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Numerose sono le iniziative dei musei anglosassoni per avvicinare il grande pubblico alle istituzioni culturali. Tra queste, la richiesta di partecipazione alla creazione di videogiochi. La Tate ha lanciato un’iniziativa multimediale per ricreare la sua collezione; il British Museum sperava in almeno venti partecipanti per un progetto simile; lo stesso avviene con la British Library. Il MoMA di New York invece ha acquisito 14 video giochi, tra cui il rinomato “Tetris”.
L’intenzione è quella di coinvolgere un pubblico che altrimenti verrebbe tagliato fuori dal mondo dell’arte. Numerosi sono stati i giudizi sfavorevoli, ma come ha affermato Paola Antonelli – curatrice senior del dipartimento di architettura e design del MoMA – le critiche sono frutto di reazioni pregiudiziali. I videogiochi non sono arte, ma richiedono un enorme studio grafico che rientra nelle ricerche di nuovi modelli di design.
In definitiva, si va nella direzione di una effettiva commercializzazione dell’arte? O, essendo cambiati i “supporti” dell’arte visiva, bisogna ampliare le proprie vedute e prendere consapevolezza che le manifestazioni artistiche vanno individuate anche nei videogiochi? (Federica Pignata)