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Sempre più spesso le opere d’arte sono viste dalle amministrazioni pubbliche e dai musei come un mezzo per fare cassa. Consegnare un bene culturale nelle mani di facoltosi privati disposti a sborsare cifre da capogiro, sembra infatti oramai essere una tendenza diffusa tra le istituzioni di tutto il mondo. Certo è che con i tagli generalizzati alla cultura che i governi stanno effettuando per resistere all’urto della crisi economica, risanare i bilanci è sempre più difficile. A Münster in Germania è stata venduta una scultura di Henry Moore per risanare i debiti del governo, in Francia e Olanda alcuni musei stanno facendo lo stesso per sopravvivere alla mancanza di fondi. A questi si aggiunge il caso della statua egizia venduta in Inghilterra per eseguire i lavori di ristrutturazione del Northhampton Museum. Ma le vendite non avvengono solo per sopperire ai problemi economici, in Germania sono andati all’asta 2 Wharol per finanziare parzialmente un Casinò statale.
In quanto tasselli di un’identità culturale condivisa, a prescindere dall’utilità economica delle transazioni, i beni culturali non dovrebbero essere vittime di una visione che usa i conti in rosso per legittimare operazioni commerciali eticamente discutibili. (Giulia Testa)