Puritani” di Bellini. Forse sarò coinvolto in una grande mostra. Vedremo.
Tutte le occasioni che mi portano a Genova mi sono particolarmente gradite.


Francesco Dufour


[exibart]

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